Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005
VI Capitolo
Davanti alle mura di Skaam
Era quasi un’ora che camminavano dopo la prima sosta.
Kéndall era avanti che conduceva il piccolo gruppo verso la Terra del Centro. Non pensava a nient’altro che riuscire ad arrivare a destinazione. Dietro di lui, Elam immersa nei propri pensieri, era triste per aver lasciato la città di Mukrum così all’improvviso, ma allo stesso tempo felice di compiere un’avventura, di uscire fuori dalla solita routine, di fare qualcosa per gli altri. Avrebbe potuto mettersi alla prova, mettere in gioco tutti gli insegnamenti che aveva ricevuto da Sujum, avrebbe avuto modo di conoscere nuovi posti e nuovi amici. Suo padre era un viandante, viaggiava per lavoro e, sin da quando era piccola, le aveva raccontato dei meravigliosi posti che aveva visto. Sentiva molto la mancanza della sua famiglia.
A chiudere la fila, Erised. Avanzava lentamente, era tornata a lamentarsi perché era di nuovo stanca. Aveva già affrontato il viaggio verso la Terra del Centro, ma mai così in fretta. I suoi compagni di viaggio camminavano come se avessero qualcuno alle spalle e questo la straziava, i piedi le dolevano, la fronte impregnata di sudore e lo stomaco richiedeva cibo.
«Erised, secondo te quanto tempo impiegheremo ad arrivare?», domandò
Kéndall alzando la voce per farsi udire dalla locandiera rimasta indietro.
«Se continuiamo di questo passo direi una settimana o forse sei giorni!».
«Una settimana?! Dobbiamo allungare il passo», esclamò Elam.
«Per me non ci sono problemi, ma come la mettiamo con Erised? E’ sfinita», mormorò Kéndall per farsi udire solo dall’amica.
«Fatti venire un’idea, tu le hai permesso di seguirci, tu risolverai il problema».
Continuarono a camminare sostando, di tanto in tanto, per lasciar riposare Erised.
Kéndall iniziava ad irritarsi, non sopportava l’idea che qualcuno scombussolasse i suoi progetti. La donna gli aveva promesso che avrebbe mantenuto il suo passo, che non gli avrebbe creato problemi, ma qui stava andando tutto a rotoli, non avevano tanto tempo.
Quando giunse la notte si trovavano ancora sulla via che costeggiava la strada principale. Secondo le indicazioni della mappa dovevano ancora oltrepassare due ponti prima di lasciare definitivamente le Terre della Sabbia Rossa. Inoltre, aveva notato che dovevano superare la città di Logh. Chissà se erano riusciti a ricostruirla, non gli sarebbe dispiaciuto passare una notte nella sua vecchia casa, incontrare i suoi compaesani, controllare se le cose fossero migliorate.
«Riposiamo lì per questa notte», disse Kéndall indicando un grande albero di quercia.
Raccolsero della legna e accesero il fuoco, consumando, intorno ad esso, un misero pasto. Preferivano conservare il cibo visto la lentezza con cui proseguivano, meglio non rimanerne sprovvisti.
«Farò io il primo turno di guardia e tra quattro ore Elam mi darà il cambio. Erised meglio che riposi, domani ci aspetta una lunga giornata di cammino, senza troppe soste possibilmente!».
La locandiera accennò un sorriso che si spense appena incrociò lo sguardo irritato di Kéndall. Sbuffò e accostandosi maggiormente al fuoco, per tenersi calda, si addormentò.
«Quanto vuoi proseguire domani?», chiese Elam guardando la mappa che Kéndall teneva in mano.
«Non ne ho idea. Quello che basta, spero. Oggi abbiamo perso troppo tempo a causa delle soste, dobbiamo recuperare. Prima raggiungiamo Skaam e meglio sarà per tutti. Ora riposati Elam, buonanotte!».
La giovane posò la testa contro lo zaino, si coprì con il mantello e chiuse gli occhi.
Kéndall fissava la mappa, lo sguardo puntato sulla città d Logh. Sentiva profondamente la mancanza dei suoi genitori, sicuramente lo avrebbero aiutato in questa impresa, magari suo padre si sarebbe persino offerto di accompagnarlo. Si lasciò sfuggire un sospiro prima di ripiegare la pergamena e posarla accuratamente all’interno dello zaino. Arricciò il labbro in una smorfia e si lasciò distrarre dallo scoppiettio del fiamme che, di tanto in tanto, alimentava con altra legna.
Spostò poi lo sguardo dal fuoco verso le due compagne di viaggio.
Combatteva contro il sonno che punzecchiava le sue palpebre.
La luna era alta in cielo, a tenerle compagnia diverse stelle. Sembrava passata un’eternità da quando, per la prima volta, aveva compiuto il suo viaggio. Dalle Terre Selvagge alle Terre della Sabbia Rossa. Era pieno inverno, aveva sofferto più di tutto la solitudine ed ora che aveva la presenza di altre due persone non le apprezzava fino in fondo. Il vento gli accarezzava il viso preoccupato. Una domanda gli ronzava in testa da quando era partito. Perché Ecra non era rimasta a Skaam?
Uno strano rumore richiamò la sua attenzione, all’Accademia, a volte, passavano intere giornate con gli occhi bendati, esercitandosi a distinguere i suoni e lui era uno dei migliori, preso come esempio dai mentori per spronare i nuovi arrivati a diventare come il loro compagno.
S’accostò ad Elam e la svegliò.
«E’ già ora del cambio?», domandò con la voce impiastricciata dal sonno.
«No, ma ascolta attentamente!», disse lui.
Elam guardò l’amico e poi tese l’orecchio, percepiva il rumore, ma non lo distingueva alla perfezione, aveva lo sguardo perplesso.
«Sono gli zoccoli di cavalli, mi sembra di distinguerne forse cinque o sei!», spiegò il Cavaliere Immacolato.
«Cosa diavolo ci fanno dei cavalli in giro a quest’ora della notte?».
«Non ne ho idea, sveglia Erised, meglio essere preparati a tutto!», rispose
Kéndall estraendo la spada dal fodero.
Elam obbedì e richiamò la donna che, svegliandosi, diede un pugno sul viso della ragazza.
«Aiuto, mi aggrediscono!», iniziò a strillare.
«Sono io, maledizione si può sapere cosa ti prende?», Elam si portò la mano al naso dolorante.
«Silenzio!», ordinò Kéndall tornando ad ascoltare. Il rumore era cessato.
Probabilmente le urla di Erised avevano messo in allerta gli uomini a cavallo. Il giovane scosse la testa, poi si voltò verso le altre due che erano immobili a guardare verso l’oscurità.
«Va bene, falso allarme! Tornate pure a riposare… ah Elam, ti sanguina il naso», disse infine Kéndall.
L’amica si lavò il sangue dal volto e lanciò un’occhiata fulminante verso Erised che era tornata a dormire senza nemmeno scusarsi del gesto.
«Potevi evitare di farla venire con noi!», sussurrò Elam irritata.
«Mi spiace, non pensavo potesse crearci tanti problemi!».
«Ti consiglio di pensare di più la prossima volta Kéndall, non stiamo andando a fare una scampagnata, domani le devi parlare, se non lo farai tu ci penserò io e non sarò molto clemente!», detto questo la giovane tornò a coricarsi lanciando un’imprecazione. Non aveva voglia di discutere e sapeva di aver piena ragione.
Kéndall comprendeva bene di aver commesso un errore, ma non poteva abbandonare Erised.
All’alba raccolsero le loro cose e ripresero il cammino.
Kéndall, in testa al gruppo, di tanto in tanto contemplava la mappa datagli da Sujum.
L’aveva conservata in un cassetto. Un tempo, anche lo zio aveva viaggiato, per scoprire nuove terre; però, con l’arrivo della guerra, con la rivelazione del destino del nipote, l’impegno preso anche con i Cavalieri Immacolati, aveva fatto sì che quei viaggi restassero solo un ricordo lontano.
Dovevano oltrepassare almeno due ponti prima di lasciare completamente i confini della Terra della Sabbia Rossa, da quel punto in poi sarebbero stati facile preda per i Cacciatori, i briganti e tutti quelli che erano finiti a vivere oltre le città , nei boschi o chissà dove, tutto a causa della guerra.
Elam era solita guardarsi indietro, aveva la sensazione di essere seguita da qualcuno, o forse era semplicemente l’esperienza di quella notte ad averla turbata.
Alla fine si ritrovarono nella stessa formazione del giorno precedente, con Erised sempre lontana dal gruppo, troppo stanca per poter proseguire.
«Ecco il ponte!», esclamò Kéndall senza nascondere un sorriso di sollievo.
«Aspettate, non c’è bisogno di correre», Erised si ritrovò ad allungare il passo per poter stare dietro agli amici che avevano già varcato il punto che separava il ponte dalla strada. In qualche modo, anche lei, voleva condividere la gioia di aver raggiunto una, anche seppur misera, tappa.
All’apparenza il ponte sembrava resistente, era fatto di legno e delle corde delineavano il bordo, al di sotto scorreva un torrente che probabilmente conduceva da qualche parte, verso Ovest.
«Quelli non promettono nulla di buono!», disse Erised posando una mano sulla spalla di Kéndall e con l’altra indicando un punto di fronte a loro. Al ragazzo non gli ci volle molto per comprendere di trovarsi faccia a faccia con quattro Cacciatori. Erano in sella ai loro destrieri sbuffanti e completamente neri, anche essi impregnati di tanta cattiveria come i loro fantini.
«Me lo sentivo che non eravamo soli!», commentò Elam facendo notare altri tre Cacciatori alle loro spalle. In un baleno erano stati circondati.
Kéndall si era talmente preoccupato di raggiungere in giornata, almeno uno dei ponti, che non aveva pensato di concentrarsi sui diversi suoni che c’erano attorno. Aveva sottovalutato la luce del giorno, pensando che non potesse portare tanto pericolo quanto la notte.
«Cosa facciamo ora?», la voce di Erised lasciava trasparire molto più di una semplice paura.
«Affrontiamoli!», Elam era già pronta a tirar fuori le unghie senza calcolare tutti i contro.
«Non dire sciocchezze, non voglio la vostra vita sulla mia coscienza. Siamo in tre, un numero troppo inferiore e neanche abbastanza forti. Non abbiamo possibilità di uscirne vivi!».
Kéndall si sentiva come un topo nella trappola di un gatto, anzi di sette gatti. Doveva trovare il modo di uscirne vivo, ma soprattutto di salvare anche le due amiche. Dover prendere decisioni per tre lo metteva in crisi, soprattutto quando si avevano pochi secondi per ragionare.
«Il fiume –disse infine- è la nostra unica salvezza!».
«Ma sei impazzito?!», Elam fissava oltre le corde scuotendo la testa.
I Cacciatori diedero ordine ai loro destrieri di avanzare .
«Il ragazzo lasciatelo vivo!», disse uno di loro. La voce era perfettamente umana, non aveva nessun cambio di tono. Non riuscivano ad intravedere i loro volti, tenuti nascosti da lunghi cappucci, ma Kèndall sapeva perfettamente, come aveva raccontato Sabbù, che lì, sotto quelle vesti, non vi erano creature orripilanti, ma uomini in carne ed ossa, esattamente come lui.
«Elam ragiona in fretta, morire o tentare almeno una via di fuga?».
«D’accordo…speriamo bene!», Elam si avvicinò al bordo del legno ed Erised seguì l’esempio della ragazza. Lei, sicuramente, non avrebbe nemmeno provato a difendersi. Non sapeva utilizzare un’arma.
Elam oltrepassò le corde calcolando la distanza tra il ponte e il fiume sottostante, calcolando le possibilità di salvezza, ma Erised, guidata dal terrore, inciampò lungo una delle corde e finì contro la figura della giovane che con un urlo cadde verso il fiume.
«Salta!», urlò Kéndall.
«Stanno scappando!», con velocità impressionante i sette scesero dalle selle, ma non abbastanza in fretta da fermare Kéndall ed Erised che si buttarono verso il fiume.
Il giovane si trovò con il corpo sott’acqua, era terribilmente fredda e la corrente più forte di quanto avesse potuto immaginare. Con fatica riuscì a tirare fuori la testa, si guardava attorno in cerca delle ragazze che sembravano sparite. Poi qualcosa lo colpì ed intorno a sé cadde il buio.
Quando riaprì gli occhi si ritrovò sdraiato su un letto.
Aveva un forte mal di testa e un formicolio fastidioso al braccio sinistro che era stato fasciato. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare cosa fosse avvenuto.
I ricordi si fermavano al loro salto nel fiume, il resto gli rimaneva oscuro. Non aveva idea nemmeno di come fosse arrivato lì, in quella piccola stanza poco illuminata.
Con fatica si mise a sedere. In quella camera, oltre a letto, vi era un piccolo tavolo posto contro il muro e di fronte una sedia. La porta era stata lasciata aperta e si intravedeva un corridoio che conduceva verso un’altra porta, probabilmente quella d’ingresso. Voleva poter chiamare qualcuno ma solo aprire la bocca gli sembrava una fatica da non poter sostenere. Si sdraiò nuovamente e fissò il soffitto bianco.
Lo assalì un senso di colpa non indifferente, non sapere dove fossero Elam ed Erised. Era turbato, aveva accettato che lo seguissero in questo viaggio, ma non aveva fatto i conti sugli eventuali pericoli.
Doveva aspettarselo! Sabbù e Bregael, così come Rumlo, lo avevano avvertito: era meglio non fidarsi di nessuno, affrontare tutto questo solo in compagnia degli altri Cavalieri Immacolati, lui però, non voleva soffrire la solitudine, voleva poter conversare, avere compagnia, avere un sostegno,… ed ecco cosa era avvenuto!
«Finalmente ti sei svegliato! Come ti senti?», a richiamare l’attenzione di Kéndall fu il suono di una voce. Il ragazzo spostò lo sguardo sulla figura di una giovane dai capelli castano scuro, piuttosto in carne, con indosso un vestito da contadinella.
«Dove mi trovo?».
«Sei a Marduk, è un piccolo paese della Terra del Centro. Hai preso una bella botta, mh?», la ragazza aveva con sé una bacinella d’acqua.
Posò una pezza, con cura, sulla fronte del giovane, che immediatamente, fu invaso da un senso di freschezza e benessere.
«Dove sono Elam ed Erised? Come sono giunto sin qui?», immediatamente venne ripreso dal senso di colpa che lo aveva assalito precedentemente.
«Non ti agitare troppo! Non ci sono nessuna Elam o Erised qui.
Quando ti ho trovato vicino alla riva del fiume eri solo, è un miracolo che sia ancora vivo. Hai una brutta ferita sul braccio ed eri in balia della febbre. Ricordi cosa ti è accaduto?».
«Sono così stanco!».
«Sì certo, avremo modo di parlare in seguito! Ora riposati, per qualunque cosa chiamami, il mio nome è Iemon».
«Grazie, mi chiamo Kéndall!», rispose il giovane prima di abbandonarsi al sonno.
Quando riaprì gli occhi, i pochi raggi solari che filtravano dalla piccola finestra erano scomparsi, notò che Iemon seduta sulla sedia illuminata solo dalla lievissima luce della candela, stava giocando con una piccola sfera azzurra.
«Hai fame? Ho preparato qualcosa di caldo che ti aiuterà a rimetterti in forze».
«Grazie!».
La giovane annuì e si allontanò, tornando poi, con un piatto di zuppa calda accompagnata da pane nero.
«Mi dispiace non poterti offrire di più, ma di questi tempi è già molto avere qualcosa da mettere sotto i denti!».
«E’ ottima!», disse il giovane mangiando con avidità.
Quando terminò di mangiare si rese conto che Iemon lo aveva lasciato solo in camera, per non disturbarlo. Il mal di testa era passato ed ora che aveva saziato anche lo stomaco, gli restava solamente il formicolio lungo il braccio sinistro. Non aveva la curiosità di controllare la ferita, forse perché non voleva mettere in dubbio il fatto che Iemon lo avesse curato nei migliori dei modi.
Poteva usare la magia per alleviare il dolore e per farlo cicatrizzare il prima possibile, ma non aveva recuperato le energie necessarie.
Con fatica si alzò dal letto e si mosse lungo il corridoio sino a trovare la cucina. Vi era Iemon seduta al tavolo, immersa nei propri pensieri.
«Kéndall – disse poi alzando lo sguardo – non dovresti essere qui, non ti sei ancora ripreso!».
«Non riesco a stare tutto il giorno a letto e poi volevo riportare il piatto!».
La cucina, a differenza della camera, era più illuminata, segno evidente che fosse il luogo più frequentato della casa. Anche questa era piccola, conteneva solo un fornello affiancato da un lavandino, un ripiano per i piatti e le posate ed un tavolo posto al centro della stanza con due sedie attorno.
«Non dovevi disturbarti, sarei passata a ritirarlo più tardi, siediti!», disse poi indicandogli la sedia libera.
«Da quanto tempo sono qui?», domandò Kéndall.
«Direi una settimana, hai dormito parecchio!», rispose la giovane, arricciando il naso.
Se non avesse perso i sensi probabilmente sarebbe già giunto a destinazione.
Se il suo viaggio si fosse concluso senza imprevisti avrebbe avuto persino modo di visitare la città di Logh. Respirare un po’ di familiarità non gli sarebbe dispiaciuto.
«Vivi sola qui?».
«Sì, ma sono originaria della Terra del Sud. Mio padre desiderava che seguissi le sue orme essendo la maggiore, ma ad accontentarlo fu mia sorella, era più portata. Ho avuto anche io il mio bel da fare, divenendo cavaliere del Regno del Sud. Un giorno però decisi di cambiare vita e mi ritirai qui. E’ un luogo tranquillo ed, oltre a mia sorella, non passa a trovarmi nessuno, sono perciò molto onorata di avere compagnia!», la giovane accennò ad un lieve sorriso che venne contraccambiato.
«Grazie! Dimmi un’altra cosa Iemon, quanto dista la città di Skaam?».
«Direi mezza giornata, quando ti sarai rimesso in forze ti ci posso accompagnare, cambiare aria ogni tanto aiuta, sempre che non ti dispiaccia!».
«Assolutamente!».
Non aveva assolutamente idea di come i Cacciatori fossero a conoscenza della loro partenza, erano stati molto astuti a non farsi notare lungo tutto il tempo in cui si erano intrattenuti a Mukrum. Era vero che il signore Oscuro aveva spie ovunque, vero che non bisognava mai fidarsi di nessuno. Bregael aveva detto che avrebbe condotto i Cacciatori verso Sud, un chiaro allarme che lui si era accorto della loro presenza, la morte di Sabbù poi era un evidente segno del loro passaggio. Mase Bregael doveva funzionare da diversivo per gli scagnozzi del male, come mai se li erano ritrovati lungo la via? Magari l’amico di Sabbù era stato catturato o magari lui era una delle spie del signore Oscuro e tutta la storia della guerra del Murale, dell’amicizia nata tra i due, era solo un modo per venire a conoscenza del giorno in cui si sarebbe messo in viaggio e della destinazione che avrebbe preso, non c’era nessun’altra spiegazione! Si era probabilmente fidato della persona sbagliata.
«Tutto bene?», chiese Iemon.
Kéndall si ritrovò ad annuire, prima di scuotere la testa.
«E’ vero che non sono completamente in forze, ma faresti lo sforzo di accompagnarmi a Skaam già domani mattina? Sono stato qui sin troppo tempo e non posso più aspettare!».
«Se è davvero così importante per te…».
«Lo è!».
All’alba del giorno dopo, entrambi i ragazzi si ritrovarono in cucina a preparare gli zaini, Iemon ne regalò uno nuovo a Kéndall, visto che il suo era andato perduto lungo il fiume. Prima di mettersi in cammino, però, la giovane cambiò la benda al braccio di Kéndall, solo in quel momento egli poté controllare lo stato della sua ferita. Oramai si stava cicatrizzando, era piuttosto profonda e lunga ma non riusciva a ricordare.
«Siamo pronti!», disse Iemon.
Uscendo di casa, si ritrovarono in aperta campagna. Il prato lungo la stradina che i due stavano percorrendo era di un verde chiaro con qualche ciuffo di erba giallastra. Di tanto in tanto si imbattevano in alberi da frutto e campi coltivati che si crogiolavano sotto i caldi raggi solari.
«Sta giungendo l’estate e credo sarà molto calda», proferì la giovane respirando a pieni polmoni l’aria di campagna.
La ragazza era vestita con larghi pantaloni neri che coprivano gli stivali vecchi, la maglietta bianca a maniche corte era stretta e in vita, una fodera di cuoio marrone che conteneva la sua spada. Solo guardando l’elsa, incastonata con pietre di differenti colori, Kéndall intuì che si trattava di un’arma di tutto rispetto.
«E’ un posto così tranquillo! Non capisco come mia sorella possa non amarlo, è portata più per l’avventura, rinchiudersi nelle sue preghiere o roba simile. Io me ne sono innamorata subito, invece. Alcune volte, per qualche istante, hai la sensazione di stare fuori dal mondo, hai la pace intorno a te e anche la guerra diventa un ricordo lontano».
Kéndall annuì. A differenza di Iemon aveva sempre vissuto in luoghi dove la guerra si era fatta molto sentire, persino a Logh, anche prima dell’arrivo dei Cacciatori, i suoi paesani non facevano altro che addestrarsi allaalla guerra, frequentando l’Accademia. Poi Mukrum, che nonostante fosse così fiorente, era abitata da uomini che tramavano all’ombra, che erano pronti a calpestarsi i piedi, pronti a tradirsi senza nessuno scrupolo.
«Sei preoccupato?», domandò la ragazza interrompendo i ricordi di Kéndall.
«No, assolutamente. Ero solo pensieroso…».
«Dimmi una cosa, perché hai tanta fretta di raggiungere Skaam? Insomma nessuna persona normale, che ha una brutta ferita sul braccio, si rimetterebbe in viaggio così in fretta! Cosa o chi ti aspetta lì?».
«Non credo sia il caso di metterti al corrente di tutto».
«Non ti fidi di me?».
«Cosa? No, non si tratta di questo è che…».
«Non ti preoccupare Kéndall, posso comprenderti benissimo! Non vuoi mettere a repentaglio la mia vita, non è così?! I Cavalieri Immacolati ragionano tutti allo stesso modo…».
Kéndall frenò il passo e portò immediatamente la mano all’elsa della spada, pronto anche a difendersi con il braccio destro se Iemon non gli avesse dato una spiegazione plausibile. Non si era fatto sfuggire il fatto che appartenesse ai Cavalieri Immacolati e allora come era possibile che lei ne fosse a conoscenza? Forse aveva delirato durante la febbre, si era fatto sfuggire qualche parola di troppo?
«Calmo! Non sforzare il tuo corpo a compiere azioni che al momento non gli sono possibili! Hai un braccio ferito».
«Non importa, so difendermi! Come sai chi sono?».
«Colpa mia! Non ti ho detto chi è mia sorella… quando mi parlò di te la prima volta, durante una delle sue veloci visite, ti descrisse in modo così pieno di particolari che quando ti ho trovato vicino al fiume, non ho avutodubbi… ero sicura si trattasse di te. Poi mi hai detto il tuo nome e così non ho avuto più nessuno dubbio!».
«Ecra…», mormorò Kéndall.
Si fissò sulla figura di Iemon, notò una certa somiglianza. Rilassò i muscoli della mano destra che tenevano ancora stretta l’elsa della spada e scoppiò a ridere imbarazzato.
«Perdonami, lo dovevo capire prima! L’hai vista di recente?».
Iemon annuì.
«Non la vedevo da mesi, ma nonostante questo si è trattenuta a malapena un giorno. Era di corsa. Spesso, come te, preferisce non mettermi al corrente di tutto, dice che altrimenti per arrivare a lei potrebbero toccare me! E’ paranoica a volte, ma la capisco.
A proposito, questa appartiene a te», disse prendendo dalla tasca
la stessa sfera azzurra con cui l’aveva vista giocare una volta.
«Cos’è?».
«Non ne ho idea, ha detto che quando saresti stato pronto l’avresti capito».
Kéndall prese l’oggetto, lo fissò per qualche istante prima di metterselo nella tasca.
«E dimmi di te, invece, perché hai abbandonato il tuo ruolo di cavaliere del Regno del Sud, immagino sia un compito importante, no?!».
Ora che aveva appreso chi fosse la sorella di Iemon, sentiva di potersi fidare e di entrare in una confidenza maggiore.
«Guarda Kéndall, siamo giunti a destinazione! Ecco le mura della città di Skaam».