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Che non siano vuoti a perdere

Che non siano vuoti a perdere
Riflessioni su Ernesto De Martino, 2003

Alcune volte quando mi soffermo a pensare ai lavori di Ernesto De Martino, mi accorgo come questo studioso avesse compreso una specie di paralisi del mondo.
Aveva inteso il pericolo del nostro mondo nel perdere l’anima, il mondo stesso. Il deserto che avanza.
Un deserto dove far abitare le generazioni future.

Che non siano vuoti a perdere
Inchiesta

Da una inchiesta che portarono avanti negli anni settanta, Norberto e Massimo Valenti, cercando di far parlare i giovani, ne venne fuori che “Su seicento ragazze dai quattordici ai vent’anni (…), 393 (il 65 per cento circa) hanno ammesso di vivere una profonda crisi di sfiducia, dovuta alla forzata impossibilità di progettarsi nel futuro e alla totale mancanza di punti di riferimento validi”.

Nell’inchiesta furono lasciati parlare 1200 ragazzi e ragazze compresi in età dai 14 ai 20 anni, in altrettanti formulari composti di 31 domande.
Gli intervistati, rappresentativi della realtà giovanile nazionale in quanto 300 residenti al Nord (Veneto, Lombardia, Emilia), 300 al Centro (Toscana, Abruzzo, Lazio) e 300 al Sud (Campania, calabria, Sicilia), provenivano da diverse condizioni sociali.
La ricerca fu pubblicata da Norberto e Massimo Valentini, con il titolo I rompiballe, Sperling e Kupfer, Milano 1977.

Che non siano vuoti a perdere
Le testimonianze

Leggendo le testimonianze ci si accorge della disperazione che viene alla luce, senza soluzione.
I giovani, si sentono messi in una “area di parcheggio”, non solo nella scuola ma nella vita. E si sentono così soli e rifiutati che il loro è un linguaggio più che arrabbiato. La loro angoscia viene espressa nella durezza delle parole, un linguaggio volgare direbbe qualcuno. Un dire che vuole far svegliare quei loro vicini definiti adulti che li liquidano con l’epitaffio di una generazione senza ideali.
Ne viene fuori il quadro di una generazione orfana, come quella che abbiamo oggi davanti agli occhi, della quale tutti ne parlano, tanto se ne scrive ma poco la si ascolta. Una volta, chiesi a dei bambini di scuola elementare, di scrivere una lettera agli adulti.

Ne venne fuori che chiedevano di non voler essere presi in giro, niente schiaffi, di non farli piangere o incolparli per qualsiasi cosa, chiedevano soprattutto rispetto.
Non facciamo per loro tanti sacrifici? Già, li riempiamo di giochi, di raccomandazioni, li portiamo in piscina, facciamo far loro tante attività, li vestiamo alla moda, li esibiamo come fossero nostra proprietà. Ma ci dicono chiaramente che non si sentono rispettati.

Che non siano vuoti a perdere
L’indagine del 1999

Nel 1999 è stata condotta un’altra indagine tra gli studenti, alla vigilia dell’esame di stato, in 92 istituti medi superiori di 23 province (le province citate nella ricerca sono: Milano, Novara, Catania, Cosenza, Perugia, Potenza, Taranto, Pesaro, Torino, Frosinone, Pescara, Campobasso, Padova, Napoli, Bologna, Savona, Udine, Caltanissetta, Roma, Cremona, Cagliari, Pisa, Trento. Il testo a cui mi riferisco è quello di Roberto Carocci, Diventare grandi in tempo di cinismo, Il Mulino, Bologna 2002).

“Alla domanda se si può aver fiducia della gente oppure è meglio diffidarne, quasi la metà (43,2%) ha assunto un atteggiamento di prudenziale reticenza. Degli altri, la stragrande maggioranza si è orientata verso una posizione di sfiducia (…). Questa distribuzione di frequenza attesta la prevalenza della sfiducia nella nostra società e soprattutto indica quanto questo tratto culturale sia trasmesso da una generazione all’altra”.

Parliamo di vuoto, dobbiamo parlarne, di vuoti se volete, ma attenzione quando si parla di giovani vuoti e soprattutto che non siano a perdere.

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