Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005
VIII Capitolo
La Maledizione
La guerra proseguiva già da un po’. Il cielo iniziava ad oscurarsi, si intravedevano enormi e minacciose nuvole piene di pioggia, all’orizzonte.
Era palese che i Cacciatori stavano avendo la meglio, ma gli abitanti continuavano a difendere Skaam con tutte le forza e il coraggio che avevano in corpo. Non volevano vedersi piegati in due una seconda volta, non avrebbero retto il peso di un’ulteriore ricostruzione.
Nesca, Naira ed Atemot erano già intenti a combattere. Le due sorelle indossavano, nuovamente, quegli stessi abiti che Kéndall aveva avuto modo già di conoscere. Erano abiti che permettevano loro di muoversi liberamente, con tutta l’agilità tipica degli elfi. La loro arma consisteva in un arco e faretra colma di frecce.
Atemot, a differenza delle amiche, l’agilità la traeva dal cavallo che stava cavalcando. Anche lui aveva trovato il tempo di cambiarsi al volo.
Ora portava una maglia nera a maniche lunghe e dei pantaloni di pelle, negli stivali neri vi era stato infilato un coltello, in caso di necessità e dalla vita, all’interno di una fodera, pendeva una spada. In mano però, il Cavaliere Immacolato, aveva una lancia che fece roteare al di sopra della sua testa prima di scagliarsi contro i suoi nemici.
«Raggiungo Kéndall e Iemon! Naira coprimi le spalle», disse Nesca.
«Aspetta un momento, è troppo rischioso!», stava per dire Atemot, ma inutilmente visto che la ragazza era già partita verso le porte del paese. Naira, da abile arciera, obbedì all’ordine della sorella e abbattè un paio di Cacciatori, grazie anche alla vista acuta: ennesimo pregio dell’essere un’elfa.
Nesca avanzava facendosi largo tra la gente che correva a difendere i punti più critici. Anche un Cacciatore stava correndo verso Nesca con la spada sguainata.
«Dovevi crepare insieme alla tua stirpe!», urlò scaraventandosi sull’elfa che arretrò inciampando e trovandosi con il sedere contro la polvere.
Si era fatta cogliere impreparata, ma soprattutto non aveva un’arma con cui difendersi dagli attacchi ravvicinati. Poteva soccombere se non fosse giunto qualcuno pronto a pararsi di fronte a lei e ad uccidere il Cacciatore con tanta maestria da rimanere stupefatta.
«Tutto bene?», la ragazza porse la mano verso Nesca che l’afferrò annuendo.
«Grazie Iemon, ti devo la vita! Sei stata magnifica…».
«Rimandiamo i ringraziamenti, dove stai andando?».
«Credevo che tu e Kéndall aveste bisogno di aiuto». L’amica scosse la testa.
«Kéndall se la sta cavando a meraviglia».
«Allora d’accordo, continuiamo qui!».
Iemon non poteva immaginare che Kéndall stava combattendo con due Cacciatori che stavano avendo la meglio. Intorno ai due nemici era apparsa una strana luce blu fosforescente, copriva l’intero profilo della loro figura; il giovane Cavaliere ignorava di che tipo di Charme si trattasse, ma sicuramente qualcosa di molto potente, visto che da quel bagliore dipendeva la forza crescente dei suoi nemici.
Lui, invece, diveniva sempre più spossato. Non era abituato a mantenere un ritmo così costante, era da un po’ che non si allenava ed ora ne stava risentendo. Per non contare del fatto che si trovava solo, ma non era certo il caso di parlare di codardia o di orgoglio a dei Cacciatori, poteva ben sapere come la pensavano! Avevano solo un obiettivo: annientare Skaam con tutti i suoi abitanti.
Poi sopraggiunse l’idea! Non poteva sapere se avrebbe funzionato, ma tentare non costava nulla, tranne che lo avrebbe provato su qualunque energia. Doveva ricorrere, assolutamente, alla magia anche lui. Doveva farsi venire in mente qualcosa di utile, un tipo d’incantesimo che poteva venirgli in soccorso: pensa in fretta Kéndall!
Ed ecco l’illuminazione! Mentre studiava a Mukrum, aveva letto di una magia che faceva comparire una specie di mini terremoto che andava a colpire a pieno il nemico, ma l’abilità della magia non si fermava qui, avrebbe, inoltre provocato delle fiamme intorno al loro corpo. Era l’ultima speranza che aveva per liberarsi del nemico una volta per tutte, poi, in caso, si sarebbe fermato, qualche istante, per riprendere fiato.
Dopo l’uso della magia non poteva riprendere immediatamente a combattere, doveva assolutamente riposarsi un poco.
Guardò i Cacciatori diritto verso quella fessura del cappuccio oltre cui si celava il loro volto. Assottigliò lo sguardo e poi sospirò prima di piegarsi sulle ginocchia e spiccare un balzo, atterrando e battendo i pugni contro il suolo.
Lì per lì i nemici non compresero bene; solo dopo che una leggera scossa nel terreno li fece vacillare e delle fiamme coprirono i loro corpi si resero conto che si trattava di una magia, sicuramente non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un mago. Effettivamente Kéndall non aveva l’aria di esserlo.
«Ce l’ho fatta…», mormorò il Cavaliere rimanendo a guardare i Cacciatori che urlavano avvolti dalle fiamme.
Le forze si erano quasi esaurite. Si piegò per raccogliere la spada che aveva lasciato a terra; ora le pendeva dalla mano, esausta come il suo padrone.
Stava per voltarsi per cercare un luogo più appartato dove poter recuperare le forze, ma delle risate agghiaccianti richiamarono la sua attenzione.
Vide le figure dei Cacciatori che si rialzavano. Inarcò le sopracciglia incredulo, come era possibile che la sua magia non aveva avuto effetto? I due nemici sembravano essere intatti, era scomparso solamente quel bagliore blu che li circondava . Poi comprese. Si trattava probabilmente di una sorta di barriera che lui aveva infranto solo grazie alla sua magia.
Perché non se ne era reso conto in tempo?
Aveva avuto modo di informarsi sulle barriere quando ancora abitava a Logh, una volta aveva anche provato a mettere in pratica uno Charme di quella portata, ma senza esito. Sua madre lo aveva consolato, asciugando le sue lacrime di bambino di dodici anni. Gli aveva spiegato che era necessaria una riserva di energia abbastanza elevata per poter mantenere quella magia a lungo, che un bambino come lui non era ancora in grado di affrontare una prova simile, gli aveva promesso che un giorno sarebbe stata proprio lei ad insegnargli come fare.
Chissà se sua madre aveva utilizzato la magia nel momento in cui i Cacciatori invasero la loro città nelle Terre Selvagge?!
Ora doveva tornare al nemico.
«Niente male ragazzino, devo ammettere che ti abbiamo sottovalutato!
Non credi anche tu? Un mago…», stava dicendo uno di loro rialzandosi.
L’altro rispose con un grugnito; Kéndall notò immediatamente che almeno lui aveva riportato conseguenze maggiori rispetto al suo collega.
A quanto pare si era ustionato una gamba ed aveva difficoltà a rialzarsi.
Il primo Cacciatore, quello che si era già alzato non approvò l’accaduto.
«Ora basta! Abbiamo giocato sin troppo, è ora di raggiungere la tua mammina!», disse avvicinandosi e sferrando un colpo.
Kéndall provò a pararlo, ma i muscoli del suo braccio non ressero l’urto e la spada volò lontana dal corpo del Cavaliere che seguì con lo sguardo la sua arma prima di ritornare ai suoi nemici. In quel piccolo attimo di distrazione la spada del Cacciatore lo colpì conficcandosi lungo la spalla. Il giovane sentì un dolore lacerante che aumentò nel momento in cui il nemico estrasse la spada. Istintivamente portò la mano sinistra contro la spalla destra, ma le gambe vacillarono. Si trovò con il volto a terra e con la bocca nella polvere. Il ragazzo provò a rialzarsi.
Era quello il momento?
Era così che ci si sentiva quando si andava incontro alla morte?
Probabilmente anche Karm ed Asha avevano provato lo stesso dolore, ma non tanto fisico, era il dolore della sconfitta.
«E’ la fine!», disse il Cacciatore. Con la coda dell’occhio Kéndall vide quella figura incappucciata pronta a conficcargli la spada alla schiena. Codardi sino alla fine. Poteva provare a difendersi, ma il corpo non rispondeva alla sua volontà. Le forze si erano esaurite e sentiva che conati di vomito volevano risalire tanto forte era il dolore alla spalla.
Quello che vide poi lo lasciò stupefatto. Il destino aveva altri progetti per lui.
Il Cacciatore, pronto ad ucciderlo, si trovò d’un tratto disteso accanto a lui con una freccia conficcata nel cuore. Per un attimo, molto breve, Kéndall poté vedere il nemico negli occhi prima che spirasse. Erano vuoti, senza paura, né gioia, né altro. Il corpo del Cacciatore si dissolse come polvere: era questa la fine che facevano dopo la morte! Il signore Oscuro li voleva con sé sino all’ultimo, non dava loro nemmeno la possibilità di redimersi in punto di morte.
Qualcuno allungò la mano verso Kéndall che alzò lo sguardo. Un sorriso pieno di felicità coprì il suo volto. Con molta fatica, il Cavaliere fu aiutato a rialzarsi. Barcollava.
«Elam, non hai idea di quanto sia stato in pena per te!».
«Non ora Kéndall, vinciamo questa guerra e poi ci dedicheremo alle chiacchiere».
Elam volse lo sguardo verso la figura che l’aveva accompagnata. Quest’ultima aveva appena terminato di uccidere l’altro Cacciatore. Poi si avvicinò al Cavaliere e strappando una parte del proprio mantello, fasciò al meglio la spalla di Kéndall che rispose con un lamento di dolore.
«E’ profonda; vedrai che dopo la medicazione guarirà presto!
Ora bevi questo, ti restituirà le forze!», disse porgendogli una fiala contenente un liquido violaceo. Solo in quel momento notò il volto dello sconosciuto.
Intanto Atemon e Naira continuavano la loro battaglia nel cuore del paese e vennero, ben presto, raggiunti da Iemon che combatteva come una furia. Ritornare all’avventura era quello che il suo cuore desiderava veramente, ma si era costretta a rimanere in quella piccola casa per paura di affrontare il passato. Al momento non era ancora pronta per lasciarselo alle spalle. Tornava a perseguitarla come un incubo ricorrente che le rammentava il motivo per cui aveva abbandonato le amate Terre del Sud.
Naira, finendo le frecce nella faretra, raccolse da terra una spada.
Era agile e i Cacciatori ebbero difficoltà a tenerle testa.
Atemot era dovuto smontare da cavallo, era rimasto ferito durante un duello con un Cacciatore che, solo per aver osato toccare il ronzino, era finito con la testa mozzata.
Sia lui che Naira iniziavano a risentire di quella battaglia interminabile; più Cacciatori uccidevano e più sembravano fuoriuscire dal nulla. Nonostante ciò, proseguirono. Non volevano far soccombere il paese di Skaam.
«Iemon, dov’è Nesca?», chiese la sorella evidentemente preoccupata.
«Non ne ho idea, sono sicura che sta bene! Non farti distrarre e continua a combattere!», anche questo lo aveva imparato con l’esperienza.
Un combattente che si fa sopraffare dai sentimenti, finisce per soccombere.
Nesca, che voleva raggiungere gli alri, si era dovuta fermare salvando una mamma con il suo bambino che erano in balìa di un Cacciatore.
«Non dimenticherò il tuo gesto!», le aveva detto la donna. Probabilmente sarebbe stato così o forse, dopo la fine della battaglia, si sarebbe fatta prendere da altre emozioni e se ne sarebbe dimenticata, ma poco importava; come Cavaliere Immacolato era suo compito aiutare il prossimo, specialmente se questo richiedeva un Cacciatore in meno.
Kéndall sorrise, era contento che fossero di nuovo tutti assieme.
Mandò giù il liquido della boccetta, era amaro, ma subito si sentì pervaso da una certa energia, il dolore al braccio destro era ancora forte, ma dovette resistere ed insieme agli altri riprese a combattere contro i Cacciatori.
Questa volta però, non commise l’errore di affrontarne più di uno alla volta e, senza guardare in faccia l’orgoglio, ne colpì anche qualcuno alle spalle.
Le strade erano piene di morti; i feriti si trascinavano verso qualche riparo; molte abitazioni erano andate distrutte, altre invece erano ancora avvolte dalle fiamme. Nessuno si curava di salvare la casa, ognuno badava, piuttosto, a salvare la propria vita e quella dei cari. Parecchio sangue era stato versato in una sola notte!
All’improvviso la battaglia cessò. Un urlo agghiacciante, colmo di odio e disperazione lacerò il cielo, in molti si domandarono da dove provenisse, ma nessuno si diede una risposta concreta.
I Cacciatori si guardarono l’un l’altro e poi fuggirono dal paese, come terrorizzati.
Kéndall fissò un punto di fronte a sé, la vide afflosciarsi a terra con una spada conficcata al ventre. Il cappuccio scivolò via scoprendo un volto pallido e privo di forza, le mani andarono repentine verso la spada nemica che l’aveva colpita.
«Ecra!», urlò il Cavaliere Immacolato del Vento raggiungendola. Non poteva essere vero!
L’alba stava sorgendo e gli uomini e le donne del paese di Skaam si diedero da fare immediatamente. La popolazione, già scarsa, si era praticamente dimezzata. Erano sopravvissuti più donne e bambini che uomini.
Gli incendi furono spenti e qualche casa venne salvata, i feriti vennero portati nelle case di cura e i corpi dei morti vennero bruciati. Era meglio evitare possibili infezioni che la guerra era solita portare con sé.
Il paese era avvolto dal pianto delle spose, delle madri, dei mariti, dei padri e dei figli che in quella notte avevano perso qualcuno a loro caro.
Kéndall, come molti altri, si trovava disteso sul letto. La sua ferita era stata ripulita, fasciata e curata con delle erbe dall’odore acre. A tenergli compagnia vi erano Nesca e Naira, mentre Atemot era intento a prendersi cura del cavallo rimasto ferito durante la notte. Quegli animali erano tutto per lui. Non ci avrebbe pensato due volte a dar la vita per loro.
«Come sta Ecra?», domandò Kéndall.
«Non lo sappiamo ancora, Iemon e i guaritori sono con lei.
Appena sapremo qualcosa, sarai il primo ad essere informato!».
«Immagino sia grave». Le due ragazze si erano limitate ad annuire.
Tutti avevano un pensiero in testa. Ecra sarebbe potuta soccombere alla morte da un momento all’altro, nonostante nessuno volesse ammetterlo. Non poteva accadere, non a lei. Sujum aveva sempre innalzato le sue doti di ottima combattente, cosa poteva essere accaduto allora?
Come aveva potuto non notare una spada di un Cacciatore che le arrivava diritta al ventre? Era un errore da novellini, persino Kéndall lo sapeva bene. Scosse la testa incredulo.
Alla fine le due elfe si allontanarono lasciando il Cavaliere Immacolato a rimuginare sui propri pensieri.
Elam le attendeva fuori; si abbracciarono, contente di rincontrarsi. Dovevano raccontarsi molte cose, ma ora ogni pensiero era solo per Ecra.
Nessuno di loro aveva avuto modo di conoscerla meglio. Elam l’aveva vista una volta sola, nella Grande Arena, lì aveva dato atto del suo coraggio, della sua forza e della sua abilità nell’utilizzare la spada.
Lo aveva fatto anche salvando Nesca e Naira dalle grinfie dei Cacciatori, conducendole sane e salve sino a Skaam dove le aveva lasciate con Atemot.
Alla fine, le tre, si diressero proprio a casa di quest’ultimo. Lo trovarono seduto in cucina che si teneva la testa tra le mani, evidentemente preoccupato.
«Come stanno?», chiese appena le vide arrivare.
«Kéndall si riprenderà molto presto, di Ecra nessuna notizia…».
Ci fu una veloce presentazione tra Elam e il Cavaliere Immacolato della Terra.
«Tu come stai?», chiese Naira. Anche lei, grazie ad Atemot, aveva imparato ad apprezzare creature maestose come potevano esserlo i cavalli e sapeva che per il ragazzo era assurdo doversene stare con le mani in mano mentre una dei suoi animali stava perdendo la vita.
«Credo che non sopravvivrà! E’ sempre più debole, forse sarebbe meglio mettere fine alle sue sofferenze!», disse.
«Mi spiace, ma forse non è detta l’ultima parola, Nesca vieni con me!», Naira si alzò e la sorella la seguì. Avrebbero fatto tutto quello che era in loro potere per non far soccombere lo stallone.
Kéndall era rimasto solo nella stanza. La spalla gli bruciava.
Essere un Cavaliere Immacolato portava ad avere molte cicatrici, ma non erano quelle fisiche che lo preoccupavano; da quelle, prima o poi, si guariva. Il pensiero che più lo tormentava rimaneva quello di Ecra.
Alzò lo sguardo! Nessun guaritore nelle vicinanze. Lottando contro la nausea che gli procurava il dolore alla spalla e contro la stanchezza, si alzò dal letto e con passi barcollanti andò a cercare la sala dove venivano ospitati i pazienti con le ferite più gravi.
La struttura non era molto grande, somigliava più ad una semplice casa, forse per questo era passata inosservata agli occhi di Kéndall al suo arrivo a Skaam. Le pareti erano state tenute bianche, di tanto in tanto si poteva incontrare un vaso di fiori che dava un’aria più fresca a quel posto. Rispetto al resto del paese, era una struttura che si trovava più ad ovest, circondata solo da un prato, forse per questo i Cacciatori l’avevano lasciata intatta. Probabilmente non era quella a richiamare il loro interesse.
Non fu molto difficile trovare ciò che cercava. Si trattava di una sala e, lungo i due lati, vi erano stati riposti dei letti, divisi l’uno dall’altro, da tende bianche.
Li controllò uno ad uno, sino a che non trovò quello che cercava.
Ecra era distesa sul letto, il ventre le era stato fasciato ed era ben visibile che la ferita stava continuando a sanguinare. Il viso della ragazza era pallido e contorto in una smorfia di dolore. Non era cosciente, ma lasciava chiaramente trasparire la lotta che stava affrontando. Kéndall non aveva idea di quanto avrebbe potuto ancora reggere. Le prese la mano, era fredda e priva di forza. La guardò a lungo. Si domandava come un corpo così smilzo potesse contenere tanta forza.
«Ricordi quando mi sei apparsa in sogno quella volta a Mukrum?
Vorrei riuscire a fare lo stesso, poterti venire incontro e dirti di non arrenderti, perché io sono qui con te! Noi tutti siamo al tuo fianco e non ci priviamo della speranza che questa battaglia la vincerai! Sei forte. Sujum me lo ricordava sempre, anche in quei momenti in cui io dubitavo che tu potessi riuscire nell’impresa di salvare Nesca e Naira. Mi hai sorpreso! Ero convinto che non saresti riuscita, che non avrei mai ricevuto notizie buone da te… ». Non poteva sapere se la ragazza potesse sentirlo o meno, ma provare non avrebbe fatto male a nessuno. Magari le sue parole gli sarebbero giunte come un ricordo lontano, un sogno, ma forse le avrebbero dato la forza necessaria per combattere. Poteva comprendere benissimo quanto aiutavano le parole di conforto nel momento del bisogno.
A lui avevano dato la forza necessaria di raggiungere la città di Mukrum nonostante avesse perso la speranza di riuscirci.
Alla fine lasciò la mano di Ecra e si allontanò, ritornando nella stanza che gli era stata riservata. Trovò Iemon ad attenderlo.
«Si può sapere dove ti sei cacciato? Sai bene che non ti puoi alzare dal letto!».
«Già, ma te l’ho detto che non sono in grado di restare fermo senza poter far nulla! Come stai?», chiese poi. Lei scosse la testa.
«Sono incredula! Non ho idea di come sia potuto accadere un fatto simile, ma soprattutto non sapevo che Ecra fosse a Skaam. Quando è arrivata?».
«In pieno combattimento. Lei ed Elam mi hanno salvato la vita! Avevamo ripreso a combattere… è accaduto così all’improvviso!
Sono incredulo quanto te». Kéndall sospirò e poi si infilò tra le lenzuola. Iemon invece si accomodò su una sedia. Era certamente inutile tormentarsi l’anima. Il fato avrebbe agito comunque, volente o nolente.
«Avevamo fatto un patto prima di iniziare una battaglia e i cavalieri sono legati alle promesse! Ho ucciso tredici Cacciatori», disse la ragazza.
Kéndall non era nella forma ottimale per affrontare un discorso simile, ma sapeva che l’amica aveva bisogno di distrarsi e, nonostante si fosse dimenticato di contare quanti ne aveva eliminati lui, si ritrovò a mentire da una parte per placare una sua curiosità, dall’altra per aiutare la giovane a pensare a qualcosa che non fosse Ecra.
«Ne ho eliminati due più di te!», non era bravo a dire bugie, ma questa volta sembrava esserci riuscito.
«Ti dirò, non è una storia molto avvincente, ma i patti sono patti! Vediamo da dove iniziare… Ero diventata Cavaliere del Regno del Sud già da un paio di anni ed il mio compito principale era quello di proteggere la principessa Carlii, una ragazza dalla bellezza superiore persino a quella elfica, ma dal cuore freddo come il ghiaccio! In fondo al cuore so di non averle mai voluto bene davvero, compivo solo il mio compito, niente di più! Era viziata ed egoista e stare dietro ai suoi ritmi a volte diventava difficile persino per me. Alloggiavo nel castello, la mia stanza era proprio quella accanto alla principessa, molti cavalieri invidiavano il mio ruolo, ma io ne avrei fatto molto volentieri a meno. La notte, i miei occhi riposavano, ma le mie orecchie erano sempre pronte a percepire anche il più piccolo rumore. A stento vedevo mio padre e mia sorella, una volta ogni due mesi al massimo.
Carlii non voleva che mi allontanassi da lei, più che da cavaliere mi trattava come un’accompagnatrice, damigella o serva. So solo che la cosa mi snervava e, nonostante ne avessi parlato, il re preferì mantenermi in quel ruolo. Aveva detto che sua figlia non si fidava di nessun altro.
Un giorno però, l’apparente felicità del castello, venne rovinata dall’arrivo di un ragazzo misterioso. Certo, un uomo molto affascinante, ma il mio istinto mi diceva chiaramente che di lui non ci si poteva fidare. Il re lo accolse come ospite per molto tempo, a quanto pareva Carlii lo trovava affascinante e lui era un pretendente della mano della principessa. Disse di essere un principe, figlio di Breag, re della terra del Nord – Ovest. Avevo sentito parlare di lui, ma le voci che mi erano giunte sul suo conto non erano molto rassicuranti. Si erano conquistati il loro regno spargendo sangue a destra e a manca, si sono presi i territori circostanti con la forza, portando quegli abitanti ad avere timore del proprio re. Provai ad avvertire la principessa, ma lei non volle darmi ascolto; voleva assolutamente sposarlo e nessuno avrebbe potuto impedire il loro matrimonio.
Feci delle ricerche sul principe, chiesi in giro: scoprii che era un seguace del signore Oscuro e ne parlai con il re del Regno del Sud, ma lui , preso dalle nozze della figlia, non mi credette.
Dopo la prima settimana di matrimonio, calmai il mio spirito, sembrava andare tutto bene, ma nonostante ciò continuai a tenere sott’occhio lo sposo. Purtroppo, una mattina trovammo il corpo della principessa Carlii senza vita. Cercammo lo sposo in lungo e in largo, ma sembrava essere stato inghiottito dalla terra. Il re era cambiato all’improvviso e, nemmeno l’allegria della figlia minore lo aiutava, era come se fosse invecchiato di cent’anni.
Qualche mese dopo rincontrai lo sposo o, meglio, l’assassino della principessa; dentro di me covavo solamente il desiderio della vendetta! Combattemmo, ma accecata dall’odio commisi molti errori e venni sconfitta. Lui mi disse che non era più quello di prima, che aveva abbandonato le orme del signore Oscuro, che gli dispiaceva per quello che era accaduto a Carlii. Mi lasciò andare, tenendomi salva la vita, un gesto che un giorno contraccambiai e lo aiutai. Il re del Regno del Sud ne venne a conoscenza e quindi mi ritrovai costretta a fuggire; d’allora non misi più piede nella mia terra! Fine del racconto».
«Mi dispiace davvero!», commentò Kéndall.
«Ora è meglio che vada, hai bisogno di riposare. Il giovane annuì e Iemon abbandonò la stanza. Il Cavaliere Immacolato si addormentò quasi subito.
Atemot era rimasto seduto in cucina mentre Elam si era alzata per preparare il pranzo.
«Vedrai che andrà tutto bene!», disse la giovane.
«Lo spero», mormorò l’altro.
Le due elfe rientrarono in casa. Atemot alzò lo sguardo in attesa di notizie del suo cavallo. Naira lo consolò con un sorriso.
«Si sta riprendendo, deve solo riposare!», disse.
«Grazie ad entrambe».
Ben presto sopraggiunse anche Iemon. Scosse la testa. Di Ecra ancora nessun segno di ripresa e la tormentava tutta la faccenda. Non poteva permettere che la ragazza morisse, ma non aveva idea di come aiutarla.
Non era come salvare un animale. Non conosceva un tipo di magia abbastanza potente e sicuramente non si trovava un’ erba che la potesse liberare dalla morte.
Si misero a tavola mangiando verdura accompagnata da pane nero.
Parlarono di tutta la situazione; soprattutto si domandavano per quale motivo i Cacciatori avessero, nuovamente, attaccato Skaam.
Il cielo iniziava ad oscurarsi, pesanti nuvole nere provenivano dal Nord e promettevano pioggia.
«Credo sia meglio che io vada da Kéndall. Vorrà sicuramente parlare un po’ con me!».
Gli altri annuirono e lasciarono andare l’amica che aveva lo sguardo stanco.
Quando Kéndall riaprì gli occhi, seduta accanto al suo letto, c’era Elam che lo guardò e gli sorrise.
«Perché non sei venuta prima?», chiese.
«Avevi bisogno di riposare, non potevo stancarti con il mio racconto!».
«Ero solo molto in pensiero per te ed Erised. Lei come sta, è ancora viva?».
«Ti racconto con calma… Quando ci buttammo nel fiume, o meglio, quando Erised mi fece cadere, ci ho messo un po’ per vincere contro la corrente. Io non riuscivo a scorgerti da nessuna parte, ma Erised, all’improvviso aveva afferrato la mia mano: era riuscita a raggiungere la riva e mi salvò. Di te nemmeno l’ombra. Riposammo per qualche minuto prima di rimetterci in viaggio, avevamo paura che i Cacciatori ci potessero raggiungere da un momento all’altro; eravamo terribilmente in pensiero per te! Erised, lungo tutto il cammino, non fece che lamentarsi per la fatica e per la tua perdita. In un paio di giorni raggiungemmo la città di Karji. Il giorno dopo mi separai da Erised e mi rimisi in cammino. Sapevo che da Skaam mi separavano circa quattro giorni. Il primo giorno trascorse tranquillamente, ero persino riuscita a mantenere un passo costante e veloce. Il secondo giorno, invece, fu differente. Ovunque mi guardassi vedevo solo disperazione e distruzione; compresi che dei Cacciatori erano già passati. Sai bene come sono ostinata ed iniziai a seguirli, fu proprio così che incontrai Ecra. Anche lei si era imbattuta lungo il cammino dove erano passati i Cacciatori e voleva capire dove fossero diretti. Quei mostri, però, al contrario di noi, sembravano non stancarsi mai, per cui ben presto li perdemmo di vista, ma non fu difficile seguire le loro tracce. Giungemmo alla fine a Skaam, dove trovammo la guerra…».
«Mi basta sapere che Erised è viva. Avete scoperto cosa ha indotto i
Cacciatori ad attaccare questo paese?».
Elam scosse la testa.
«Va bene Elam, ora ho bisogno di riposare!».
«D’accordo. Passeremo più tardi, il guaritore ha detto che per questa sera sarai fuori di qui! Piuttosto, prima che me ne dimentichi, ti ho lasciato il pranzo sul tavolo».
Elam si alzò ed uscì. Kéndall guardò verso il tavolo. Sopra vi era un piatto di zuppa di pesce ancora fumante, accanto, posto su pezzo di carta, del pane e un bicchiere con all’interno un liquido di colore verdastro.
Mangiò silenziosamente immerso nei propri pensieri.
Pensava a Sujum, ai suoi genitori, a quando aveva scoperto la sua identità, all’incontro con Nesca e Naira, al piccolo tratto di viaggio percorso assieme ad Elam ed Erised. La gente che lo circondava si trovava in pericolo in continuazione, era come se fosse perseguitato da una maledizione!
La solita domanda gli ronzava in testa: sarebbe mai giunto a destinazione?
Si guardò attorno; nessuno nei paraggi. Si alzò e si diresse verso la stanza dove si trovava Ecra.
Si sorprese nel vederla sveglia, aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma quello che importava era che fosse fuori pericolo. Le bende erano state cambiate e la ferita aveva cessato di sanguinare.
«Sei viva!», esclamò contento Kéndall.
La giovane spostò lo sguardo ed accennò un sorriso.
«Ne dubitavi forse?! Siediti». Ecra spostò il corpo per fare spazio a Kéndall che si accomodò sul letto, accanto a lei.
«Ho parlato con Elam, mi ha raccontato del vostro incontro…».
«… Sono stata da Sujum!», lo interruppe lei.
«Davvero! E come sta?».
«E’ in pensiero, ma sta bene. Mi ha raccontato che dopo la tua partenza, è andato a bussare alla sua porta un tipo strano e che era rimasto a fissarlo a lungo. Lo guardava in modo strano tra il dispiacere e lo stupore, alla fine si è voltato e se ne è andato! Comunque ti saluta e ti fa mille raccomandazioni che non starò qui a riportarti o non finirò mai!».
«E’ per questo che non sei rimasta a Skaam? Per andare a far visita a mio zio?», domandò.
«In parte! Qualche mese fa, ritornai nella Terra del Sud, per far visita a mio padre, ma non lo trovai. Venni a sapere che si era trasferito a Ruillo, nel Reame delle Terre Azzurre; si era ammalato ed io gli tenni compagnia per qualche giorno. Durante tutta la mia permanenza non si è mai mostrato affaticato, ma io sapevo che era malato e capivo che voleva nascondermelo. E’ vecchio e il suo corpo non lo reggerà ancora per molto! Comunque, prima che ripartissi, mi diede uno strano oggetto azzurro, una sfera che affidai a mia sorella. Dopo lunghe e svariate ricerche scoprii che quell’oggetto apparteneva a te!».
«A me?».
«Esatto. Ogni Cavaliere Immacolato ne ha uno. Ognuno di questi oggetti ha un potere maestoso, ma sconosciuto».
«E tu ne hai uno?».
«No, ancora non ho trovato il mio!», abbassò lo sguardo.
«Sei stanca? Vuoi riposare?», Kéndall stava per alzarsi, ma Ecra gli afferrò il polso. Il ragazzo guardò la mano della giovane e poi il suo volto; aveva occhi pieni di dolore e tristezza.
«Ascoltami attentamente, ho bisogno di confessarti una cosa!».
Kéndall assottigliò lo sguardo su di lei e si lasciò sfuggire un sospiro.
Alla fine annuì pronto ad accogliere il suo di racconto.
«Ho riflettuto a lungo – iniziò a dire – e non sapevo se fosse meglio tenere la cosa per me, ma poi mi sono detta che visto che entrambi siamo destinati a percorrere lo stesso destino… Ho bisogno di raccontare la verità a qualcuno. Ne parlerò con te perché so che sei l’unico che può raccontare la verità agli altri Cavalieri Immacolati e quando sarai pronto anche a Iemon. Io non ne sarei capace!».
Kéndall l’ascoltava silenzioso. Ecra gli stringeva ancora il polso e non sembrava avere intenzione di lasciarlo andare. Poi riprese a parlare. «Quando scoprii di essere un Cavaliere Immacolato avevo solo otto anni. A quel tempo ero una sacerdotessa novizia, alle prime arti. Tra i druidi la storia dei cinque Cavalieri Immacolati ha una grande importanza, poiché loro ebbero una parte. Difatti, quando il signore Oscuro ritornò, la notte in cui i pianeti si allinearono, i druidi resero quella creatura mortale; tra quei druidi vi era anche mio padre, Blader Mar. Raccontai a mio padre della voce che avevo udito e lui mi guardò con uno sguardo triste, ma al contempo severo perché questo voleva dire che il male era ritornato. Fece una specie di riunione convocando molti druidi, vennero da ogni parte del mondo; due anni dopo ci sarebbe stata la notte in cui i pianeti si sarebbero allineati. Nel mentre mio padre non restò con le mani in mano, aspettando che tutti i druidi ci raggiungessero, lui mi istruì. Mi insegnò l’arte della spada, della magia e crescendo stavo diventando una sacerdotessa e un Cavaliere Immacolato a tutti gli effetti. Giunse la fatidica notte! Tutti i druidi si riunirono nel Bosco della Luce. La mia curiosità o forse la mia testardaggine, mi costrinsero a seguirlo, mi nascosi dietro ad un albero ed in silenzio seguii il rito. Avevo dieci anni ed ero ancora una bambina ingenua, molto ingenua! I druidi si erano riuniti in cerchio, tenevano gli occhi chiusi ed il volto rivolto verso la luna. Erano completamente concentrati sulle loro preghiere che non si resero conto di quello che stava avvenendo al centro del cerchio o forse ne erano a conoscenza ed ignorarlo faceva parte del rito. Lì in mezzo vi era mia madre o meglio, il suo spirito. Fu una dei tanti druidi che cadde per mano del Signore Oscuro.
Uscii dal mio nascondiglio, lei mi guardava e mi sorrideva; le corsi incontro trovandomi anche io nel mezzo. La maledizione piombò su di me!
Io non mi rendevo bene dell’accaduto, ma quando il rito terminò e i druidi riaprirono gli occhi… mio padre mi guardava ed è stata la prima volta che lo vidi piangere in quel modo!».
Anche Ecra stava piangendo e lasciò andare il polso del Cavaliere Immacolato per asciugarsi le lacrime. Lui continuava a guardarla.
«Cosa accadde? In che cosa consiste la maledizione?», chiese.
«Mio padre fece mantenere il segreto ai druidi che avevano partecipato al rito ed io promisi di non dire nulla a Iemon! Era una situazione difficile da sopportare, nascondere il mio più grande segreto alla mia stessa sorella…», si fermò di nuovo. Guardava il pavimento.
«Di che parlava la maledizione?», chiese nuovamente Kéndall.
«Non ti sei chiesto perché le mie ferite si sono rimarginate così in fretta? Io sono abilissima nell’arte della spada, ma sapevo che Skaam non sarebbe sopravvissuta a quest’attacco da parte dei Cacciatori ed è solo per questo che mi sono lasciata colpire. Il nemico si è ritirato perché sono stata ferita e di conseguenza anche lui è stato ferito. Quando lui morirà, io morirò con lui! Siamo una cosa sola…».
«Lui chi?», conosceva bene la risposta, ma non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso.
«Posso morire solo per mano di un Cavaliere Immacolato o per mano dello stesso signore Oscuro, ma lui non mi ucciderebbe mai o sarebbe come suicidarsi. Questa è la mia maledizione!».
La notizia cadde su Kéndall come un fulmine al ciel sereno.