Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005
IV Capitolo
Il Messaggio
Kéndall, prima di tornare a casa, si avviò verso il boschetto per far visita a Nesca e Naira. Il boschetto ora aveva un’aria molto più allegra, gli uccelli iniziavano a dare il loro benvenuto alla primavera. Ora, quella strada non gli risultava più così buia e misteriosa. Dopo aver conosciuto Sujum, Elam e anche le due elfe tutta la sua vita aveva avuto una svolta, anche positiva.
Giunto presso la grotta non trovò le due ragazze. Dove potevano essere andate? Aveva raccomandato l’assoluto riposo a Nesca! Sbuffò, ma decise di aspettarle.
Potevano essersi mosse per cercare del cibo, ma perché entrambe? Le domande iniziavano a farsi largo nella sua mente.
Attese per almeno mezz’ora, ma delle due creature nemmeno l’ombra.
Sospirò, forse si stava preoccupando per nulla?!
Uscì dalla grotta e corse via dal boschetto, ma invece di andare a casa, ritornò verso la piazza e poi, di corsa a casa di Elam. Lei poteva sapere qualcosa.
Quando raggiunse la porta della casa scosse la testa, ora il pensiero che Parkam non lo potesse nemmeno ascoltare gli metteva un po’ di soggezione, ma doveva comunque tentare. Fece un respiro profondo e poi bussò. Attese qualche secondo prima di vedere comparire la figura di Lam sulla soglia di casa.
«Cosa ci fai tu qui?», domandò la donna evidentemente sorpresa.
«Sto cercando Elam, è in casa?», domandò il ragazzo cercando di nascondere la preoccupazione che scaturiva dalla voce.
«No…non è in casa!», rispose immediatamente la donna e stava per richiudere se la porta non fosse stata bloccata da qualcun altro. Si trattava proprio di Elam.
«Sì che sono in casa!», esclamò la ragazza lanciando uno sguardo di rimprovero verso la madre.
La donna guardò con occhi supplichevoli la figlia, ma quest’ultima la ignorò completamente. Superò la figura di Lam e si contrappose tra lei e Kéndall.
«Ho bisogno di parlarti», disse il giovane sentendosi a disagio in quella situazione.
«D’accordo andiamo!».
I due si allontanarono sotto lo sguardo disperato di Lam e si diressero verso un luogo tranquillo dove erano sicuri di non incontrare Parkam.
«Mi spiace per quello che è accaduto con mia madre, sai tutta questa situazione non la mette per niente in una buona posizione».
«Non preoccuparti, avevo immaginato che potesse succedere. Comunque ero passato per chiederti se sapevi dove sono Nesca e Naira; volevo far loro visita alla grotta, ma non le ho trovate!». «Non ne ho idea, oggi ancora non mi è capitato di andar da loro! Andiamo a controllare comunque, magari saranno ritornate a quest’ora!».
I due si avviarono verso il boschetto in silenzio, immersi entrambi nei propri pensieri. Kéndall già stava pensando al peggio, mentre Elam stava pensando a tutti i luoghi che le due erano solite frequentare, ma non le venne in mente nulla.
Camminavano a passi veloci, quasi correndo. Anche Elam iniziava ad avvertire una certa preoccupazione, proprio lei che si era mantenuta calma qualche istante prima.
Quando giunsero alla grotta la trovarono sempre vuota.
«Non è mai accaduto che rimanessero così a lungo fuori dalla grotta, poi con le condizioni di Nesca… Non hanno altri posti dove andare!», favellò Elam.
I due si guardarono attorno e poi Kéndall si avvicinò ad una parete.
«Guarda qui!», esclamò il giovane. La ragazza si accostò e fissò quella minuscola scritta “Curmu”.
«Cosa vuol dire?», domandò Kéndall.
«Non ne ho idea, ma ora ascoltami attentamente. Vai da tuo zio e spiegagli tutta la situazione, chiedigli di fare l’incantesimo della Ricerca, io invece vado a fare un’altra cosa. Ti raggiungo direttamente lì, d’accordo?».
Kéndall annuì e corse via.
Correva e non aveva idea in che cosa consistesse questo incantesimo della Ricerca, ma di sicuro Sujum li poteva aiutare.
Quando giunse a casa e varcò la soglia di casa, rimase stupito notando la presenza della stessa ragazza che aveva incontrato alla Grande Arena.
Sia Sujum che la giovane avevano gli occhi preoccupati, ma lì per lì il ragazzo non ci badò, aveva altro a cui pensare.
«Zio, mi devi aiutare! Ho bisogno che tu compia l’incantesimo della Ricerca… sono scomparse due elfe!», disse Kéndall.
«Nesca e Naira!», esclamò Sujum.
«Le conosci?».
«Maledizione!», intervenne la ragazza di cui Kéndall si era momentaneamente scordato. La giovane guardò Sujum, fece un cenno col capo e poi corse fuori lasciando la porta spalancata.
«Non abbiamo tempo da perdere, Kéndall seguimi!».
Il giovane annuì e lasciò che lo zio lo conducesse sino ad una camera che non aveva mai visto. La casa era grande e alcune porte erano sempre chiuse a chiave, Kéndall si limitava a non domandare nulla a Sujum.
La stanza non era molto grande, vi erano però molti libri ammassati sulla scrivania e lungo gli scaffali. L’odore che si respirava all’interno era di muffa e di chiuso, la stanza era buia, filtrava solo una lieve luce proveniente da una piccola finestra impolverata. Kéndall si lasciò sfuggire uno starnuto prima di accomodarsi su una sedia che lo zio aveva appena liberato da altri libri.
«Siediti ora! Ti spiegherò velocemente in cosa consiste l’incantesimo della Ricerca: tu conosci entrambe le elfe per cui dovrai concentrarti sulla loro figura, ci prenderemo per mano ed io pronuncerò la formula, tutto chiaro?».
Il giovane si limitò a guardare lo zio, aveva compreso quello che doveva fare, ma non era molto sicuro di riuscirci. Certo la sua capacità nell’arte magica era migliorata, ma provare un incantesimo nuovo così, su due piedi, in uno stato confusionale e di apprensione, insomma non era proprio una situazione semplice. Si lasciò sfuggire un sospiro e allungò le mani verso Sujum, ogni secondo poteva essere di vitale importanza.
L’uomo strinse le mani del ragazzo ed iniziò a bisbigliare delle parole,
Kéndall socchiuse gli occhi e scacciò dalla mente ogni preoccupazione, concentrandosi solamente sulle elfe; avevano la priorità su tutto.
Non gli rimase difficile rammentare le due creature, ricordava perfettamente ogni singolo lineamento del loro viso e del loro corpo, in fondo non poteva negare di provare una leggera attrazione nei loro confronti, specialmente per quanto riguardava Nesca.
La sua mente si sgomberò da tutto quello che non riguardava le fanciulle e si sentì come cadere in un sonno profondo. Diventò tutto buio, durò per qualche secondo, poi iniziarono a comparire delle immagini.
Vi era un bosco, le immagini correvano veloci, la luce che filtrava tra i rami degli alberi era molto lieve, vide l’immagine di Naira che gridava qualcosa, ma non riusciva a sentire, poi altre figure: erano in quattro e correvano con le spade sguainate, erano ricurve e affilate. Le figure erano coperte da mantelli neri. Aveva già visto quegli uomini, si ricordava perfettamente di loro. Sembrava essere passato così tanto tempo d’allora…
«Kéndall!», la voce dello zio lo ridestò dai propri pensieri. Le immagini di quel paesaggio erano scomparse. Aveva iniziato a pensare ad altro, non concentrandosi più su Nesca e Naira, aveva interrotto l’incantesimo.
«Stavano correndo, potevo vedere ma non sentire! Osservavo con gli occhi di Nesca…. Si trovano nel bosco, erano inseguite dai…»
«Cacciatori!», qualcun altro concluse la frase di Kéndall.
«Elam! Hai scoperto qualcosa?», chiese il ragazzo non nascondendo quella punta di preoccupazione e paura che lasciava trasparire la sua voce.
Ora che sapeva che le elfe erano inseguite dai Cacciatori non si sentiva affatto tranquillo. Sapeva di cosa erano capaci quei mostri, potevano disintegrare in un attimo chiunque e si domandava come le due sorelle potevano cavarsela. Dovevano fare qualcosa!
«Purtroppo sì, la parola “Curmu” significa Cacciatori, è lingua elfica», disse la ragazza.
«Ma perché danno loro la caccia?».
«Il motivo è Nesca – la voce di Sujum interruppe entrambi – lei, come te Kéndall, è un Cavaliere Immacolato. L’Immacolata del Drago della Foresta».
«Davvero? E i Cacciatori come lo possono sapere? Persino Nesca ne era all’oscuro… me lo avrebbe detto altrimenti!», mormorò Elam.
«Non so come lo abbiano scoperto, ma la sacerdotessa del Sud ne è venuta a conoscenza solo qualche giorno fa e si è messa subito in cammino per venirmi ad avvisare. E’ lei la stessa ragazza che hai veduto all’Arena.
Il suo nome è Ecra, figlia del druido Blader Mar, l’Immacolata del Drago dell’Acqua».
Elam posò gli occhi su Kéndall che teneva la testa bassa e si mordicchiava il labbro inferiore.
«Zio, cosa pensi di fare ora?», chiese infine.
«Al momento non possiamo fare nulla. Lasceremo che sia Ecra ad occuparsi di tutta la faccenda. Nesca è troppo importante per noi e non possiamo permetterci di fallire! Tu non sei ancora pronto: devi restare qui!».
«E se anche Ecra non fosse pronta? E se fallirà? Sono quattro Cacciatori e lei è sola!».
«Non dire sciocchezze –inveì Sujum- Ecra non fallirà! E’ l’unica che può riuscire nell’intento. Ascolta Kéndall, capisco quanto siano importanti per voi quelle due creature, ma vi chiedo di aver fiducia in quella ragazza!».
Kéndall rimase in silenzio. Come poter riporre fiducia in una ragazza che forse era anche più giovane di lui? Insomma aveva visto cosa facevano i Cacciatori, come avrebbe potuto combatterli? Come avrebbe potuto salvare Nesca e Naira?
Si voltò e si allontanò verso la sua camera. Elam si mise seduta fissando il pavimento, era evidentemente in pensiero per le due amiche, forse se avesse parlato a Sujum di loro a quest’ora le due elfe non si sarebbero trovate in una situazione simile! Magari Sujum le avrebbe accolte in casa propria e le avrebbe tenute al sicuro.
Sdraiato sul letto Kéndall ripensava alle parole dello zio. Sapeva bene di non essere in grado di aiutare Nesca e Naira, ma non sopportava l’idea di dover restare fermo ad aspettare. Era rimasto nascosto già una volta ed aveva perso le persone a lui più care, non voleva più essere circondato da morte, doveva mettere fine a quella guerra, doveva rivestire il suo ruolo di Cavaliere Immacolato al meglio, portare il fardello sulle spalle insieme ai suoi nuovi compagni.
Ecra era una di loro, un Cavaliere Immacolato, se suo zio aveva fiducia in lei perché lui non avrebbe dovuto dargliela? Aveva visto una volta in azione la ragazza, lì alla Grande Arena, era abile sul campo, ma quell’idiota non era certo un Cacciatore. Gli scagnozzi dell’oscuro signore erano delle bestie, lo aveva visto con i proprio occhi!
Oh, si sentiva così confuso. Aveva una gran voglia di urlare, di far sentire a tutti quella rabbia che si portava dentro, quel desiderio di dire una volta per tutte: basta!
Alla fine si addormentò. Si svegliò verso sera e quando raggiunse il salone trovò Elam ancora lì intenta a parlare con Sujum. Entrambi smisero di chiacchierare appena Kéndall comparve. Non che gli stessero nascondendo qualcosa, ma visto la reazione brusca che aveva avuto antecedentemente, preferirono non parlare di Nesca e Naira davanti a lui.
«La tua cena è in cucina!», disse lo zio concedendogli un lieve sorriso.
Non era certo arrabbiato con il nipote, anche se, a suo parere, doveva imparare a frenare i propri sentimenti soprattutto ora che sapeva che il mondo di Ianor dipendeva anche da lui.
«Non ho fame! – mormorò il ragazzo – Ho bisogno di aria fresca per schiarirmi le idee, ci vediamo più tardi».
Si allontanò e si mosse lentamente lungo il viale.
Nonostante avesse dormito nel pomeriggio si sentiva stanco, le gambe erano deboli e la mente era occupata da sin troppi pensieri. Non poteva negare di essere molto preoccupato per la sorte delle elfe, come avrebbero saputo se Ecra era riuscita nell’ intento?
La luna era alta nel cielo e poche erano le stelle che le tenevano compagnia.
Un leggero venticello spettinava i capelli di Kéndall che invece di svoltare verso sinistra, proseguì diritto in direzione del bosco. All’interno si udiva solo il verso del gufo accompagnato dallo strisciare di qualche animale nascosto tra i cespugli.
Si guardava attorno superficialmente, non aveva voglia di concentrarsi su qualche possibile pericolo, non a Mukrum, anche se i Cacciatori si erano spinti fino a lì. Probabilmente non erano a conoscenza del fatto che anche lui fosse in quella città, altrimenti gli avrebbero dato la caccia. Almeno sotto questo punto di vista poteva star tranquillo.
Era probabile che a Logh non si fossero accorti della sua assenza, forse lo avevano dato per disperso dopo l’attacco, addirittura per morto; in fondo Asha e Karm avevano perso la vita perché lui non doveva essere da meno?
Giunse alla grotta che aveva ospitato le due elfe. Senza la loro presenza appariva solo fredda e buia. Si lasciò cadere a terra, poggiando la schiena contro la dura roccia, lì nello stesso punto dove le ragazze avevano lasciato il messaggio.
Se solo se ne fosse accorto in tempo…. Guardava diritto di fronte a sé, come se si aspettasse che la situazione tornasse quella di prima, che tutto si sarebbe aggiustato in un attimo, che nulla fosse accaduto. Tutto invano!
«Kéndall!», una voce lo destò dai suoi pensieri.
Voltandosi, vide la figura di una giovane ragazza. Si aspettava di vedere magari Elam, ma l’immagine che comparve davanti ai suoi occhi era diversa, quasi avvolta in una leggera foschia, come se fosse davvero tutto un sogno.
«Ci conosciamo?», domandò con una punta di sorpresa nella voce.
«Non proprio –rispose- ci siamo incontrati, ma sempre di sfuggita!».
Il ragazzo strinse le fessure degli occhi come se quel gesto lo aiutasse a vedere meglio. I capelli castano chiaro le ricadevano sulle spalle, coperta da un vestito bianco stretto, alla vita aveva una cintura ampia e nera. Al fianco vi era riposta una spada e il viso della giovane lasciava trasparire un piccolo sorriso che le illuminava gli occhi.
«Ecra! Non ti avevo riconosciuto, ma come è possibile?», immediatamente il giovane si alzò da terra e fece un passo verso la ragazza.
«Magia! Non ti preoccupare, comunque, non ho fallito la mia missione.
Stiamo comunicando mentalmente, è un incantesimo che un giorno imparerai anche tu; mi è possibile compierlo con te poiché hai una potente aura magica e sto sfruttando quella, scusami! Non voglio perdere tempo in chiacchiere comunque. Riferisci a Sujum, che come pensavo, il nemico sta conducendo le elfe verso Nord. I Cacciatori sono solo in quattro, per cui questa notte stessa interverrò, ma se non farò ritorno tra massimo tre giorni mi raccomando, mettiti in viaggio, a qualunque momento sia giunto il tuo addestramento e….».
Un secondo dopo la figura scomparve esattamente così come era apparsa, lasciando la frase di Ecra in sospeso.
«Aspetta! Ecra!».
La mano di Kéndall sferzò l’aria, la voce lasciò solo un cupo silenzio tutto intorno a lui. Si lasciò sfuggire un sospiro prima di scuotere la testa e muoversi verso la strada che lo avrebbe ricondotto a casa.
Trovò Sujum ed Elam intorno al tavolo del salone a bere del tè caldo accompagnato da qualche biscotto. Non sapeva dire che ora fosse, ma sicuramente era tardi e l’amica non si preoccupava nemmeno che al ritorno avrebbe dovuto dare spiegazioni a suo padre: si era talmente abituata alla cosa che oramai non ci faceva più caso.
Kéndall, prima di raccontare l’avvenimento allo zio e ad Elam, riordinò le idee. Era confuso e non sapeva nemmeno da dove cominciare!
Terminato il racconto Sujum si limitò ad annuire prima di tornare al suo tè e alla conversazione interrotta con Elam.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia prima di scuotere le spalle e dirigersi verso la poltrona accanto al camino ancora acceso. Lì sopra vi era poggiato il suo libro di magia che iniziò a leggere. Non gli interessava il discorso tra lo zio e l’amica, non aveva ben capito di cosa parlassero, ma d’altronde non aveva compreso nemmeno molto bene la reazione di Sujum al suo racconto. Si aspettava magari qualche domanda in più, si aspettava di ricevere ordini, ma niente… sicuramente non voleva farsi trovare impreparato nel momento in cui gli fosse stato richiesto di partire.
Quando alla fine Elam decise di ritornare a casa, Kéndall si offrì di accompagnarla, ma la giovane rifiutò.
«Tuo zio mi ha detto che hai iniziato a lavorare e domani devi alzarti molto presto, per cui è meglio che torni a casa da sola! Non ti preoccupare so badare a me stessa. Grazie per il tè e tutto il resto, buonanotte!».
Il lavoro. A Kéndall era quasi passato di mente! Rumlo lo avrebbe sicuramente licenziato se si fosse permesso di arrivare tardi alla bottega e lui aveva bisogno di mettere da parte i soldi necessari per affrontare il futuro, ma soprattutto necessitava di compiere azioni che lo avrebbero distolto dai soliti pensieri.
Il giorno seguente Kéndall si svegliò con il mal di testa, era quasi tentato di non andare a lavorare, ma pur di distrarsi avrebbe fatto qualunque cosa. Si vestì molto lentamente, consumò una misera colazione e poi si mosse lungo la salita che lo avrebbe condotto verso la bottega. La giornata era grigia e il cielo prometteva pioggia. Questo non lo faceva stare certo meglio.
Quando giunse di fronte alla misera costruzione, trovò la porta chiusa.
Abbozzò una smorfia e si guardò attorno. Non era in anticipo, ma non era nemmeno in ritardo. Forse oggi per la bottega di magia era giorno di riposo, ma Rumlo non lo aveva avvertito. Sbuffò infastidito: ci mancava solo questa!
Stava per andarsene, quando la voce burbera lo richiamò. Rumlo era affacciato alla piccola e polverosa finestra della bottega, fece un cenno a Kéndall invitandolo ad entrare. Il giovane si accostò alla porta che solo dopo qualche istante si aprì. Appena varcò la soglia l’anziano si curò bene di richiudere l’ingresso con il chiavistello e precedette Kéndall lungo il negozio.
«Seguimi!», disse conducendolo nel retro bottega. Al giovane era stato proibito di entrare lì dentro, ma ora tutto sembrava cambiare, all’improvviso. Tutta la faccenda non lo convinceva e lo metteva persino a disaggio, per cui entrò nella stanza oltre la tenda nera con molta cautela.
Venne colpito dall’acre odore di diverse erbe magiche. Lì dietro vi erano un mucchio di oggetti riposti su scaffali, sedie e tavolo. Era tutto alquanto disordinato e Kéndall non nascose una smorfia di disgusto.
«Non fare quella faccia e ascoltami attentamente! So perfettamente chi sei, conosco il tuo passato e anche il tuo futuro. Nulla può sfuggire agli occhi di colui che è l’Arbitro del Rimprovero degli Immacolati».
«Daanaa’d?!», quasi fece cadere un libro dalla sorpresa.
«Nessuno mi chiama così da tanto tempo oramai, ma non siamo qui per me, ma per te! Fammi raccontare:
Come già saprai, molti anni or sono, quando il mondo cadde nelle viscide mani del male, i cinque Draghi Immacolati, protettori della terra, crearono cinque prescelti senza avi né passato. Il loro obiettivo era quello di sconfiggere il signore Oscuro e riuscirono nell’intento portando, a loro volta, altra distruzione.
Quando la guerra terminò, ognuno di noi cercò di farsi una vita, poiché non avevamo altri scopi. Durante la guerra, Pasiap morì e Hesiesh riportò ferite gravi, resistette un paio di mesi prima di abbracciare la morte. Io mi ritirai qui a Mukrum aprendo questa bottega per mantenermi e per lasciare agli altri un po’ del mio dono naturale. Infine c’erano Mela e Sextes Jylis, loro si sposarono, dando vita alla Stirpe del Drago, di cui tu fai parte. Ebbero due stupendi figli: Asha, tua madre e tuo zio Sujum. Purtroppo però, un giorno Mela partì, gli piaceva viaggiare, ma quel giorno non fece più ritorno, una lettera avvisò tua nonna della morte del Cavaliere Immacolato, lei allora decise di risposarsi, ma quell’azione segnò una drastica reazione. Capitò qualcosa: tua nonna venne uccisa e tua madre e tuo zio si trovarono costretti a fuggire».
«Mio zio non mi ha mai raccontato di questo!», disse Kéndall.
«Tuo zio non ti ha raccontato molte cose, ma ne verrai comunque a conoscenza prima o poi! Ti ho detto questo perché non credo sia un caso la morte di Sextes Jylis e non credo sia un caso il fatto che i Cacciatori abbiano attaccato Logh. Non mi guardare così Kéndall! So della morte di Asha e di Karm, come ti ho detto conosco molte cose di te. Quello che ti voglio dire è che il signore Oscuro sta dando la caccia a coloro che appartengono alla Stirpe del Drago, tuo zio potrebbe essere il prossimo o forse anche tu… devi tenere gli occhi aperti Kéndall! Non ti devi fidare di nessuno, il signore Oscuro ha spie ovunque, anche tra chi non ti aspetteresti mai!».
«Capisco!», rispose solamente.
«Kéndall, tu sei il Cavaliere Immacolato del Vento e come tuo nonno allora, anche a te spetta gran parte di questo compito! Io non posso più permetterti di lavorare qui, come ti consiglio di non lavorare più da nessun’altra parte in questa città: devi occuparti solo della tua missione! Capisco che hai bisogno di soldi e per questo ti lascerò un sacchetto di monete per la tua liquidazione, io oramai sono vecchio e non me ne faccio più niente di tutto questo denaro. Ora vai!».
«Grazie Daanaa’d!», disse il giovane afferrando con lieve titubanza il sacchetto che gli offriva l’uomo.
«Kéndall, ricordati di quello che ti ho detto: non ti fidare di nessuno se non degli altri Cavalieri Immacolati! Buona fortuna ragazzo».
Uscì dalla bottega, anche Rumlo gli aveva raccomandato di non fidarsi troppo spesso delle persone che gli stavano attorno. Valeva la medesima cosa anche Sujum e con Elam? In fondo lo zio gli aveva tenuto nascosto alcune cose a quanto gli aveva detto il vecchio ed Elam era la sua pupilla, e se… no! Non doveva pensare che anche Sujum poteva risultare un nemico, se così fosse stato sua madre non gli avrebbe detto di andare da lui.
Quando il giovane rientrò a casa trovò Sujum immerso nella lettura ed Elam intenta a preparare il pranzo.
«Sei tornato presto oggi!», commentò la ragazza.
«Non ho lavorato oggi: la bottega era chiusa! Giorno di riposo, me ne ero dimenticato», dire bugie non era il suo forte, ma preferiva tenere per sé la conversazione tenuta con Rumlo.
Lanciò uno sguardo verso lo zio che non aveva alzato gli occhi da quel minuscolo libro che teneva tra le mani, la scrittura era talmente piccola che l’uomo si era piegato su se stesso pur di leggerla.
Kéndall, dopo aver apparecchiato la tavola, si accomodò e gli altri due fecero lo stesso.
Restarono in perfetto silenzio mentre consumavano quello che avevano nel piatto, consisteva in patate e pesce. Ognuno era immerso nei propri pensieri. Kéndall pensava al futuro, , all’incontro con gli altri Cavalieri Immacolati, ai luoghi che avrebbe avuto modo di visitare e all’incontro con il signore Oscuro. Sin da piccolo aveva covato il desiderio di vivere un’avventura diversa, di posti fantastici ma ora che tutto questo stava diventando realtà, non poteva nascondere un certo timore. Sarebbero mai riusciti a portare sulle spalle un simile fardello? Ma soprattutto sarebbero mai riusciti a riportare la pace nel mondo di Ianor?
Sujum, invece, faceva mente locale su tutto quello che aveva letto riguardo ai druidi e ai segreti della loro lingua. Non aveva, però, trovato nulla che lo potesse condurre al fatto che anche Kéndall fosse in grado di poter leggere l’idioma. Solo i druidi e i loro discendenti ne erano in grado. Che dalla parte della famiglia di Karm ci fosse stato qualche druido?
Ma se così, perché tenerlo nascosto?
Elam, dopo essersi crogiolata nel silenzio per troppo tempo fissò lo sguardo prima su Sujum, poi su Kéndall.
«Quando partirai, io verrò con te!», disse.
Zio e nipote furono presi alla sprovvista ed entrambi si trovarono a fissare sbalorditi la giovane.
«Cosa?!», esclamò Kéndall.
«Hai sentito bene! Ormai questa guerra è entrata a far parte anche della mia vita, come nella vita di ogni Cavaliere Immacolato. Sono stanca di aspettare, di rimanere con le mani in mano mentre altra gente muore per salvare la mia vita, quella della mia famiglia e quella di migliaia di altra gente. Ognuno di noi desidera che le cose ritornino al proprio posto ed ognuno di noi deve darsi da fare per provvedere che ciò accada!».
«Ma sei sicura di quello che dici?», questa volta era Sujum a parlare.
«Sicurissima! Ci ho riflettuto a lungo, anche prima che Nesca e Naira venissero prese dai Cacciatori. Sapevo che Kéndall un giorno all’altro sarebbe partito…», Elam fissava l’amico dritto negli occhi ed era chiara la sua determinazione.
«E Parkam?», chiese infine il giovane.
La domanda le arrivò come uno schiaffo in pieno volto. Aveva pensato anche a lui certo, ma ancora non aveva avuto il coraggio di dirglielo.
Non aveva idea di come avrebbe reagito il padre, forse si sarebbe infuriato, forse le avrebbe dato la sua benedizione, forse l’avrebbe richiusa nella sua camera fino a che quell’idea non le fosse passata di mente. .
«Glielo dirò –disse poi – non dico che sarà d’accordo, ma lo saprà!».
Per Kéndall la discussione poteva anche terminare lì, ma fu Sujum ad intervenire nuovamente, lasciando cadere quella goccia che fece traboccare il vaso.
«Ma tu hai solo diciassette anni!», disse.
«E allora? Non hanno forse quindici o sedici anni quelli che vengono mandati in guerra contro i Cacciatori? Non ci sono neonati che hanno già il destino segnato? Kéndall aveva due anni quando è stato prescelto ed ora non ne ha molti più di me! Ci sono bambini che perdono i propri genitori, che muoiono a causa della guerra… Sujum non parlarmi di età!».
L’uomo non disse nulla. Sapeva di aversi giocato l’ultima carta, aveva peccato di egoismo, non voleva che Elam partisse, non voleva rimanere solo in una città grande come Mukrum. Le cose avevano preso una brutta inclinazione da un po’ di anni a questa parte. Aveva iniziato a soffrire la solitudine e il suo unico appiglio con il mondo esterno era Elam, ma doveva lasciarla andare, era giovane e sicuramente sentiva il bisogno di vivere la propria vita.
«Kéndall, tu cosa dici?».
«Non hai bisogno del mio consenso! Sei tu a dover scegliere per te stessa, voglio solo farti riflettere su una cosa però, vuoi partire perché desideri veramente mettere la parola fine a questa guerra o perché vuoi semplicemente andar via da Mukrum? Io non metto in dubbio la tua buona fede; è solo una riflessione che ti chiedo di fare e, sia chiaro, non voglio una tua risposta, deve essere solo una tua consapevolezza».
La ragazza non disse nulla. Le parole di Kéndall però erano un valido argomento su cui pensare. Effettivamente non sapeva rispondere. Perché il desiderio di partire era venuto solo ora? Perché voler aiutare il prossimo solo in questo momento della sua vita? La guerra era sopraggiunta molto tempo prima. Perché abbandonare Mukrum solo dopo l’arrivo del giovane?
Forse era proprio Kéndall il vero motivo!
«Devo proprio andare ora, ci vediamo questa sera!», disse Elam alzandosi da tavola e lasciando la casa. Kéndall rivolse la sua attenzione verso lo zio, da quando vi era stato l’accaduto riguardante le due elfe, non avevano avuto modo di parlare molto.
«Quando partirò, quali saranno le mie tappe?», chiese il giovane.
«Non so se ti sei reso conto che anche le altre statue dei draghi si sono illuminate. Ecra non era venuta qui solo per avvisarmi che Nesca è un Cavaliere Immacolato, ma anche che ha capito dove si trovano gli altri. All’inizio dovrai dirigerti verso la Terra Centrale, il Cavaliere Immacolato della Terra ti attenderà lì, poi ti sposterai verso i confini delle Terre del Nord dove troverai il Cavaliere Immacolato del Fuoco. Non so come funziona esattamente, ma la vostra meta sarà la città di Kronos: il male è concentrato in quel punto».
«Ed Ecra e Nesca?».
«Non preoccuparti per loro due. Se Ecra non fa ritorno prima, riuscirà a trovarti ovunque tu sia. In fondo avete tutti un obiettivo in comune, no?!».
Kéndall cercava risposte a molte altre domande, ma non sapeva nemmeno da dove iniziare per cui lasciò correre. Si alzò ed uscì di casa senza dire nulla.
Sicuramente non era facile per suo zio quellaa situazione: si era dovuto abituare alla presenza di una persona che, nonostante fosse suo nipote, avevae ritmi, esigenze, desideri diversi dai suoi. Il ragazzo comprendeva bene che Sujum stava impegnando tutto se stesso per non risultare troppo esigente o autoritario. Kéndall forse doveva essere più rispettoso nei confronti dell’uomo, ma dall’altro canto anche lui si era dovuto ambientare ad una città, a delle persone, ad un destino che in fondo non si era cercato.
Decise in quell’istante di tornare a fare una capatina alla biblioteca della città. Quel luogo lo metteva a proprio agio e lo confortava sapere che era custodito da un uomo che aveva conosciuto i suoi genitori, che aveva aiutato sua madre ad imparare degli incantesimi che poi, di conseguenza, erano stati insegnati a lui, che era sempre disponibile ad aiutare chiunque. Leggere, inoltre, lo aveva sempre tirato su di morale. Era un rifugio che aveva imparato a conoscere quando le liti con suo padre erano aumentate.
Si mosse lungo le vie non badando nemmeno alle persone che gli passavano accanto, che continuavano a vivere la loro vita in un’illusione continua, come se la guerra non esistesse, ignorando che prima o poi essa avrebbe posto in ginocchio anche una città fiorente come Mukrum.
Quando giunse a destinazione e oltrepassò la soglia della porta, a venirgli incontro non fu quello stesso viso conosciuto che lo faceva sentire a proprio agio. Ora si trovava di fronte un ragazzo mingherlino, forse di qualche anno più grande. Aveva capelli rossi e il viso pieno di lentiggini.
«Posso esserti utile in qualche modo?», chiese, mettendo in mostra denti gialli e rovinati.
«Ma l’uomo che gestiva la biblioteca prima?», domandò a sua volta Kéndall.
«E’ partito, ora lo sto sostituendo! Conosco già la prossima domanda: dove è andato? Non ne ho idea e non mi interessa. Ho molto da fare, perciò dimmi se posso esserti utile in qualche modo?».
Kéndall volse lo sguardo lungo la sala prima di ritornare a guardare il ragazzo accanto a sé, scosse la testa e se ne andò lasciando il tipo mingherlino borbottare qualche imprecazione alle sue spalle.
Tornando sui propri passi, vide, alla sua destra, una locanda che si notava per quel colore violaceo sulle pareti. Senza neanche pensarci un momento, entrò.
All’interno c’era un bancone lungo di legno vecchio e rovinato agli angoli, e dietro, una donna intenta a pulire, con uno strofinaccio, un bicchiere già lucido. I tavoli, una decina, erano sparsi lungo la sala che non era molto ampia. Le pareti coperte da qualche ritratto di paesaggi esotici. Solo quattro persone stavano all’interno: un uomo che conversava con qualcuno di inesistente di fronte a sé, due uomini, seduti uno accanto all’altro, profondamente addormentati e in un angolo, poco illuminato, la figura di un’altra sagoma coperta da un lungo mantello nero, il cui cappuccio ricadeva sul volto. Era l’unico che teneva un bicchiere di birra di fronte a sé. Kéndall, prima di andarsi a sedere, si avvicinò al bancone ed ordinò un bicchiere di birra fresca. La donna seguì ogni suo più piccolo movimento mantenendo un sorriso beffardo sul proprio volto.
Anche dopo aver ricevuto la bevanda ordinata, quella donna continuava a fissarlo mettendo in evidente imbarazzo Kéndall che beveva a piccoli sorsi.
Alla fine la locandiera si avvicinò al tavolo del ragazzo.
«Come ti chiami? Conosco ogni singolo volto di questa città e il tuo mi è nuovo».
«Kéndall!», rispose il ragazzo con sguardo perplesso.
«Non essere timido! Sei molto carino, mh?! Ti spiace se ti guardo?».
Oltre a metterlo in imbarazzo era anche sfacciata. Non era molto bravo a scegliere i posti giusti dove permettersi una distrazione o un attimo di pace.
«No, fai pure!», rispose mentendo.
La donna era piuttosto grande di statura, aveva gli occhi di un azzurro lucente e i capelli castani erano tenuti in una corta coda di cavallo.
«Piuttosto, non mi sono presentata. Mi chiamo Erised e dirigo questa baracca da almeno cinque anni, mio padre morì che ne avevo sedici per cui gli affari di famiglia passarono in mano mia. Ora la vedi deserta, ma non è stata sempre così. Comunque puoi raccontarmi di te!».
«Non ho nulla da dire», rispose Kéndall bevendo l’ultimo sorso di birra.
«Ne vuoi ancora? Mio padre diceva sempre che avevo la capacità di capire se qualcosa non andava, non mi poteva mai nascondere nulla! Ti leggo in faccia che hai qualcosa che non va, sei triste vero? Puoi sfogarti con me se vuoi, sono un’ottima ascoltatrice, è vero parlo anche molto, ma so stare zitta quando serve. Su, racconta!». Kéndall si trovò a scuotere la testa. Non aveva voglia di parlare, solo di essere lasciato in pace, non chiedeva molto, ma non voleva offendere la locandiera. Gli occhi del giovane poi si trovarono a seguire la figura di quell’uomo misterioso con il mantello nero. Si era appena alzato dalla sua postazione, si avvicinò al bancone, lanciò su di esso delle monete e prima di andarsene lanciò un’occhiata verso Kéndall che si sentì gelare il sangue.
«Non preoccuparti, non è così cattivo come sembra. Il suo nome è Bregael e viene dalle Terre del Sud, è un ladro di mestiere, ricercato in tre o quattro città. Se non fosse un ottimo cliente probabilmente lo avrei denunciato alle guardie e mi sarei presa la ricompensa, ma con questa guerra in corso ognuno di noi cerca di sopravvivere come può. Quei due lì sono i fratelli Raak, sono quasi sempre ubriachi, hanno perso tutto il loro denaro nel gioco. Quell’idiota che parla da solo è Sabbù, racconta di essere stato nelle prigioni della fortezza del signore Oscuro, dice di aver subìto talmente tante torture che non rammenta nemmeno la strada per tornare nel suo paese, ma quella per venire alla locanda a bere, vedi come se la ricorda! E’ qui praticamente ogni giorno, da quando apro le porte ai clienti a quando le chiudo».
«Mi dispiace Erised, ma ora devo proprio andare!», disse il ragazzo tirando fuori le monete per pagare la birra.
«Oh no, il primo giorno offre la casa! Spero che tornerai presto a trovarmi».
«Probabilmente!», rispose il ragazzo prima di allontanarsi.
verso casa.