Racconti a capitoli

9) La stirpe del drago

Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005

IX Capitolo

Alla volta della Terra dell’Ovest

Una pioggia fitta bagnava le strade del paese. I fuochi erano stati spenti, i corpi dei morti bruciati e i feriti curati. Alcuni uomini si erano già predisposti per ricostruire le case distrutte. La pioggia lavava il sangue sparso lungo le vie.
La notte era scesa da circa mezz’ora, la luna era nascosta dalle nuvole e non erano visibili nemmeno le stelle.
Kéndall era uscito dalla casa di cura. La spalla, nonostante facesse qualche difficoltà nei movimenti, non doleva più come prima. Camminava lentamente mentre la pioggia bagnava la testa scoperta, i capelli si appiccicavano lungo la fronte e le fredde gocce d’acqua scivolavano lungo il viso. Passò davanti alla casa di Atemot per almeno tre volte senza decidersi di entrare. Non era pronto a dire ai ragazzi tutto quello che gli aveva rivelato Ecra. Come riuscire ad affrontare Iemon?
Guardò l’entrata dell’abitazione, la tenda nera faceva intravedere una debole luce all’interno e delle ombre in movimento. Alla fine Kéndall si voltò dirigendosi verso la locanda, che pareva essere rimasta intatta, tranne qualche vetro rotto. Entrò.
Il luogo non era più accogliente come la prima volta. Era freddo ed umido, l’oscurità lo avvolgeva. Il ragazzo si avvicinò al bancone: era deserto!.
«C’è nessuno?», domandò con insistenza.
Nessuna risposta. Si guardava attorno, ma non riusciva a scorgere un granché. Appena i suoi occhi si abituarono all’oscurità, salì le scale che portavano al piano superiore. Si avvicinò alla stanza e si accorse che la porta era stata forzata, non diede molta importanza alla cosa, era possibile che i Cacciatori avessero razziato la casa. Non aveva lasciato nulla d’importante nella stanza, solo lo zaino, ma non conteneva qualcosa di valore. Avanzava a caso, aiutato dalle luci provenienti dalla strada. Si sdraiò sul letto e si addormentò esausto, nonostante il suo stomaco reclamasse cibo.


Ecra si trovava ancora nella casa di cura. I guaritori si erano sorpresi della ripresa della ragazza; la ferita era letale, ma le erano bastate poche ore per riprendersi quasi del tutto. Stava riposando quando venne raggiunta da Iemon ed Elam, persino loro erano incredule nel vederla già in buone condizioni, ma non le fecero troppe domande.
Non la volevano stancare con le loro domande curiose e, allo stesso tempo, immaginavano che quella guarigione poteva dipendere dalla forza magica di una druida.
Appena il Cavaliere Immacolato vide le due ragazze sorrise.
«Come ti senti?», chiese Iemon.
«Molto meglio! I guaritori hanno fatto un ottimo lavoro. Come stanno andando le cose lì fuori?».
«Si stanno dando tutti da fare. Sai qualcosa di Kéndall? Siamo andate a cercarlo nella sua stanza, ma l’abbiamo trovata vuota», disse Elam.
«Immagino l’abbiano lasciato andare, ma non ne sono così sicura!».
«Va bene! Vado a cercarlo in caso, vi lascio da sole», Elam si alzò e si allontanò.
«Hai fame?», domandò Iemon.
«Un po’, ma non ho voglia di pensare al cibo!».
«Come preferisci. Lo hai visto ultimamente?»
«Sì, qualche mese fa! Non te ne ho parlato prima perché non ve n’era il tempo, ero di corsa! E’ molto malato e gli manchi tantissimo; se potesse verrebbe a trovarti, ma il suo corpo invecchiato non glielo permette! Maledice il re per quello che ti ha fatto…».
«La colpa è mia! – la interruppe Iemon – Non dovevo aiutare Bregael quella volta».
«Hai solo seguito il tuo cuore», rispose Ecra.


Elam camminava sotto la pioggia fredda senza curarsi di mettersi al riparo, era immersa nei propri pensieri. In fondo non aveva voglia di mettersi a cercare Kéndall, prima o poi sarebbe venuto lui da loro!
Le mancava la sua vita a Mukrum, ovunque andasse non vedeva altro che morte e distruzione; quale era la colpa degli uomini per meritarsi tutto questo?
Raggiunse Atemot, Nesca e Naira. L’Immacolato della Foresta era intenta a preparare la cena che consisteva in un minestrone di verdura: avevano bisogno di qualcosa di caldo e nutriente.
«Si sono ripresi?», chiese Naira vedendo rientrare l’amica.
«Ecra è fuori pericolo, l’ho lasciata sola con Iemon, immagino che avranno molto di cui parlare. Kéndall invece non è più nella casa di cura, ma non ho idea di dove si sia cacciato!».
«Chissà perché non è venuto da noi?!», disse Atemot.
Gli anni erano trascorsi e probabilmente l’amico non era più quello di un tempo, non doveva essere facile per un ragazzo di diciannove anni affrontare tutto quello che aveva passato.
Iniziarono a mangare quando Iemon li raggiunse. Naira si propose di tenere compagnia ad Ecra durante la notte e sua sorella decise di seguirla. Elam e Iemon invece dormirono nella casa di Atemot.
Il paese cadde nell’oscurità e nel silenzio più assoluto. Erano tutti nella propria abitazione, più stanchi che mai. Tempi molto duri li attendevano.


Kéndall si svegliò che il sole era già alto nel cielo eliminando ogni traccia di passaggio della pioggia precedente. Ora, finalmente, la locanda era di nuovo avvolta dalla luce.
La camera del ragazzo era completamente sottosopra. Il cesto era a terra e la frutta sparsa qua e là lungo la stanza. Sul tavolo vi era però riposto lo zaino di Kéndall, sicuramente non l’aveva lasciato lì; guardò al suo interno e si accorse che il cambio di vestiti non c’era più e la carta che avvolgeva il cibo era stata strappata e gettata a caso.
Si guardò attorno e poi si precipitò nella camera di Iemon, anche quella porta era stata forzata. Kéndall l’aprì e quello che vide lo sorprese.


Quando Ecra aprì gli occhi scorse Nesca e Naira accanto al suo letto, le giovani la guardavano silenziose.
«Siete rimaste tutta la notte sveglie?», chiese stupefatta.
«Oh no! Ci siamo date il cambio, volevamo tenerti compagnia anche se stavi dormendo. E’ necessario che ti riprenda il più presto e volevamo accertarci che non accadesse nulla», rispose Nesca.
«Ma non ce n’era bisogno, ora sto molto meglio; veramente! Ho solo bisogno di mangiare qualcosa e riprendere le forze necessarie per rimettermi in piedi. Anche voi dovrete affrontare il viaggio verso la Terra dell’Ovest, necessitate di riposo!».
«Non ti preoccupare per noi, poche ore di sonno ci bastano per riprendere le energie necessarie! Vado a prenderti qualcosa da mettere sotto i denti», disse Naira allontanandosi.
Nesca guardò Ecra preoccupata.
«Ho paura!», disse improvvisamente.
«E’ normale avere paura», rispose la sacerdotessa.
«Ma io non ho timore per me, ma per mia sorella!».
«Naira? E perché mai?».
«Non voglio che venga con noi in questa missione. Non è un Cavaliere Immacolato, non è costretta a subire le crudeltà del signore Oscuro, non voglio che metta a rischio la sua vita!».
«Ovunque Naira andrà sarà costretta a subire le crudeltà del signore Oscuro; i Cacciatori sono dappertutto! La sua vita sarà sempre a rischio, ma credo che preferisca battersi sapendo che accanto a lei c’è sua sorella».
«Probabilmente hai ragione tu!», disse Nesca cambiando discorso.


Atemot si era svegliato presto quel giorno, voleva accertarsi delle condizioni del suo cavallo che lo accolse contento. Si era ripreso del tutto! Sin da piccolo aveva avuto la passione per quegli animali. Era l’unico, in tutto il paese, a possedere una stalla oltre la casa. Tutti gli altri si dedicavano all’agricoltura, lui invece aveva condotto la sua vita in modo differente. Possedeva cinque ronzini. Il primo era Macchia, chiamato così perché era completamente nero, ma aveva una macchia bianca sul muso, era il più anziano dei suoi cavalli. C’era Stella, una cavalla di color marrone; non si faceva avvicinare da nessuno tranne che da Atemot. Narciso era l’animale rimasto ferito durante la battaglia ed era il cucciolo di Pepita, lei era restìa ai suoi compagni di stalla tralasciando il proprio cucciolo. Il cavallo più bello che possedeva il Cavaliere Immacolato era Argento, prendeva il nome dal manto grigio; suo padre glielo aveva regalato tornando da un viaggio dalle Terre del Sud.
Amava i suoi cavalli più della sua stessa vita e non li avrebbe mai affidati a nessuno, convinto che loro avessero bisogno di lui, esattamente come lui aveva bisogno di loro!


La camera era completamente a soqquadro. Il tavolo era stato gettato a terra, il vetro della finestra era in frantumi e il letto era completamente in disordine; le coperte a terra e i cuscini accanto alla porta del bagno. Kéndall entrò e trovò il locandiere imbavagliato e legato con una corda. Immediatamente, il giovane lo liberò.
«Cosa è accaduto?», chiese.
«Sono arrivati qui dentro, i Cacciatori. Cercavano tre avventurieri, io gli ho spiegato che qui non c’era nessuno. Ero terrorizzato e ho parlato di voi. Mi dispiace sul serio».
«Non importa, cosa cercavano?».
«Non lo so, parlavano di una sfera azzurra… Mi avevano legato e imbavagliato, volevano uccidermi, ma poi sono fuggiti terrorizzati. Io non ho idea di cosa se ne faccia il signore Oscuro di una sfera… io, credevo di morire!», il locandiere scoppiò a piangere come un bambino.
«Tranquillo, è passato tutto! Questo è per le stanze», lasciò i soldi sia per lui che per Iemon.
Aveva fame, ma non aveva tempo e doveva assolutamente parlare con Ecra che la trovò in compagnia delle due elfe.
«Kéndall, finalmente, dove ti eri cacciato?», chiese Nesca.
«Avevo bisogno di pensare – mormorò guardando Ecra che abbassò lo sguardo repentinamente – Come stai?».
«Meglio».
«Riesci a camminare?».
«Non ne ho idea, ancora non ho provato ad alzarmi».
«Kéndall che intenzioni hai? Non puoi farla camminare così presto, è ancora debole! Non vorrai metterti già in viaggio?!».
«Esattamente. Ecra devi alzarti».
«Te lo proibisco!», esclamò Nesca.
«Se rimaniamo qui i Cacciatori torneranno. Il loro obiettivo siamo noi, la gente di questo paese è in pericolo e sapete bene che non reggeranno un’altra battaglia! Quando i seguaci del signore Oscuro torneranno, saranno ancora più numerosi e desiderosi di vendetta».
«Ma se Ecra…».
«Basta così! – li interruppe la sacerdotessa – Dimmi quando vorrai riprendere il viaggio e mi farò trovare pronta».
«Bene, partiremo questa sera stessa!», dicendo questo, si voltò e si allontanò.
«Ma cosa gli è preso?», chiese Nesca scuotendo la testa.
«Non ti preoccupare, sa quello che fa».
Kéndall raggiunse l’abitazione di Atemot. L’amico non era in casa, ma vi trovò Elam e Iemon.
«Finalmente! Dove sei stato?», chiese Iemon.
«Sono tornato alla locanda a prendere lo zaino, è stata saccheggiata. Non ho trovato le tue cose, mi dispiace!».
«Non importa, quello che mi serve lo porto sempre con me!».
«Hai anche la sfera azzurra con te? Ecra me ne ha parlato, ha detto che è un oggetto che mi appartiene ».
«Non me ne separo mai!», disse porgendogli un sacchetto che teneva legato alla cintura.
«Kéndall – disse poi Elam- io vi seguirò sino a Drelegara, giunti lì mi separerò da tutti voi!».


Ecra guardò Nesca e poi annuì come per incoraggiarsi. Si sedette sul bordo, pronta a provare ad abbandonare il letto.
«Non devi se non te la senti, Kéndall comprenderà», disse Naira.
«Mi fido di lui», disse guardandola decisa. Si alzò, ma la testa iniziò a girarle, resistette per pochi secondi prima di ricadere sul letto. Naira si avvicinò per aiutarla.
«Aspetta, ce la devo fare da sola. La prima regola che mi ha insegnato mio padre è quella di non arrendersi, io non l’ho mai deluso e non inizierò ora. Ci proverò a costo di metterci tutto il giorno».
Naira annuì e guardò Nesca. Era probabilmente questa forza che aveva fatto sì che il Cavaliere Immacolato dell’Acqua affrontasse molte battaglie da sola, non era certamente un caso che fosse stata prescelta.


La sera giunse e i ragazzi si ritrovarono tutti nella casa di Atemot.
Elam aveva spiegato a Kéndall che a Drelegara vi era una scuola di magia e voleva provare ad imparare quell’arte.
Ecra era riuscita a restare in piedi dopo un paio di tentativi.
Loro non conoscevano la verità, non potevano sapere che la ragazza aveva una ripresa veloce solo perché era stata maledetta.
Il Cavaliere Immacolato della Terra propose di affrontare il viaggio in groppa dei suoi cavalli e l’idea venne accolta con entusiasmo, tranne che da Ecra: lei non sapeva cavalcare.
Preparato il necessario fu la volta di partire.
Atemot era in groppa a Stella, Iemon e Nesca avrebbero cavalcato Macchia, Pepita era guidata da Elam, Narciso da Naira e Argento aveva su di sé Ecra e Kéndall.
La gente del paese salutò i sette ragazzi con inchini di ringraziamento, preghiere, raccomandazioni di tutti i tipi.
«In marcia!», urlò Kéndall.
Un ultimo sguardo al paese di Skaam prima di partire alla volta della Terra dell’Ovest.

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