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Ho perso le chiavi

Ho perso le chiavi
Racconto breve – 2016

Quel giorno Mario non trovava niente. Sembrava aver perso tutto, anche la testa. E pensava che, da quando viveva a Tenerife, soffriva di una forma particolare di dimenticanza, come se quell’isola fosse la terra dell’oblio.

Ma certo: dimenticare dove aveva messo le chiavi di casa era una faccenda a dir poco curiosa. Non trovava niente e se dico niente, significa niente. Dunque si concentrò come meglio poteva e cominciò a pensare dove aveva potuto lasciare le chiavi. Si mise seduto sulla panchina e frugò dentro il primo borsone dove c’erano: pedalini bucati, mutande vecchie, due magliette a maniche corte che una volta erano state bianche ed una nera già lacerata, due lamette già belle che consumate.

E la schiuma da barba?
Devo aver perso anche quella.
Forse se trovo la schiuma da barba, potrò trovare anche le chiavi.
Saranno nell’altra borsa.
Una chiave o tante chiavi?
Mah…

E cominciò a frugare nella seconda: un bicchiere di plastica, cianfrusaglie varie, un libretto di foto ingiallito, mezzo panino ormai duro, un pettine. Anzi, mezzo pettine perché erano rimasti metà denti.

Proprio come la situazione della mia bocca, pensò e abbozzò una specie di mezzo sorriso.

Ma la chiave dove poteva averla messa? Frugò nelle tasche dei pantaloni e si accorse che una era bucata. Allora cominciò a preoccuparsi davvero.
Sicuro mi sarà caduta e chissà dove mi sarà caduta.
Si alzò, prese le due borse e ripercorse la strada che aveva fatto poco prima.
Cerca qua, cerca là, della chiave nemmeno l’ombra.

Ho perso le chiavi

C’erano due ragazzini verso la parrocchia del Pilar che stavano giocando con uno yo-yo. Domandò se per caso avevano visto una chiave.
Risposero di non aver visto nessuna chiave e tornarono a giocare senza preoccuparsi di altro.
L’unico preoccupato era Mario.
Arrivò a piazza del Chicharro. Quattro vecchi stavano parlando di politica a voce alta. Quella era la domenica delle votazioni: quel 26 giugno non era certo un giorno qualsiasi!
Mario guardò per tutti i lati della piazza. Ma inutile.

Come poteva essere finita agli angoli o sotto i tavoli?

Era una chiave mica una foglia. Si avvicinò agli uomini e chiese se per caso avevano visto una chiave. Gli chiesero dove l’aveva persa e lo guardavano con una certa compassione.

Tornarono ai loro discorsi e Mario tornò a cercare quella benedetta chiave. Si diresse verso la calle del Castillo e fermò una coppia che gli pareva di conoscere. Ma non ricevette alcun aiuto. Poi, parlò con un giovane che indossava una maglietta del WWF. Mario pensò che quel giovane lo avrebbe aiutato. E infatti, per un po’ lo aiutò, provando a ricostruire la situazione e capire cosa fosse successo. Ma senza esito.

All’improvviso, si ricordò che aveva due chiavi di casa e non una.

Si sedette sugli scalini della BBVA e rovistò di nuovo nelle borse, ma della chiave, anzi delle chiavi, proprio niente.

Povero me, pensò.
Ho perso due chiavi e non una.
E mentre così rifletteva, si ricordò che era un mazzo di chiavi quello che aveva perso.
Certo, le due copie della casa, una del garage, una dell’ascensore, una del portone, una della cassetta della posta.

Capperi salati!
2­­+1+1+1+1=6
Ora sì che era un problema: aveva perso sei chiavi, ben sei chiavi. Ecco perché nessuno aveva visto la chiave.

Ho perso le chiavi

Aveva sbagliato. Doveva chiedere se avevano visto un mazzo di chiavi e non una chiave sola. Bene. Tornò indietro fino alla chiesa del Pilar. I due ragazzini dello yo-yo se ne erano andati. C’erano alcune persone che stavano parlando di una loro amica, Juana, che era morta il giorno di San Giovanni, proprio il giorno del suo onomastico.

Una cara amica ed una persona molto buona. Mario interruppe la conversazione e raccontò ciò che gli era capitato. Lo guardarono in modo strano.
Una signora di una certa età, vestita molto bene, un po’ grassottella con abbondante rossetto sulla bocca tanto che sembrava avesse terminato in quel momento di divorare un piatto di pastasciutta, abbozzò un mezzo ghigno.

Mario lo notò e pensò che ultimamente quelle smorfie o quei ghigni li aveva visti molte volte.


Forse è un modo di esprimersi delle persone che vestono bene, pensò.

Un signore voleva offrirgli la colazione e gli chiese se aveva fame.
Fame? E perché doveva aver fame?
Non aveva mangiato a casa quella mattina?
Grazie, disse Mario e accettò.
Mi aiuterà dopo a cercare le chiavi, per favore?
Non si preoccupi, ora mangi qualcosa e poi si vedrà.
Il gentile signore disse al cameriere di dare a Mario tutto quello che desiderava.
Mario fece una colazione da re, sembrava che non mangiasse chissà da quanti giorni.
Che buon caffè, che ottimo succo di mango, che panino eccezionale con formaggio e prosciutto. Era così buono che ordinò un altro panino e terminò con un cappuccino.

Oh, il cappuccino!

Mentre lo sorseggiava, gli venivano alla mente ricordi cari.
Un viaggio: sì un viaggio in Italia e non stava solo. Immagini di una donna bellissima, con un volto dolce, un tenero sorriso e i capelli raccolti, lo colpirono come la luce di uno che esce da una stanza buia dopo molte ore.

Sorseggiava il cappuccino sempre più lentamente come se temeva che terminato il cappuccino, sparivano anche i ricordi.

Isabella.

Sì. Isabella. Che bella che era.

Ho perso le chiavi


Nessuno lo aveva amato come lei e lui non aveva amato nessuno come a Isabella.
Allora Mario ricordò: la malattia, la sofferenza, il dolore, quanto dolore e le lacrime scendevano dal volto mentre terminava il cappuccino.
La tazza era rimasta vuota, come la sua vita.
Già, come la sua vita.

Si asciugò il volto e tornò la preoccupazione delle chiavi.
Pensò: se ordino un altro cappuccino, forse ricordo dove ho messo le chiavi.
Ordinò un secondo cappuccino. Iniziò a sorseggiarlo e quasi si bruciò le labbra. Quanto scottava?!
Si concentrò. Niente. Le uniche immagini che erano rimaste nella sua mente, erano quelle di poc’anzi e un solo nome risuonava in tutto il suo corpo. Sembrava paralizzato.
Terminò il cappuccino e quella colazione che fino ad un attimo prima era sembrata squisita, gli lasciò un’amarezza profonda.

Le belle cose vanno vissute e gustate con chi si ama, pensò e si alzò.
Quando uscì, davanti al piazzale del Pilar non c’era nessuno, nemmeno il signore gentile e generoso che gli aveva offerto la colazione.
Voleva ringraziarlo.
Allo stesso tempo, sperava che qualcuno lo aiutasse a cercare le chiavi.
Non c’era proprio nessuno.

Si voltò ancora e vide che vicino alla porta della chiesa, stava una donna che chiedeva l’elemosina e che lo guardava in cagnesco. Mario nemmeno le chiese delle chiavi.
Meglio evitare, pensò.
Cercò, cercò e cercò. Delle chiavi, proprio niente.

Niente da fare

Tornò al Chicharro e non trovò nemmeno gli uomini che discutevano di politica e, alla Calle del Castillo, non c’era più il giovane con la maglietta del WWF. Niente da fare.

Non si trovavano da nessuna parte.

 Non riusciva a concentrarsi. Gli faceva pure male lo stomaco. Forse aveva esagerato a mangiare così tanto.

Sentì il suono di una campana.
Oh sì le campane.

Improvvisamente, arrivò alle sue narici un profumo, come un profumo di tanti anni già passati.
Stava in montagna, in un piccolo hotel. Era una domenica mattina e Isabella si preparava per andare a messa. Lui l’aiutava con la cerniera.

Un vestito bianco con fiori ricamati sul corpetto.
Era bella la sua Isabella.

Come era bella! Bellissima, stupenda, meravigliosa.

Isabella

Fermò quelle immagini e si trovò sospeso, in una dimensione sconosciuta, a mezz’aria. Gli sembrava di stare a mezz’aria.
Sentiva il profumo dei gerani, vedeva la lucentezza dei capelli di Isabella, gli sembrava di poterli toccare.
Non si sa quanto tempo trascorse.

Poi, piano piano si ritrovò: tornò a sentire il battito del cuore, il dolore allo stomaco, il sudore sulla fronte, un malessere alle gambe e lungo le braccia. Poi avvertì una specie di torpore.
Il pensiero delle chiavi. Ma dove erano finite quelle chiavi?

Strano, era diventato solo un pensiero, nemmeno più una preoccupazione.
Quasi non aveva voglia di alzarsi e di cercare. Però desiderava ringraziare quel buon signore che gli aveva offerto la colazione. Era stato generoso ed era da moto tempo che non vedeva tanta gentilezza.

Voleva ringraziarlo.

Si alzò e tornò al Pilar. C’era una coppia di giovani che parlava vivacemente. Ad un certo punto, lei disse qualcosa e se ne andò arrabbiata e in tutta fretta. Il ragazzo si avviò dalla parte opposta.
A Mario venne in mente quando un giorno Isabella si arrabbiò con lui perché aveva lasciato tutte le sue cose in giro.

Non è la prima volta. Mario, per favore, sii un po’ più ordinato.
Sì .Isabella. Sarò più ordinato, cercherò di esserlo.
E lo ripeteva a voce sempre più bassa.
Poi disse: Isabella, se fossi stato più ordinato, ora saprei dove sono le chiavi.
Devo mettere in ordine nei miei pensieri, si propose.
Ma quanto era difficile perché ora si sentiva davvero stanco.

Aveva bisogno solo di un po’ di frescura e si avviò verso il parco; quel parco che Isabella chiamava dell’orologio. Non era quello il vero nome. Poco importava. Anche lui ora lo chiamava così.

Le chiavi?

Le avrebbe cercate più tardi. Ora non poteva. Quasi si trascinava, camminava a fatica. Quando giunse davanti al supermercato, sollevò lo sguardo. Era lì la sua casa, ma dove erano finite le chiavi?

Ci penserò dopo, devo riposare un pochino.

Al parco

Mario giunse al parco e andò a sedersi proprio dove con Isabella molte volte si erano seduti. Quella panchina era speciale. Si sedette Mario e cercò un foglietto e una penna nella borsa. Voleva scrivere una cosa, voleva cercare le chiavi, voleva ricordare, voleva ringraziare il buon uomo della colazione, voleva, voleva…

Sì, voleva tante cose e alla fine, non voleva più niente.
Si allungò sulla panchina. Quanto si sentiva stanco.
Chiuse gli occhi e sognò Isabella.
Mario, vieni, dai. Dammi la mano.

Era la voce dell’amata che lo chiamava.

Dopo qualche ora, una guardia civile si accorse che un uomo senza vita, stava su una panchina.

E lo riconobbe.

Mario, il barbone che da più di una anno andava in giro per il centro di Santa Cruz cercando le chiavi di casa.
Quell’uomo aveva perso tutto dopo la morte della moglie, anche la ragione.
Si avvicinò.

Mario aveva una mano tesa verso l’esterno, come se la stesse dando a qualcuno e l’altra la teneva chiusa. C’era un foglietto.
Arrivò l’ambulanza. Arrivò la polizia.

La guardia civile chiese al medico: Teneva un biglietto nel pugno?

Ah sì, un biglietto.
C’è scritto qualcosa?
Grazie.

E che altro?
Nient’altro. Solo grazie.

Alla prossima e grazie per aver letto il mio racconto
Abbi cura di te Emily

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4 Comments

  1. Fulvio Rinaldi says:

    Un racconto delicato e profondo
    Amo leggerti. Saluti
    Fulvio Rinaldi

    1. Sei gentilissimo Fulvio e grazie di cuore
      Abbi cura di te
      Emily

  2. Anton Luca says:

    Sembra di vederlo questo racconto, non solo di leggerlo. Complimenti. Mi ha consigliato il tuo sito Bianca di Verbania che ti saluta tanto
    Saluti e piacere di leggerti
    Anton Luca

    1. Piacere Anton Luca e un saluto carissimo a Bianca
      e a te, naturalmente
      Emily

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