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3) La stirpe del drago

Romanzo fantasy di Rebecca Bannò

III Capitolo
Vita a Mukrum

«Coraggio Kéndall, è mattina!».
Quando il giovane riaprì gli occhi, si trovò di fronte a suo zio che gli offriva una tazza di tisana fumante.
«Bevi questo, ti aiuterà a rimetterti in forze», lo esortò.
Con fatica il ragazzo si sedette, gli girava la testa.
Aveva dormito così tanto? Prese dalle mani dello zio la tazza e soffiando di tanto in tanto, bevve il liquido bluastro. Aveva un sapore dolce e Kéndall sentiva che gli stavano tornando le forze.
«Perché mia madre non mi ha mai raccontato nulla?».
«Aveva paura! –lo zio sospirò- Non voleva che ti sentissi sulle spalle il peso di questa guerra, non voleva che il tuo compito condizionasse la tua fanciullezza. Dovevi crescere come tutti gli altri bambini della tua età. Asha conosceva il tuo destino ancor prima che tu nascessi. Tu fai parte di una Stirpe di Cavalieri Immacolati. I tuoi nonni sono Mela, l’Immacolato del Drago del Vento e Sextes Jylis, l’Immacolata del Drago della Foresta. Loro ci avevano raccontato che quando udirono le voci dei draghi erano solo dei bambini, ma dovettero accettare il proprio destino, non potevano ritirarsi perché da loro dipendeva la salvezza di Ianor. Tua madre voleva solo che a te venisse data la possibilità di scegliere se accettare o meno il tuo destino».
«E mi viene data ora la possibilità di scegliere?», chiese Kéndall con una punta di ironia.
«No! –Sujum scattò in piedi irritato – Non vuoi capire ragazzo?! Tua madre ha sacrificato la sua vita per tenerti al sicuro, perché pensi che i Cacciatori abbiano attaccato Logh? Se avessero voluto sterminarla l’avrebbero fatto da molto più tempo…. Prima di Logh hanno invaso la Terra dell’Ovest perché noi siamo originari di lì, poi sono venuti a Mukrum qualche anno fa e, dopo faticose ricerche, hanno scoperto che ti trovavi a Logh, ma grazie al sacrificio di Asha sei ancora vivo! Perché credi che tua madre ti abbia mandato da me? Voleva che ti istruissi sul tuo compito… volente o nolente la strada del tuo destino è già stata scritta e a te rimane solo percorrerla!».
Il giovane sospirò e scosse la testa. Ora che conosceva la verità, molti tasselli della sua vita si andavano ad incastrare perfettamente. Ora comprendeva le decisioni che Karm aveva preso per la sua vita o quelle di Asha.
Non era un caso che lo avevano spedito in Accademia, che la donna gli avesse insegnato l’arte della magia o che il padre continuava a dirgli di prepararsi alla guerra.
Alzò lo sguardo e lo posò sulla parete di fronte a sé, pensieroso. Fece spallucce ed annuì.
«Dimmi cosa devo fare!», disse poi.
«Vieni a vivere con me e ti insegnerò tutto quel che devi sapere», la voce di Sujum era tornata calma.
Il ragazzo sospirò e posò la tazza vuota sul comodino accanto al letto.
Non gli dispiaceva vivere in compagnia di suo zio, ma questo voleva dire comunicare la decisione a Parkam e… come avrebbe reagito l’uomo?
Avrebbe considerato anche lui un pazzo? Erano stati tutti molto gentili ed ora gli toccava dare un dispiacere a qualcuno…
«Vedi Kéndall, la conoscenza richiede sacrifici! –Iniziò a dire Sujum come se avesse letto i pensieri del giovane – Dopo che capimmo che tu saresti divenuto uno dei cinque prescelti, mi ritirai in casa per lunghi anni. Chiusi tutti i rapporti che avevo con l’esterno, non ci si poteva fidare più di nessuno e cominciai a fare delle ricerche. Per tenere lontano le persone, lasciai che si crearono storie irreali intorno alla mia figura e feci un incantesimo della notte lungo questa parte della città.
Bisogna compiere delle scelte nella vita, che in un primo tempo non si comprendono e si trovano ingiuste, ma poi capirai che così facendo aiuterai molti di coloro che ti stanno attorno. I Cacciatori ti stanno cercando e per arrivare a te: sappi che useranno anche coloro che ti sono vicini».
«Sì, hai ragione! Ora però vorrei riposare!».
Quando Kéndall uscì di casa non vide suo zio, probabilmente stava in una delle numerose stanze della casa per cui decise di non disturbarlo.
Anche se in cielo il sole splendeva, la giornata era fredda. Però il rigido inverno stava lasciando spazio alla primavera che lentamente si preparava a compiere il suo ingresso. Il giovane tornò nei pressi della casa di Parkam e lungo la via incontrò Elam.
«Kéndall, ma dove diavolo sei stato? Eravamo molto in pensiero per te, non sei tornato ieri sera».
«Sto bene, non ti preoccupare. Tuo padre è in casa?», domandò.
Meglio comunicare subito la decisione presa. Non sarebbe stata facile, ma come aveva detto suo zio, l’intera famiglia di Parkam poteva trovarsi in pericolo stando a contatto con lui.
«No, si trova al Torricino, si incontra con i suoi amici lì: è una locanda. Se vuoi ti accompagno!».
«Va bene, ma devo prendere una cosa».
Dopo aver recuperato lo zaino, Kéndall tornò da Elam, la quale aveva pronte già mille domande ma lasciò correre e condusse il ragazzo alla locanda.
Camminarono per un po’. Salirono delle scale, attraversarono un ponte, passarono alcuni vicoli stretti, percorsero una via piena di buche e alla fine del sentiero girarono a sinistra trovandosi di fronte un’insegna rossa con la scritta dorata “Benvenuti al Torricino”.
Quando entrarono nella locanda l’odore di fumo e di sporco fece arricciare il naso a Kéndall che si sforzò a non fare commenti. Nella sala principale si trovava un bancone e dietro un uomo era intento a versare birra nel boccale. Tavoli rossi rendevano ancora più buia la sala dalle pareti blu. Seduto ad uno dei tavoli Kéndall intravide Parkam che lo stava già salutando con la mano.
«Ragazzo mio, ma dove ti eri cacciato? Vuoi unirti a noi? Sei il benvenuto, prendi una sedia!».
«Ti ringrazio per l’invito, ma devo rifiutare. Ti posso parlare un secondo?».
L’uomo guardò perplesso il giovane e poi rivolse lo sguardo verso gli amici facendo un cenno con il capo.
«Allora va bene, Elam puoi restare qui? Torno subito».
I due uscirono, Kéndall manteneva un viso serio, al contrario di quello di Parkam che, probabilmente, aveva già bevuto qualche bicchiere di troppo.
«Ecco, io volevo ringraziarti per la gentilezza tua e della tua famiglia, per l’ospitalità…»
«Si può sapere cosa stai farfugliando?», chiese Parkam notando solo in quel momento lo zaino sulle spalle del giovane.
«Io… ho deciso di andare ad abitare da Sujum, ecco… lui è mio zio!».
«Cosa? Quel vecchio pazzo? Non essere ridicolo», l’uomo scoppiò a ridere.
«Sto dicendo la verità! Sono stupito quanto te, anche io l’ho scoperto solo ieri, ma ho preso la mia decisione e che credo sia quella giusta», Kéndall arricciò il labbro dispiaciuto.
«Quella giusta, mh?! Strani scherzi compie il destino. Sei libero di scegliere quello che meglio credi per la tua vita. Addio!», l’uomo rientrò nella locanda e tornò a scherzare con i propri amici, proprio come se nulla fosse accaduto.
Elam guardò Kéndall con occhi tristi, il giovane sorrise prima di allontanarsi.
Camminò in lungo e in largo per la città; poteva affermare di essersi perduto. Non rammentava la strada percorsa con Elam per giungere alla locanda e così si trovò a girovagare, anche se in fondo, non dava un grande peso a tutta la faccenda. Si era ripromesso di visitare Mukrum ed ora ne aveva l’opportunità. Alzando gli occhi dalla strada, scorse un enorme edificio completamente bianco e ben illuminato.
Grandi vetrate davano la possibilità di guardare all’interno e, non resistendo alla tentazione, Kéndall si affacciò intravedendo degli scaffali lungo la parete, tutti pieni di libri. Vi erano anche dei tavoli sparsi lungo la grande stanza, con relative sedie. Delle persone erano sedute intente a contemplare dei tomi. Non c’erano dubbi: si trattava di una biblioteca. Per Kéndall era come un invito a nozze, dopo qualche secondo aveva già oltrepassato la soglia della porta e si guardava intorno.
Gli si avvicinò un uomo con una lunga barba bianca ed un paio di occhiali che gli ricadevano sul naso. I piccoli occhi azzurri fissavano la figura di Kéndall.
«Posso esserti utile ragazzo?», domandò sussurrando. Dava proprio l’idea di un topo di biblioteca.
«Mhm… si penso di sì! Vorrei consultare dei libri».
«Certamente, siam qui per questo! Che tipo di libri desideri?».
«Ne vorrei qualcuno sulla Stirpe dei Draghi dell’Era Vecchia, ne avete?».
L’uomo non rispose, fece solo una faccia offesa, come se fosse stato colpito nell’orgoglio. Era naturale che ne avessero poi lasciò che Kéndall si sedesse dove desiderava, mentre si allontanava per prendere i tomi richiesti. Tornò con diversi volumi dai titoli più svariati.
«Grazie», disse il giovane ricevendo solo un accenno di sorriso dal bibliotecario che si allontanò e tornò alla sua postazione, attento che ognuno dei presenti trattasse con cura i libri o le mappe che consultavano.
Kéndall prese il primo libro che gli capitò sotto le mani con il titolo “La guerra dei Cavalieri Immacolati”. La copertina riportava l’immagine di cinque draghi di cinque colori differenti. Aprì la prima pagina e si immerse nella lettura.
“Ognuno riporta una versione differente della guerra dei Cavalieri Immacolati contro il male, ognuno ricerca quella versione che più gli si addice, ma qui vi riporterò esattamente la storia per intero, così come è avvenuta… senza schierarmi da nessuna parte.
Premetto che bene e male coesistono da ancora prima che questo mondo venisse creato. L’uno non può vivere senza l’altro, ma se si spezza quel filo sottile che rende equilibrato questo pianeta allora i cinque draghi, che sin dai tempi antichi sono stati messi di guardia, sono costretti a risvegliarsi dal sonno ed intervenire per riportare le cose al proprio ordine […].
Passiamo dunque a parlare dei compiti di ognuno di queste bestie.
A Nord si trova il Drago Rosso o di Fuoco, il suo compito è di giustiziare il nemico dal cuore malvagio.
Ad Est troviamo il Drago Verde o della Foresta, lui ha la competenza di rendere fertili i campi.
A Sud, il Drago Nero o dell’Acqua, protegge tutti coloro che recitano incantesimi e preghiere.
Ad Ovest, il Drago Azzurro o del Vento, ha la capacità di controllare le condizioni climatiche, ma è anche il comandante delle battaglie.
Alla fine, ma non meno importante, al Centro troviamo il Drago Marrone o della Terra, ha la competenza di tenere saldo l’intero mondo di Ianor.
Accadde però che la signora dei Draghi, richiamata dalle preghiere dei profeti, risvegliasse le bestie con il suono del suo fischio e allora per oltre venticinque anni l’equilibrio si spezzò e la guerra toccò anche quelle terre che ancora erano rimaste intatte […].
Il fischio della signora dei Draghi, per le bestie, significava solo una cosa: l’ora di intervenire. Ognuno di loro, dalla saliva e dalla terra, plasmò cinque fanciulli completamente puri che non conoscevano né il bene né il male. I Draghi per loro erano come un genitore, vennero accuditi, allevati e allenati. Al compiere del ventesimo anno i ragazzi insieme ai Draghi uscirono dai loro nascondigli e partirono verso colui che aveva spezzato l’equilibrio tra bene e male.
Ognuno di questi Cavalieri Immacolati aveva con sé una spada dai poteri sconosciuti, fatta di un metallo proveniente dalle scaglie di drago, duro ed indistruttibile; armi che non sono mai state rinvenute.
Durante questi venticinque anni, il mondo cadde in un caos profondo, poiché i Draghi, risvegliati dal sonno, non poterono più mantenere i compiti di cui sono portatori.
La fine della guerra arrivò presto, i Cavalieri Immacolati si presero la loro vincita, l’equilibrio tra bene e male tornò stabile e le cinque bestie tornarono al loro sonno, ritornando a svolgere il compito per cui erano stati creati.
Il mondo ritornò a vivere in pace, almeno sino ad oggi […].”
Blader Mar (consigliere del regno del Sud)
«Ragazzo, stiamo chiudendo! Puoi tornare domani se lo desideri», il bibliotecario si era avvicinato al banco di Kéndall che alzò lo sguardo notando, solo in quel momento, che gli altri presenti avevano già abbandonato il luogo e che fuori iniziava a calare il sole.
«Va bene, la ringrazio, me li potrebbe mettere da parte? Tornerò domani».
«Certamente!», rispose l’uomo raccogliendo i libri per allontanarsi nuovamente sparendo dietro ad una tenda bianca.
A passi lenti il giovane uscì dalla struttura trovando Elam poggiata contro il muro che lo attendeva.
«Cosa ci fai qui?», la sorpresa di Kéndall era evidente.
«Mentre girovagavo per la città ti ho visto lì dentro ed ho deciso di aspettarti! Si, lo so che non starai più da noi, mio padre me lo ha detto ed era molto arrabbiato, volevo solo chiederti se è tutto apposto?! Insomma dalla volta all’Arena non ci siamo quasi più rivolti la parola!».
«E’ tutto in ordine Elam, ho deciso di andare via solo perché ho scoperto di avere uno zio a Mukrum ed ora sto alloggiando presso lui, ma non ho nulla contro di te o Parkam o altri. Ora devo andare, buona serata», il giovane fece un cenno del capo verso la ragazza e si allontanò tornando a camminare per la città senza sapere bene dove andare.
Aveva affrettato il passo, se fosse scesa la notte, allora sì che sarebbe stato un bel problema, in quel caso orientarsi sarebbe diventato impossibile. Il suo punto di riferimento era il ponte, se solo avesse trovato quello era a cavallo. Almeno poter chiedere indicazioni a qualcuno?
Da quando vi era la guerra, a Mukrum, così come a Logh o in molte altri posti, appena iniziava a calare la sera tutti rientravano in casa, era folle rimanere fuori a notte fonda, non sapevi mai chi potevi incontrare. Le razzie, con la guerra, erano aumentate e molti misfatti rimanevano impuniti. Kéndall tirò un sospiro di arresa. Aveva percorso strade larghe, vicoli un po’ più stretti,salite e persino discese, gli edifici gli sembravano tutti uguali e per un paio di volte passò di fronte alla biblioteca. Non aveva un grande senso dell’orientamento, a Logh riusciva a muoversi meglio, ci era nato dopotutto, ma in una città tre volte grande il suo paese… diventava un po’ più complicato!
«Non è semplice orientarsi a Mukrum, mh?!», una voce femminile richiamò l’attenzione di Kéndall che si voltò e posò il suo sguardo sulla figura di Elam.
«Non mi dire che mi hai seguito?».
La giovane annuì e sorrise avvicinandosi all’amico e prendendolo sotto braccio.
«Quando ti ho visto ripassare di fronte alla biblioteca ho deciso di starti dietro, bisogna dire che non sei bravo con la memoria! Ti accompagno in piazza, magari lì ti orienti meglio».
«Grazie mille Elam!».
Camminarono uno accanto all’altra. Nessuno dei due parlava, anche se entrambi desideravano farlo.
Elam desiderava sapere chi fosse lo zio di Kéndall, se magari potevano continuare a frequentarsi e a conoscersi meglo. Insomma non negava che il giovane le interessasse e poi quell’aria misteriosa che lo circondava lo rendeva ancora più affascinante.
Dall’altra parte il giovane aveva bisogno di parlare con qualcuno di tutta questa strana avventura che iniziava a circondarlo. Scoprire di essere un Cavaliere Immacolato, che il destino del mondo di Ianor dipendeva da lui e da altre quattro persone che nemmeno conosceva; raccontare che suo zio non era poi il mostro che tutti descrivevano, che si comportava così solo per salvare le vite altrui, che lo stesso destino sarebbe capitato a lui, che aveva solo voglia di vivere la sua vita nel mondo più normale, non essere coinvolto in una guerra che non desiderava combattere… Voleva solo essere sincero con Elam, ma le parole di Sujum erano state chiare. Meglio non fidarsi di nessuno, meglio tenere le persone alla larga da tutta la faccenda, meglio il silenzio che la loro morte.
Non se ne rese conto, ma dopo un po’ si ritrovarono in piazza.
«Ecco, da qui ti sai orientare meglio, immagino!», disse Elam.
«Sì…», il giovane volse lo sguardo verso la bottega da dove iniziava la discesa che lo avrebbe condotto verso la casa di Sujum.
«Beh, allora buonanotte Kéndall!», la giovane si volse e stava per andarsene se il ragazzo non l’avesse richiamata.
«Elam… -si interruppe per riordinare le idee e le parole, doveva essere sincero con lei?- ecco io… beh se ti va possiamo continuare a vederci ogni tanto! Non so… magari…. anche domani?».
La giovane annuì sorridente.
«Sai dov’è casa mia, vieni quando vuoi!».
«Buonanotte Elam!», i due si salutarono e ognuno si avviò per la propria strada.
Il mattino dopo trovò Sujum fuori nel giardino a fare colazione, la primavera aveva fat capolino regalando una bella giornata di sole. La cosa più straordinaria per Kéndall era notare che l’incantesimo di notte eterna era stato spezzato. Sujum gli aveva spiegato che era meglio per il ragazzo. Doveva stare lì con lui fino a che non fosse arrivato il momento di partire per compiere il suo compito e voleva che vivesse in una condizione tale da farlo stare allegro.
Il giovane ringraziò lo zio, ma non si fermò a fare colazione, desiderava tornare in biblioteca che raggiunse ben presto. Non sapeva come, ma questa volta la strada l’aveva rammentata.
Era stato il primo ad arivare, c’era solo il bibliotecario intento a pulire i tavoli.
«Buongiorno!», disse Kéndall permettendosi un gran sorriso verso quel topo di biblioteca.
«Oh, buongiorno, mattutino! In genere non viene nessuno a quest’ora, non sei di queste parti vero ragazzo?».
«No, sono di Logh, nelle Terre Selvagge!», rispose.
«Capisco, vado a prendere i libri, mettiti pure comodo».
Kéndall prese posto allo stesso tavolo del giorno precedente. In quel punto vi era una l’illuminazione giusta. Non doveva sforzare gli occhi per leggere anche quelle note scritte leggermente più piccole.
Il bibliotecario portò i libri messi da parte e il giovane ringraziò.
«Buona lettura ragazzo!».
«Il mio nome è Kéndall!», disse.
«Oh Kéndall?! Sei il figlio di Karm ed Asha?», domandò.
«Esattamente, ma come li conosce?».
«Li conoscono tutti qui a Mukrum! Tuo padre per la sua grande forza e il suo coraggio, difese con onore la città di Mukrum quando venne attaccata forse più di venti anni fa. Credo che si sia conosciuto così con tua madre. Lei era a combattere insieme a molti altri di noi, immagino tu sappia che Asha è una maga, mh?! –non attese la risposta di Kéndall riprendendo a raccontare – Molti degli incantesimi che conosce lei sono anche grazie ai libri che conserviamo. Veniva qui praticamente ogni giorno e alcune volte si fermava dopo la chiusura per aiutarmi a rimettere in ordine. Un giorno mi disse che sarebbe partita verso le Terre Selvagge con suo marito, era incinta di te all’epoca, di tre o quattro mesi, credo. Karm voleva che tu nascessi lontano da tuo zio, non si sono mai visti di buon occhio! Comunque Sujum ti veniva spesso a far visita, ma un giorno tornò per sempre e si rinchiuse dentro casa uscendo di rado. Ero molto amico anche di lui, però col tempo il rapporto si è andato affievolendo. Non ti fidare delle voci che girano sul suo conto, tuo zio non è pazzo; è solo troppo intelligente per la gente di questa città! Stai alloggiando presso di lui immagino?! I tuoi genitori come stanno?».
«Sì, mio zio mi sta ospitando. Mia madre mi ha mandato da lui prima di morire, sono stati uccisi dai Cacciatori. Hanno attaccato il nostro paese nel cuore della notte, sterminando chiunque si mettesse sulla loro strada», era una ferita ancora aperta, una ferita che non sarebbe mai guarita.
«Oh, mi dispiace; maledetti Cacciatori! Non fanno altro che spargere terrore e morte», scosse la testa e si allontanò senza dire più una sola parola. Anche lui, probabilmente, doveva mandare giù la morte di Asha.
Sapere che sua madre e suo padre erano ritenuti delle persone di grande valore a Mukrum, consolava Kéndall che poco istanti dopo tornò ad immergersi nella lettura.
Il libro continuava a raccontare dei Cavalieri Immacolati, riportando addirittura i loro nomi.
“Vi era Daanaa’d, l’arbitro del rimprovero degli Immacolati, che apparteneva al Drago di Fuoco. Si dice che dopo la guerra si allontanò per sempre dalla sua Terra stabilendosi nella Terra della Sabbia Rossa. Infatti molti pensano che la sabbia rossastra che abita queste terre sia il ricordo delle scaglie che ha voluto lasciare il suo Drago.
In seguito troviamo Hesiesh, colui che recita tonanti inni e preghiere portentose, appartenente al Drago d’Acqua. Di lui, dopo la guerra, non si è saputo più nulla. Alcuni raccontano che sia morto durante la battaglia, altri che si sia ritirato nelle Terre del Sud pregando per tutti le coloro che avevano perso la vita a causa del male.
Sextes Jylis, colei che ha reso fertili i campi, l’Immacolata del Drago della Foresta. Di lei, sappiamo per certo, che si è ritirata nelle Terre dell’Ovest perché aveva conosciuto un sentimento che va oltre la morte, un sentimento che nulla può annientare, nemmeno le grandi acque: l’amore.
Pasiap, colui che illumina il mondo con la potenza e la maestà, l’Immacolato del drago della Terra. Diamo per certo che morì durante la battaglia salvando la vita al suo compagno Daanaa’d.
Ed infine Mela, il supplicante delle nuvole che accorre al richiamo della battaglia, appartenente al Drago del Vento. Si ritirò nella Terra dell’ovest insieme alla sua amata Sextes Jylis.”
Era strano leggere dei propri nonni su un libro. Erano considerati, da moltissimi, degli eroi e persino lui li riteneva tali. Scoprire di discendere da una stirpe di Cavalieri Immacolati lo riempiva d’orgoglio e di inquietudine allo stesso tempo. Equivaleva avere il destino già segnato.
Il mondo non riesce a vivere in pace troppo a lungo, prima o poi qualcuno per brama di potere e di grandezza sparge morte ovunque.
L’uomo, appena nato, ha innato in sé il male e si sforza di compiere il bene. Se non ci fosse stata la possibilità di scegliere, se l’uomo avesse seguito solo il suo istinto sarebbe stato un assassino sin dalla nascita. Questi pensieri lo accompagnavano da tempo.
Scosse la testa continuando a sfogliare sino a trovare le seguenti parole:
“Molte battaglie affronterai
prima che lo raggiungerai,
ma quando lo vedrai
queste parole gli dirai:
Degli uomini saggi non faccio parte
ma un uomo forte sono.
Distinguo il bene dal male
arrenditi perché equamente ti possa giudicare.
Fine avranno la tirannia
e la tua vita della giustizia io sono la guida.
Con l’ignoranza hai tenuto schiava questa gente controllando la loro vita e la loro mente.
Una simile malvagità non posso tollerare
e la luce della conoscenza sono venuto a portare.
E anche se all’ira degli uomini sopravvivrai
al Cielo comunque ne risponderai.”
Kéndall richiamò il bibliotecario con un cenno della mano, subito l’uomo si avvicinò.
«Posso aiutarti?».
«Queste parole a cosa sono riferite?», chiese il giovane indicando la parte del libro appena letto.
«Vedi Kèndall, queste parole sono scritte nell’antica lingua dei druidi.
Non sono in grado di leggerle e dubito sia capace anche tu, a meno che non sia un sacerdote! – l’uomo sorrise – I sacerdoti erano soliti scrivere nella loro antica lingua quando volevano compiere una profezia».
«Capisco, non sono un druido, ma la scrittura riesco a leggerla senza troppe difficoltà!».
«Davvero? – la sorpresa era evidente – Allora attendi qui un secondo».
L’uomo si allontanò, scomparve dietro la tenda bianca tornando e, poco dopo, tornò con un libro piuttosto grande, con una copertina marrone impolverata. Al centro della copertina c’era una stella dorata con delle scritte all’interno.
«Puoi leggerlo?», chiese il bibliotecario porgendo il libro a Kéndall che non se lo fece ripetere due volte.
“Questo sigillo lo distruggerà
chi la lingua druida leggerà,
ma attenzione perché il potere…”
«Kéndall, vieni presto!», urlò Elam entrando nell’edificio.
Il giovane voltò il capo verso la ragazza che aveva evidentemente il viso sconvolto e preoccupato.
«Cosa succede?», domandò lui alzandosi immediatamente.
«Come termina? Leggi presto…», li interruppe il bibliotecario spostando il libro verso Kéndall con insistenza.
«Andiamo Kéndall, è importante! Ti spiegherò lungo la via, muoviti», la giovane corse fuori seguita dall’amico che lasciò il bibliotecario con le domande a mezz’aria.
Correvano all’impazzata, Elam era visibilmente tesa e sfrecciava tra i passanti , alcuni imprecavano con la paura di venire travolti da quella furia in corsa.
«Elam, dimmi cosa sta succedendo?», urlò Kéndall.
«Ho saputo che sei in grado di compiere incantesimi, ne conosci qualcuno guaritore?», chiese la giovane senza smettere di correre.
«Sì ne conosco, chi te lo ha detto?».
«Le spiegazioni sono rimandate a dopo….».
Arrivarono alla piazza e si mossero verso la bottega che affiancava la via che conduceva verso la casa di Sujum. Kéndall arrestò la corsa e dopo di lui anche Elam che si voltò perplessa.
«Che succede?», chiese.
«E’ accaduto qualcosa a Sujum?».
«No, tuo zio sta bene! Facciamo così, ora tu mi segui in silenzio e successivamente prometto che risponderò ad ogni tua domanda possibile ed immaginabile, per favore Kéndall, ogni secondo è prezioso!».
Il giovane annuì e i due ripresero a correre. Quando si ritrovarono alla fine della discesa, invece di svoltare a destra, come magari Kéndall poteva aspettarsi, si diressero verso sinistra, verso il boschetto e subito al giovane tornò in mente la figura di quella giovane ragazza che aveva visto, una volta, uscire dalla bottega di magia. Altre domande vennero in mente al ragazzo, socchiuse la bocca come se volesse dar sfogo a miriadi di questioni, ma si trattenne.
Le parole di Elam erano state chiare, era il caso di correre e basta! Il boschetto era piuttosto scarno, gli alberelli stavano lentamente riprendendo il colore portato via dall’inverno, dando vita alle prime foglie e boccioli. Di tanto in tanto gli capitava di dover saltare per non inciampare lungo qualche radice troppo sporgente o sassi che si trovavano lungo il percorso.
Entrarono, infine, in una grotta umida che era stata allestita alla bella e buona. All’interno, illuminate solo dalla scarsa luce proveniente dal sole, Kéndall notò due ragazze. Una era la stessa vista qualche giorno prima, l’altra, stesa a terra su delle pelli di animale. Le due regazze si somigliavano. Non gemelle, ma probabilmente sorelle. Quello che saltò subito all’occhio erano le orecchie a punta delle giovani.
«Devi aiutarla Kéndall, ha la febbre altissima e non sappiamo come intervenire!», disse Elam con voce supplichevole.
«Dovreste portarla in una casa di cura! E’ molto malata…», rispose il ragazzo.
«No! Niente casa di cura, Elam avevi detto che l’avrebbe potuta aiutare. Non possiamo esporci troppo», l’altra ragazza intervenne fissando prima l’amica e poi Kéndall.
«Va bene, vedrò quello che posso fare –riprese il giovane- Cercate della legna, qui dentro si gela e mi serve dell’acqua, muovetevi!».
Immediatamente le ragazze uscirono dalla grotta.
Kéndall rimase solo con quella creatura malata che respirava faticosamente e con un colorito sin troppo pallido.
«Andrà tutto bene!», mormorò. Non sapeva bene con che cosa aveva a che fare, ma optò di partire con l’incantesimo di base. Gliel’aveva insegnato sua madre, un giorno, per caso, trovò un uccellino con un’ala ferita e lo portò a casa. Voleva aiutarlo ad ogni costo, aveva forse cinque o sei anni all’epoca. Fu il suo primo approccio con la magia e proprio in quel giorno si accorse di essere molto portato e sua madre accolse l’idea di aiutarlo ad apprendere, ma si raccomandò di non dire nulla al padre.
Sarebbe stato il loro piccolo segreto e lui era ben contento di condividere qualcosa con la donna senza dir nulla al marito.
Dalle sue mani scaturiva un calore non indifferente che invase il corpo della ragazza distesa. Ripeteva la formula magica sussurrando e, anche se minuto dopo minuto le forze venivano a mancare, non si fermò.
Comprendeva che l’incantesimo stava dando i suoi buoni risultati. Sua madre gli aveva spiegato che dopo un paio di minuti che si utilizza una magia guaritrice, se non ha effetto, si crea una sorta di barriera nera intorno al corpo del malato e allora si capisce di dover cambiare. Questa volta però stava funzionando!
Dopo un po’ Elam e l’altra ragazza tornarono con gli oggetti richiesti da Kéndall.
«Accendete il fuoco e mettete la bacinella d’acqua qui accanto a me!», ordinò e subito le due obbedirono.
Kéndall si bagnò le mani. Un altro piccolo segreto che le aveva insegnato Asha. Meglio inumidirsi le mani di tanto in tanto. Il calore che provoca una magia guaritrice non è indifferente. Più il mago è portato, più il calore aumenta.
Man mano la grotta si riscaldò, Elam continuava ad alimentare il fuoco, mentre la sua amica non smetteva di fissare Kéndall, come se il solo guardarlo rendesse più potenti gli effetti dell’ incantesimo. E quello che fece comparire il sorriso sul volto dei tre ragazzi fu constatare che la giovane malata, non solo stava riprendendo il suo colorito, ma stava regolarizzando anche il suo respiro.
Kéndall tirò un sospiro di sollievo e smise di pronunciare la formula magica.
«Per adesso è fuori pericolo, ma dovrò ritornare per continuare ad alimentare il calore della magia. Almeno per un paio di giorni!».
«Grazie, ti sono debitrice», disse la ragazza con le orecchie a punta compiendo un lieve inchino.
«Tu ed io dobbiamo parlare», disse Kèndall ad Elam che annuì. Entrambi uscirono dalla grotta.
Il ragazzo guardò l’ingresso della grotta e poi di nuovo la sua amica, poi fissò i suoi stivali. Doveva, momentaneamente, mettere in ordine le sue idee prima di iniziare a parlare. Le domande che gli affollavano la mente erano molte, ma doveva individuare quelle più importanti, quelle che desiderava veramente conoscere. La curiosità avrebbe sempre vinto sulla sua persona.
«Quando prima ti ho parlato di Sujum chiedendoti se gli fosse accaduto qualcosa, tu mi hai risposto senza battere ciglia, conoscendo il parere che hanno i tuoi genitori su di lui mi sono meravigliato… Non ti sei domandata il motivo per cui lo conosco, perché so dove abita e così via; come mai?».
«Io, a differenza di mio padre e mia madre, ho grande stima di quell’uomo.
Lo conosco molto bene e so anche che è tuo zio! E’ stato lui stesso a dirmelo. Non ti meravigliare Kéndall, so perfettamente chi sei, che ruolo sei destinato a coprire e così via… Tuo zio mi aveva raccontato di te molto tempo fa, della leggenda dei Cavalieri Immacolati! Lo frequento più spesso di quanto tu possa immaginare, diciamo che lo considero un maestro di vita e di armi!», la giovane sorrise per l’effetto sorpresa che si palesò sul volto dell’amico.
«Per cui immagino sia stato sempre lui a raccontarti del fatto che sono portato nell’arte della magia?», la ragazza annuì nuovamente.
«Capisco –riprese- ora invece dimmi chi sono quelle due fanciulle lì dentro, come le conosci? Perché si nascondono in una grotta?».
«I loro nomi sono Nesca e Naira, sono elfe! Sono venute a Mukrum pochi mesi fa, le ho conosciute per caso una sera mentre attraversavo la città. E’ nata subito un’ottima amicizia. Sono fuggite dal loro paese natio perché la guerra ha colpito la loro famiglia, gli elfi sono considerati molto minacciosi dal signore Oscuro. Sono acerrimi nemici da sempre!».
«Va bene! Ascolta, ora devo ritornare a casa. Domani ripasserò per vedere se le condizioni della tua amica sono migliorate, d’accordo? A domani Elam». Il ragazzo tornò ben presto sui propri passi, alcune sue curiosità erano state colmate, ma altre domande affioravano nella sua mente lungo il cammino che lo conduceva verso casa. Delle risposte sarebbero arrivate da suo zio.
«Come è andata la tua giornata?», chiese Sujum.
Erano intorno al tavolo a consumare il pranzo: pollo e verdura accompagnati con del pane nero e formaggio.
«Non sapevo che conoscessi Elam!», il tono di Kéndall aveva un pizzico di rimprovero.
«Vedi, sia tua madre che tu e, per certo anche io, siamo portati nell’arte della magia.
Siamo i diretti discendenti di due Cavalieri Immacolati.
Io, a differenza di tua madre, ho anche il potere di veggente. Sapevo che prima o poi saresti arrivato e che il cammino che ti conduceva alle Terre della Sabbia Rossa sarebbe stato meno difficile per te una volta incontrato Parkam. Un tempo, eravamo molto amici, ma come ti ho già detto, alcune situazioni ci portano a delle scelte e quelle scelte non sempre sono condivise perciò, ad un certo punto abbiamo percorso strade differenti.
Elam, però, sin da piccolina ha dimostrato di avere un carattere forte, sapeva compiere le sue scelte e decise di continuare a starmi accanto, rischiando la sua stessa vita. Oh, non credere che io non abbia provato a persuaderla, ma non è servito a molto… Alla fine ho deciso di diventare una sorta di mentore per lei, ad insegnarle tutto quello che conosco della vita! I suoi genitori, però, non sanno di tutto questo, per cui ti prego di non rivelare nulla a proposito, per favore!».
«Avrò la bocca cucita! A proposito zio, oggi ero in biblioteca, sai per informarmi un po’ su questa storia dei Cavalieri Immacolati, ad un certo punto ho scoperto una cosa straordinaria. Mi sono imbattuto in una profezia scritta nell’antica lingua druida, ma quello che è risultato più straordinario è che ero in grado di leggerla, anche se non so come!».
«L’antica lingua druida, mh?! Dovrò compiere delle ricerche in proposito, ti farò sapere appena ho scoperto qualcosa! Ora mangia».
Il giorno seguente Kéndall si svegliò di buon mattino, una volta preparato e fatto colazione si separò dallo zio muovendosi in direzione del boschetto. Doveva controllare le condizioni della creatura aiutata il giorno precedente. Quando entrò nella grotta trovò anche Elam.
«Buongiorno!», le disse l’amica contenta di vederlo.
Il giovane sorrise e poi posò gli occhi sull’altra figura presente. Constatando che si trattava proprio della giovane salvata, la salutò con un cenno lieve del capo.
«Come stai questa mattina?», domandò.
«Molto meglio, grazie a te!», la ragazza era ancora un po’ pallida ed aveva sicuramente bisogno di riposo, ma si sarebbe ripresa molto presto.
Poco dopo entrò anche l’altra elfa che rivolse delle parole alla sorella porgendole dell’acqua.
Era una lingua decisamente sconosciuta.
«Il mio nome è Nesca e lei è mia sorella Naira. Entrambe ti ringraziamo dell’aiuto che mi hai offerto ieri. Da quello che puoi notare siamo creature appartenenti al popolo del bosco», disse Nesca tirando i capelli dietro alle orecchie.
Kéndall annuì. Di nuovo lo meravigliò l’immensa somiglianza tra le due sorelle che riusciva a distinguere solo perché Nesca, la creatura aiutata il giorno prima, aveva i capelli più lunghi rispetto a Naira.
«Non c’è bisogno di ringraziarmi, ora però devo ristendere le mie mani su di te. La magia curatrice lo richiede, potresti avere una ricaduta ed il tuo corpo ha bisogno dello stesso calore magico».
Nesca annuì e si distese sulle pelli di animale. Non era in grado di compiere incantesimi, ma conosceva alcune nozioni di magia, non bastava ricevere una volta il calore dell’incantesimo di guarigione.
Kéndall si mise seduto accanto alla giovane elfa ed iniziò a sussurrare l’incantesimo con le mani distese sopra qualche centimetro dal ventre della ragazza. Di nuovo le mani si circondarono di luce e quello che Elam e Naira potevano constatare era quel fascio di luce che dalle mani di Kéndall si muoveva lungo tutto il profilo di Nesca, come se il corpo della ragazza risucchiasse quel calore di cui aveva bisogno.
Terminato il tutto, Kéndall, leggermente esausto, si alzò da terra e si lasciò sfuggire un sospiro.
«Ora devi riposarti e mi raccomando di mangiare! Devo proprio andare adesso. Elam – aggiunse – resta un po’ con loro, se ci dovessero essere ricadute sai dove trovarmi! Buona giornata», disse il ragazzo prima di allontanarsi dalla grotta.
Quando il giovane tornò a casa trovò Sujum immerso nella lettura.
Teneva in mano un libro piuttosto grande quanto vecchio. La scrittura era veramente piccola ed alcune parole erano sbiadite a causa dell’umidità.
«Che cos’è?», domandò Kéndall sedendosi accanto allo zio.
«Stavo cercando di capire qualcosa in più su quello che mi hai raccontato.
Del fatto che riesci a leggere l’antica lingua druida, ma sino ad ora non ho scoperto nulla di rilevante», rispose l’uomo che richiuse il libro e si alzò andando verso uno scaffale. Kéndall guardò la copertina del volume che era di un colore marrone scuro e riportava il titolo “I segreti della lingua druida”, notò che era stato scritto da Blader Mar: lo stesso autore che aveva scritto il libro letto in biblioteca.
Sujum tornò poi con un altro volume che porse a Kéndall. Era di medie dimensioni con la copertina di un colore verdastro ed il contorno adornato d’oro.
«So che molti incantesimi li hai imparati grazie a tua madre, ma qui ne troverai altri. Leggilo, potrà esserti d’aiuto!», disse.
«Zio, chi è Blader Mar?», chiese il ragazzo come se non avesse udito alcuna parola dell’uomo.
«E’ un druido! Ne sono rimasti pochi sulla terra, il signore Oscuro ha cercato di sterminarli il più possibile. I druidi, in pratica, sono dei sacerdoti in grado di prevedere il futuro e di conoscere il passato attraverso lo studio delle stelle, ma non solo, compiono anche incantesimi con delle preghiere create lì sul momento. Blader Mar è il druido più potente del mondo di Ianor e sua figlia, la sacerdotessa delle Terre del Sud sta seguendo le sue orme. Non è un caso che sia stata prescelta come Cavaliere Immacolato. Blader Mar era anche il consigliere del Regno del Sud e, per non far perdere le orme dei druidi, ha iniziato a scrivere molti libri su di loro».
«Perché il signore Oscuro ha voluto sterminarli?», domandò.
«Perché sono una minaccia troppo grande! Come ti ho già detto, bene e male coesistono da sempre. Per cui il massimo picco raggiunto dal male, in questo caso l’immortalità del signore Oscuro, deve poter avere… chiamiamolo un antidoto. E diciamo che furono proprio i druidi a scoprirlo. Durante una notte i pianeti si allinearono e quest’ultimi recitarono una preghiera talmente potente che spezzò l’incantesimo di immortalità del signore Oscuro richiudendolo con un sigillo che può essere riaperto solo da chi conosce l’antica lingua druida, ma tranne loro…»
«Io la so leggere», di nuovo Sujum venne interrotto.
«Infatti ed è per questo che ne voglio sapere qualcosa di più. Nessuno dei tuoi discendenti era un druido; so per certo che da parte di tua madre non ce ne sono e, da quel che ne so, nemmeno da parte di tuo padre».
«Capisco! Questo Blader Mar ha mai predetto il futuro di qualche Cavaliere Immacolato?».
Sujum scosse la testa.
«Non che io sappia. A loro è vietato interferire sul futuro delle persone, rivelare qualcosa di particolare ad un singolo soggetto. Ciò che prevedono, in genere, comprende sempre tutto il mondo di Ianor. Sapevano che il male sarebbe sopraggiunto di nuovo, ma non possono conoscere se l’equilibrio del nostro pianeta si stabilizzerà o meno. A volte anche le stelle tacciono!».
«Immagino. Comunque sia, meglio studiare», disse sventolando il libro di incantesimi dalla copertina verde. Si alzò e si diresse verso la sua stanza.
Vi erano Charme molto utili, alcuni li conosceva altri li stava studiando proprio in quel momento. Certo non gli bastava solo leggere le formule, doveva anche metterle in pratica e sicuramente non gli sarebbe mancata l’opportunità. Quello che gli risultò ancora più interessante fu tutta la spiegazione che gli dava il libro su ogni singolo incantesimo. La durata, la potenza, i pro e i contro, e così via.
Rimase chiuso in camera a leggere sino a che Sujum non venne a chiamarlo per la cena.
Mangiarono un buon brodo caldo accompagnato da crostini di pane.
«Sai, credo che inizierò a cercarmi un impiego nel mentre sono qui!
Giusto per passare un po’ il tempo e non annoiarmi, magari a mezza giornata così l’altra metà la dedico a studiare gli incantesimi, che ne dici?», disse il ragazzo.
«Come preferisci! Hai già qualcosa di particolare in mente?».
«No, domani andrò in centro a vedere cosa trovo!». Tornarono a parlare del più e del meno, per la maggior parte il discorso girò intorno all’infanzia di Kèndall. Lo zio voleva saperne il più possibile visto che gli era stata negata la possibilità di poter tornare a far loro visita. Il ragazzo gli raccontò degli amici che aveva a Logh, delle battaglie di neve, della vita spensierata che aveva avuto sino a che suo padre non aveva preso la decisione di spedirlo in Accademia.
Parlò di quanto fosse diventata all’improvviso difficile la vita che conduceva, di come tutti iniziavano a vivere con il pallino della guerra, come i ragazzi facevano a gara per diventare il migliore, di quanto si sentisse fuori luogo e via discorrendo.
Confessò, alla fine, che si sentiva in colpa per la morte dei suoi genitori, che quella notte era stato un vigliacco perché era rimasto nascosto in camera invece di andare a fronteggiare il nemico come avevano fatto molti dei suoi compagni di Accademia. Perché aveva sempre sentito di non appartenere a quella guerra…
Calò il silenzio per un po’ tra i due, ognuno immerso nei propri pensieri.
Dall’infanzia, Kéndall passò a pensare alle due elfe conosciute.
Era affascinato da quelle creature, dai visi dolci, dalla loro pelle liscia e chiara, da quei capelli biondi e lucenti, ma soprattutto dai loro occhi azzurri, luminosi come le stelle del cielo.
«Zio – disse d’un tratto Kéndall- quando venni a farti visita la prima volta, vidi una ragazza alla porta della tua casa, quella stessa ragazza la incontrai alla Grande Arena con Elam. Mi disse che ci saremmo incontrati molto presto, mi sai dire chi è?».
«Lo scoprirai molto presto: devi imparare a frenare la tua curiosità!».
Kéndall voleva insistere, ma sapeva che Sujum non gli avrebbe dato alcuna risposta per cui decise di lasciar perdere. Quella ragazza doveva ancora rimanere un mistero.
Il giorno dopo, Kéndall tornò a far visita alle due elfe che stavano consumando una colazione a base di pane e latte.
«Vuoi unirti a noi?», domandò Nesca.
«No grazie, ho già mangiato! Ma è sempre così scarso il vostro pasto?», chiese Kéndall, accennando una smorfia di disappunto.
«I soldi iniziano a scarseggiare. Quando siamo fuggite dai Cacciatori, abbiamo raccolto tutto in fretta e furia… ma siamo abituate, non ti preoccupare!
Il giovane non disse nulla, cosa si poteva aspettare? Decise comunque di intervenire in seguito, a casa di suo zio di cibo ve n’era anche sin troppo, condividerlo sarebbe stato un piacere per loro ed un sollievo per le ragazze.
«Vi capisco appieno. Anche il mio paese è stato attaccato dai Cacciatori è per questo motivo che sono venuto a Mukrum», scosse la testa dispiaciuto prima che Nesca gli prese la mano chiudendo gli occhi.
Un brivido di freddo invase la schiena di Kéndall che si sentì inquieto.
Gli tornò in mente quella notte, le urla, il fuoco, i suoi genitori… Non ci voleva pensare, ma era come se una forza maggiore lo costringesse a rammentare. Immediatamente realizzò tutta la faccenda e ritirò la mano da quella dell’elfa.
«Cosa mi hai fatto?», era una voce irritata quella che scaturì dalla bocca del giovane.
«Ho letto il tuo ricordo, mi dispiace, non credevo ti potesse dar fastidio!», rispose la giovane abbassando lo sguardo.
«Non importa, è meglio che ora vada!».
Si allontanò muovendosi lungo la salita che conduceva alla piazza.
Non gli piaceva che gli si leggesse la mente, che lo si costringesse a rammentare qualcosa di profondamente personale senza chiedere il permesso, ma lo meravigliò conoscere quel potere degli elfi. D’ora in avanti avrebbe badato bene a stringere la mano di Nesca o Naira.
Come annunciato allo zio il giorno precedente, desiderava trovarsi un impiego che gli occupasse metà giornata, ma non conosceva molte nozioni tranne quelle che riguardavano l’arte della spada e della magia. Gli venne poi un’idea: poteva provare al negozio di magia, magari avevano bisogno di qualcuno. Provare non faceva male a nessuno e poi era anche vicino a casa.
Prima di entrare si guardò attorno, le botteghe e le bancarelle stavano aprendo. A Kéndall piaceva la vivacità di quella città. Nonostante la guerra, i cittadini erano più amichevoli e più aperti al dialogo, cosa estremamente diversa a Logh.
Quando il giovane si decise ad aprire la porta, i raggi solari illuminarono la bottega buia che risplendeva solo delle deboli luci delle candele colorate poste qua e là. Poteva affermare che non era un luogo molto accogliente, ma era meglio di niente.
«C’è qualcuno?», chiese il giovane guardandosi attorno.
«Arrivo… non c’è bisogno di urlare tanto!», rispose una voce proveniente da dietro una tenda vecchia e scura. Passò qualche istante prima che un uomo basso e anziano decise di uscire da dietro la cortina. Aveva la testa coperta da pochi capelli grigi, occhi scuri come la notte e sul naso gli ricadeva un piccolo paio di occhiali.
«Posso fare qualcosa per te?», ora che l’uomo aveva notato Kéndall divenne più accondiscendente.
Il giovane scrutò attentamente l’anziano prima di proferire parola.
Doveva anche porre la domanda in modo tale da non sembrare troppo invasivo o diretto.
«Ecco sì, volevo chiedere, se per caso, ha bisogno di una mano nel negozio. – Prima che l’uomo lo potesse interrompere proseguì – Non chiedo molto, sono disposto a lavare per terra e a spolverare gli scaffali.
Me ne intendo di artefatti magici se le può essere utile. Quello che vorrei è un lavoro a metà giornata. Sa, sono arrivato da poco qui e mi piacerebbe mettermi subito al lavoro!», doveva bastare come spiegazione.
«E’ la prima volta che qualcuno mi chiede un lavoro. Tutti mi conoscono molto bene, ma ho un carattere burbero, lo sai? –non attese nemmeno una risposta- Non ho molto da offrirti in compenso, due monete a mezza giornata, sì è poco, ma con i tempi di guerra che corrono! Prendere o lasciare».
Due monete non erano un granché, ma Kéndall si considerò già abbastanza fortunato nell’aver trovato subito un impiego e poi avrebbe ricoperto un ruolo di cui era, magari non un esperto, ma quasi. Alla fine accettò.
«Esigo la puntualità. Domani mattina arriva verso quest’ora, non transigo in proposito, un solo ritardo e puoi anche prenderti la briga di non venire affatto. Spero di essere stato abbastanza chiaro, ora sparisci!».
Kéndall non se lo fece ripetere due volte e si allontanò dalla bottega.
Effettivamente quel vecchio era piuttosto burbero.
Incontrò Parkam con la piccola Marie, ma nonostante la piccola tirasse per un braccio il padre per convincerlo ad andare a salutare il ragazzo, l’uomo si voltò dall’altra parte trascinando via la figlia che iniziò a piangere non comprendendo il comportamento di Parkam che stupì anche Kéndall. Guardò silenzioso i due che si allontanavano.
Per quale motivo ignorarlo?
Quando tornò a casa si chiuse nella sua stanza senza nemmeno rivolgere una parola allo zio che comprese lo stato d’animo del nipote e non insistette per farsi raccontare cosa fosse accaduto. Quando sarebbe stato pronto avrebbe parlato lui.
Kéndall uscì dalla camera solo verso l’ora di cena, doveva mettere qualcosa sotto i denti prima di continuare a studiare le formule sul libro di magia.
Per un po’ tra i due ci fu un pesante silenzio, poi Sujum decise di interromperlo.
«Trovato l’impiego che desideravi?», chiese.
«Alla bottega di magia! Il vecchio non è proprio amichevole, ma meglio di niente!»
«Il vecchio Rumlo eh?! E’ un po’ burbero in effetti, ma non morde.
Sbrigati a mangiare, tra un po’ arriverà Elam, le ho promesso di darle a disposizione la mia sala addestramento!».
Kéndall non sapeva nemmeno che a casa di suo zio ci fosse una sala per addestrarsi, ma non fece alcune domande in proposito. Mangiò quello che aveva nel piatto e poi sparecchiò la tavola insieme a Sujum. Rimase accanto al caminetto a leggere il libro fino all’arrivo di Elam che si accomodò nel salone principale sotto specifico invito di Sujum che si allontanò per preparare una tisana calda.
«Ho saputo che hai incontrato mio padre e mia sorella questa mattina!», disse la giovane fissando l’amico.
«Incontrato è una parola grossa. Comunque, li ho visti, ma Parkam si è subito voltato dall’altra parte ignorandomi completamente», mormorò dispiaciuto.
«Non ha mandato giù il fatto che tu sia venuto a stare con tuo zio, ma vedrai che gli passerà presto!».
«Lo spero. Non sono pentito di essere venuto a stare con Sujum, è una brava persona a differenza di quello che dicono, comunque mio zio ha ragione. A volte nella vita bisogna compiere dei sacrifici!».
Dopo aver bevuto la tisana Elam si ritirò nella sala addestramento insieme a Sujum, mentre Kéndall rimase lì a leggere il suo libro. Un paio di ore e tutti si ritirarono completamente. Elam tornò a casa e i due uomini andarono a dormire. La giornata era stata lunga e un nuovo lavoro attendeva Kéndall.
Si alzò molto presto, si preparò, mangiò ed uscì di casa.
Aveva paura di arrivare tardi per cui corse lungo la salita fino ad arrivare all’ingresso della bottega. La primavera, con i suoi caldi raggi solari, aveva detto arrivederci all’inverno che aveva regalato momenti davvero tragici a molti degli abitanti di Ianor, Kéndall compreso. Era ora di cambiar e voltare pagina.
Quando entrò nella bottega, Rumlo era già dietro al bancone ad attenderlo.
«Ben arrivato. Sei puntuale, complimenti! Mettiti al lavoro, inizia con lo spolverare questi scaffali e mi raccomando di non rompere nulla o detraggo dal tuo stipendio», gli passò uno strofinaccio e Kéndall iniziò a lavorare.
La bottega non era molto grande e gli scaffali presenti erano una ventina.
Sopra ognuno di essi vi erano tanti strani oggetti: libri di varie dimensioni, amuleti, erbe dall’odore insopportabile. Alcuni di quegli oggetti, il giovane li conosceva grazie ai libri che aveva letto, altri gli erano completamente sconosciuti.
Più tardi nel negozio entrò un uomo basso e grassottello. Si guardava con aria furtiva e squadrò completamente Kéndall. Avvicinandosi al bancone chiese, sussurrando, qualcosa a Rumlo che sparì dietro la tenda, tornando poco dopo con un piccolo sacchetto viola, tenuto chiuso da un nastro marroncino.
«Sono quindici monete!», disse il vecchio tenendosi in mano l’oggetto.
«Quindici? Spero tu stia scherzando… Facciamo dieci e la finiamo qui!», replicò l’altro.
«Sono quindici monete, prendere o lasciare!», la voce di Rumlo era calma.
«Sei un ladro!», disse il tizio posando le monete richieste sul bancone.
Immediatamente il proprietario della bottega le ritirò lasciando il sacchetto viola che venne portato via mormorando.
«Di questi tempi devi rimanere fermo sulle tue decisioni. Da quando è iniziata la guerra nessuno vuole pagare.
Perché non si fa qualcosa? Io oramai sono vecchio, ma se avessi la tua età… », disse l’anziano rivolgendosi verso Kéndall.
Rumlo concesse al giovane anche di servire i clienti dietro al bancone, ma erano talmente pochi che Kéndall finì per annoiarsi contando i secondi che mancavano alla fine del suo turno di lavoro.
All’ora di pranzo Rumlo posò due monete sul bancone.
«Grazie», disse il giovane.
«Non mi devi ringraziare, sono frutto del tuo lavoro! Puoi andare a casa ora, torna domani e mi raccomando la puntualità».
«Va bene, a domani allora». Kéndall uscì dalla bottega richiudendo la porta dietro di sé.
«A domani ragazzo di Logh», mormorò Rumlo.

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4 Comments

  1. Rebecca says:

    Grazie!!!

    1. Grazie a te Rebecca
      Un abbraccio

  2. Lavinio says:

    Sono al terzo capitolo seguo…

    1. Grazie Lavinio da parte di Rebecca
      Un saluto e buona lettura
      Emily

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