Racconti, Racconti a capitoli

7) La stirpe del drago

Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005

VII Capitolo
La difesa

Kéndall guardava diritto di fronte a sé. Le porte della città non erano alte e maestose come se l’era immaginate, erano di legno e tutto intorno vi era un muro di pietra a difesa del villaggio.
«Muoviti!», esclamò Iemon che si trovò a varcare la soglia mettendo per prima piede a Skaam. Kéndall annuì e la seguì.
Una volta entrati, il giovane capì che non si trattava di una città come pensava, ma di un paese, piuttosto piccolo, persino più piccolo di Logh.
Le case erano state costruite con fango, paglia e pietra e le entrate delle abitazioni erano prive di porte, a loro posto c’erano delle tende e la stessa cosa valeva per le finestre. Molte delle vie che la percorrevano erano piene di buche, altre invece le stavano aggiustando. Kéndall non nascose la delusione.
«Non capisco, ma che posto è questo? Lo avevo immaginato del tutto differente!».
«Skaam – spiegò Iemon – è il paese più povero della Terra del Centro.
Circa due anni fa, venne attaccato dai Cacciatori, lo rasero completamente al suolo. Qualsiasi cosa cercassero, non la trovarono. Le persone, qui, furono abbandonate e si aspettano che i Cacciatori tornino per terminare quello che avevano iniziato. Vero o non vero, fatto sta che i paesani si rimboccarono le mani e fecero il possibile per dare un aspetto migliore a questo luogo».
«Capisco! Mi dispiace per loro, ora però ho un problema maggiore, non ho idea di dove cercare Nesca, Naira e il Cavaliere Immacolato della Terra. Questo è un punto che Ecra non ha chiarito molto a fondo».
«Li troveremo senza problema, questo posto non è molto grande. Andiamo!».
I ragazzi si rimisero a camminare. La maggior parte della gente lì era magra e con il viso segnato dalla sofferenza. Le piccole case erano una attaccata all’altra, poche erano le botteghe e Kéndall notò solo una locanda, chiaro segno che Skaam non era un luogo per avventurieri di passaggio.
La bellezza del paese erano gli spazi verdi curati alla perfezione, con coltivazioni arboree, erbacee e fiori di ogni tipo che rilasciavano un piacevole aroma.
La guerra era stata fonte di troppa distruzione ed eccessivo dolore.
«Che ti dicevo? Guarda un po’ lì», disse Iemon indicando alla sua destra.
«Kéndall vide Naira. Intorno a lei c’erano tre uomini giovani che la riempivano di domande che ignorava, continuava semplicemente a camminare portando con sé un cesto di frutta.
«La bellezza elfica… muoviamoci!», la seguirono a distanza fino a che non la videro entrare in una casa: era leggermente più grande delle altre, ma comunque ridotta allo stesso modo. I ragazzi intorno a Naira si dileguarono continuando a sorridere e a commentare tra di loro.
Kéndall e Iemon varcarono la soglia della casa, trovandosi direttamente in una cucina piccola e poco illuminata.
«Giuro che non li sopporto più! – stava commentando Naira posando il cesto di frutta su un tavolo che si trovava al centro della stanza – Hanno un modo strano di approcciarsi questi uomini della Terra del Centro. Mi stai ascoltando Nesca? Dove sei?».
«In camera, ti raggiungo in un attimo», la voce della sorella arrivò repentina.
Kéndall e Iemon stavano assistendo alla scena in perfetto silenzio.
L’elfa non si era accorta di loro e continuava a sistemare la frutta spostandola dal cesto ad un contenitore di vetro.
«Naira!», disse poi Kéndall richiamando l’attenzione della giovane che si voltò colta di sorpresa. Appena il suo sguardo incrociò quello dell’amico, un enorme sorriso le illuminò il volto.
«Sei arrivato!», disse andandogli incontro per abbracciarlo. Successivamente salutò anche Iemon.
«Vi conoscete?», chiese il Cavaliere Immacolato.
«Mi sono dimenticata di dirti che quando mia sorella venne a farmi visita, vi erano anche Nesca e Naira», rispose sorridendo.
«Nesca, vieni presto!»¸ urlò Naira.
«Va bene, eccomi! Si può sapere che…. Kéndall!», anche la sorella maggiore abbracciò l’amico, salutando, successivamente, con una stretta di mano Iemon.
I ragazzi si sedettero attorno al tavolo per parlare.
«Dov’è l’Immacolato della Terra?», chiese Kéndall.
«E’ uscito. Probabilmente tornerà da un momento all’altro. E’ un tipo gentile e premuroso», commentò Naira.
«E perché Ecra non è rimasta con voi?».
Le elfe guardarono prima Iemon e poi Kéndall.
«Non lo sappiamo. I Cacciatori ci catturarono e lei ci salvò mettendo a conoscenza me e mia sorella del fatto che fosse un Cavaliere Immacolato; lì per lì ci ho messo un po’ di tempo per realizzare il tutto e per capire chi fosse, mi ha rassicurato dicendomi che conosceva te, Elam e tuo zio Sujum. Alla fine ci ha condotto prima dalla sorella, passammo una notte lì e poi, qui a Skaam, dopodiché, senza spiegarci il motivo, è ripartita chissà per dove e chissà perché!».
I quattro per un po’ restarono silenziosi.
«Inizio a preparare il pranzo mentre attendiamo il ritorno del Cavaliere della Terra», disse Nesca.
«Ti aiuto!», esclamò Iemon che aveva già, in precedenza, dato abilità della sua peculiarità in cucina.
«Come sta Elam?», chiese poi Naira.
Kéndall alzò lo sguardo verso l’elfa e poi lo spostò su Iemon, come se in qualche modo, le chiedesse di venirgli in soccorso.
«Ecco io… l’ho persa di vista, diciamo!».
«Che significa l’hai persa di vista?», domandò Nesca che si era interessata all’argomento.
«Sono stati attaccati dai Cacciatori, Kéndall ha riportato una brutta ferita al braccio sinistro. E’ rimasto senza sensi per molti giorni, è stato un miracolo che l’abbia trovato vivo!», l’aiuto di Iemon era giunto opportuno.
Kéndall poi raccontò dell’avvenimento, dell’imboscata da parte dei Cacciatori, del loro salto nel fiume, della perdita di conoscenza e del suo risveglio a casa di Iemon.
Il giovane sentiva, in fondo, che Elam era ancora viva, ma non averne la certezza lo lasciava con un profondo senso di colpa. Agli altri non aveva detto di Erised, aveva raccontato il tutto come se ad intraprendere il viaggio fossero stati solo Elam e lui, giusto Iemon sapeva dell’altra ragazza ed era stata attenta a tenere per sé la cosa visto che Kéndall non ne aveva fatto cenno.
Anche Nesca e Naira erano sicure che Elam stesse bene, la conoscevano abbastanza da aver capito quanto fosse combattiva e troppo legata alla viva per lasciarsi andare in balia di un fiume.
«Silenzio di tomba! Cosa succede?», a richiamare l’attenzione di tutti fu la voce di qualcuno giunto all’improvviso.
Era un giovane, non più grande di Kéndall, alto e magro con dei lucenti occhi azzurri e corti capelli castano chiaro. La pelle chiara e liscia, come quella di un bambino. Indossava una maglietta rossa a maniche corte e dei vecchi pantaloni stracciati di color marrone.
Ai piedi portava dei sandali, si notava subito che erano stati assemblati da mani poco esperte.
«Ci scusiamo per l’intrusione. Mi chiamo Kéndall, sono delle Terre Selvagge. Presumo tu sia il Cavaliere Immacolato della Terra».
«Presumi bene. Io presumo che non ti ricordi di me…».
«Dovrei?», chiese il Kéndall.
«Certo che dovresti, sono Atemot il figlio di Amerot. Certo che non sei cambiato di una virgola, mh?!».
«Sei proprio tu?!», i due si abbracciarono.
Le ragazze guardarono i due in modo confuso, in cerca di una spiegazione.
«Ora vi spiego! Kéndall ed io ci incontrammo per la prima volta, quanto? Cinque o sei anni fa? Comunque frequentammo l’Accademia nella città di Logh, eravamo compagni di stanza, io poi partì insieme a mio padre e ci perdemmo di vista!».
«Così tu sei il Cavaliere Immacolato della Terra e chi l’avrebbe mai detto?!».
«E’ pronto in tavola!», Iemon interruppe l’entusiasmo dei ragazzi e li invitò a sedersi.
Mangiarono e bevvero raccontandosi le avventure affrontate dopo la loro separazione. Kéndall lo mise a conoscenza della morte dei suoi genitori dopo l’attacco da parte dei Cacciatori, di come era venuto a conoscenza del suo destino e della sua permanenza a Mukrum. Gli chiese anche se, per caso, lui sapesse il motivo per cui Ecra non fosse rimasta lì ed avesse ripreso a viaggiare, ma la risposta di Atemot fu deludente; anche lui ne ignorava il motivo. Parlarono della loro prossima tappa, accordandosi di ripartire almeno entro un paio di giorni: Kéndall doveva ancora riprendersi del tutto dall’ultimo attacco da parte dei Cacciatori. Tutti furono completamente d’accordo.
«Mi dispiace Kéndall, ma in tre qui dentro siamo già molto stretti, non ho altri due letti per voi!», disse poi Atemot passando lo sguardo dall’amico a Iemon.
«Non ti preoccupare, andremo a passare la notte in una locanda, ho già adocchiato l’unica che avete. Anzi è meglio che ci muoviamo, sono stanco. Ci vediamo questa sera!».
I due si alzarono dalla tavola e si allontanarono seguiti dallo sguardo degli altri presenti.
Il paese era completamente deserto.
Iemon seguiva silenziosamente l’amico che sapeva perfettamente dove andare. Giunsero ad una struttura che aveva un tocco più lussuoso rispetto alle altre abitazioni presenti, era difficile non notarla! Appena varcarono la soglia della porta, un forte odore di rose li investì appieno.
Il materiale utilizzato all’interno era il legno, ben lavorato e tenuto lucido.
Si trovarono in una sala dove vi erano solamente un bancone e delle sedie sul fondo, poggiate contro il muro. Dietro al bancone, un uomo intento a leggere un libro.
Una volta accortosi della presenza dei nuovi ospiti, alzò lo sguardo dal volume e li scrutò prima di proferire parola.
«Forestieri! Posso fare qualcosa per voi?».
«Vorremmo prendere due camere per un paio di giorni!», disse Kéndall.
«Due eh?! Avete i soldi?».
Il Cavaliere Immacolato spostò lo sguardo su Iemon che contraccambiò e poi annuì.
«Perfetto! Sono cinque monete a notte, ciascuno. Salite le scale e svoltate a destra, la terza e la quarta porta sono le vostre stanze. Avete intenzione di cenare qui? Se così, avvertitemi entro un paio d’ore che devo avvisare il cuoco, altrimenti vi auguro buon proseguimento!
Per qualunque cosa non esitate a chiamarmi», detto questo lasciò le chiavi sul bancone e tornò alla sua lettura.
Salirono le scale e seguirono le indicazioni del locandiere, svoltando a destra e trovandosi su un lungo corridoio che aveva una serie di porte uno a fianco all’altra sulla sinistra. Kéndall arrivò a contarne una decina, aveva visto locande molto più spaziose, ma pensò che sin troppo erano stati bravi a costruire una struttura di quella portata solo con le loro uniche forze e con poco denaro; non voleva immaginare i danni che avevano potuto procurare i Cacciatori con la loro invasione.
Kéndall lasciò a Iemon la scelta della chiave: lei optò per la stanza numero tre.
«Ci vediamo!», disse la giovane prima di sparire oltre la porta.
Il Cavaliere Immacolato imitò l’amica ed entrò nell’abitazione che l’avrebbe accolto nei giorni seguenti. Non era molto grande, alla sua destra trovò un tavolino di legno, sul quale vi era riposto un cesto di frutta. In fondo, sotto alla finestra, un letto da una piazza, affiancato da un comodino. Ai piedi del letto, un tappetino rosso porpora di poco valore. Le pareti bianche erano tenute in modo perfetto, nemmeno una macchia o una ragnatela agli angoli. A sinistra una porticina dava ad un piccolo bagno contenente una vasca, un lavandino ed una tazza.
Non era molto invitante, ma a Kéndall non dispiacque immergersi nell’acqua calda per togliersi lo sporco e la stanchezza accumulata in tutti quei giorni.
Ora che ci pensava era l’unica struttura nel paese di Skaam a possedere delle vere porte di legno, probabilmente i paesani avevano preferito investire tutto lì dentro, magari il passaggio di forestieri e avventurieri avrebbe potuto risollevare, anche se di poco, la loro situazione economica.
Il pensiero di Kéndall, poi volò, verso Ecra. Lui non aveva ancora capito come, attraverso la magia, ci si potesse mettere in contatto con qualcun altro, non era ancora arrivato a quei livelli, altrimenti avrebbe potuto, di persona, chiedere alla ragazza il motivo che l’aveva spinta ad allontanarsi dal paese. Abbassò gli occhi sul braccio fasciato e srotolò le bende scoprendo la ferita. Sospirò e si concentrò, oramai aveva abbastanza energie da riuscire ad alleviare quel fastidioso formicolio che continuava a tormentarlo. Doveva essere pronto prima della partenza ed un braccio fasciato, specialmente se poi si trattava del sinistro, gli impediva di muoversi come più desiderava.
Al solito, socchiuse gli occhi e posò il palmo della mano destra sulla ferita, iniziò a concentrarsi e a sussurrare le parole esatte. Lo aveva fatto talmente tante volte che gli sembrava un gioco da ragazzi. Certo non sarebbe guarito del tutto, ma avrebbe dato una buona mano al tempo.
Fatto ciò uscì dalla vasca, l’acqua oramai stava diventando fredda e lui iniziava ad avere la pelle d’oca. Si asciugò in fretta e dallo zaino tirò fuori i vestiti puliti che Iemon si era curata di piegare e ordinare. Alla fine si lasciò cadere sul letto e si abbandonò ad un sonno profondo.
Quando riaprì gli occhi era già calata la notte. Kéndall, stiracchiandosi, si alzò dal letto e voltò lo sguardo verso la finestra. La luna era piena e a farle compagnia vi erano molte stelle, più brillanti che mai. Una meravigliosa notte.
Si infilò gli stivali, prese con sé la spada ed uscì dalla stanza. Ormai era tardi per avvertire il locandiere per la cena, probabilmente Iemon non se ne era occupata, per cui optò di fare una capatina da Atemot.
Avrebbero cenato tutti assieme. Si diresse verso la stanza accanto, bussò alla porta e, dopo qualche secondo, la ragazza aprì. Immediatamente si accorse del viso preoccupato dell’amica. Si era lavata e cambiata d’abito, avevano avuto entrambi la stessa idea. La vita d’avventurieri a volte privava di determinati lussi.
«Qualcosa non va?», chiese, abbozzando un sorriso.
«Si tratta di mia sorella! – rispose Iemon sedendosi sul bordo del letto –
Ultimamente si comporta in modo strano, non è da lei. E’ sempre così sfuggevole e pensierosa, non so che cosa le passi per la testa, non me ne parla. Vorrei aiutarla, ma non ho idea di come fare!».
Kéndall comprendeva benissimo le preoccupazioni di Iemon. Persino lui, che non era legato in alcun modo al Cavaliere Immacolato dell’Acqua era in pensiero. Alla fine posò la mano sulla spalla della giovane.
«Io non conosco molto bene Ecra, ma so per certo che è una persona determinata e consapevole delle sue azioni! Mio zio si fida ciecamente di lei e noi dovremmo fare lo stesso, tu come sorella ed io come Cavaliere Immacolato». Iemon si trovò ad annuire.
«Immagino che a quest’ora non possiamo più cenare nella locanda, andiamo dagli altri?», riprese Kéndall.
Una volta che anche la ragazza sistemò la spada intorno alla vita, uscirono e si diressero verso la casa di Atemot.
Nonostante la meravigliosa notte, incontrarono pochissime persone lungo il cammino: quasi nessuno era fuori a godersi la fresca brezza che annunciava l’arrivo dell’estate. Il paese, con quella luna e con quelle stelle, appariva più affascinante. Il vento portava con sé il profumo dei fiori che sul volto dei due ragazzi arrivava come una carezza soave. Una volta raggiunta la loro destinazione, bussarono sullo stipite della casa per annunciarsi. Atemot, Nesca e Naira erano già intorno al tavolo, pronti a consumare il loro pasto.
«Unitevi a noi!», disse Nesca aggiungendo due piatti puliti e riempiendoli di stufato di patate. I due non se lo fecero ripetere due volte e in allegra compagnia consumarono la cena. Parlarono e si raccontarono le loro vicende, questa volta però, solo ricordi positivi. Atemot e Kéndall, più che altro, misero al corrente le tre ragazze, delle loro marachelle durante il periodo in Accademia. Solo grazie all’amico ritrovato, Kéndall era riuscito a trascorrere giorni allegri lì dentro. Dopo la sua partenza però, aveva iniziato ad odiare tutte le lezioni e, i momenti di pausa, erano iniziati a divenire terribilmente noiosi.


Ad un tratto, un suono di corno riecheggiò nel paese. I quattro ospiti guardarono Atemot in modo confuso: cosa voleva dire?
«Alle armi – urlò qualcuno – i Cacciatori sono alle porte!».
Era come vivere un dejavù per Kéndall. Stava avvenendo come a Logh, svegliato da un urlo improvviso, ma questa volta non sarebbe rimasto con le mani in mano, no, questa volta avrebbe combattuto, si sarebbe ribellato, avrebbe difeso quello che stava imparando ad amare!
Tutti si alzarono di scatto.
«Voi precedeteci! Vi raggiungiamo a breve…», urlò Atemot.
Kéndall e Iemon annuirono ed immediatamente scattarono fuori lungo le strade del paese.
Di nuovo il suono del corno.
«Andiamo verso le porte della città!», ordinò il Cavaliere Immacolato.
Molti erano già coloro che si stavano armando, pronti a difendere un paese ricostruito ma, notorono subito, che non avevano delle vere e proprie armi, più che altro si difendevano con forconi e coltelli, erano in pochi ad avere un equipaggiamento adatto all’occasione.
Un altro segno della povertà che regnava in quel luogo.
Non ci misero molto a raggiungere le porte che già venivano scosse dai colpi dei Cacciatori; non ci avrebbero impiegato un granché a buttarle giù.
«Questa volta non ci coglieranno di sorpresa!», urlò qualcuno.
«Facciamo un patto! – disse ad un tratto Kéndall verso Iemon che lo affiancava – Se ucciderò più Cacciatori di te, allora mi dirai il vero motivo per cui hai lasciato il tuo posto di Cavaliere nel Regno del Sud. Ci stai?».
«Come ti viene in mente di fare patti in un momento simile? Che cosa succede se vinco io?».
Kéndall stava per proferire parola, quando le porte cedettero e la battaglia ebbe inizio. I due sfoderarono la spada e si lanciarono all’attacco.
I Cacciatori erano numerosi, ma gli abitanti del paese non erano da meno. Soprattutto, non si lasciarono andare alla paura. Tutti stavano combattendo oltre le loro forze.
Kéndall aveva deciso di utilizzare il braccio destro per il momento, non voleva sforzare il sinistro anche se lo usava meglio. Il formicolio della ferita era del tutto sparito; sapeva perfettamente che se avesse tenuto l’arto superiore sotto uno sforzo troppo eccessivo avrebbe potuto peggiorare di molto la situazione. Il ragazzo vibrò il primo colpo verso il nemico, ma quest’ultimo lo parò senza difficoltà. I Cacciatori avevano delle spade affilate, la cui punta terminava con una piccola verso l’interno, avevano le mani foderate da guanti di pelle e il lungo mantello nero non permetteva di vedere il loro volto.
Kéndall era sempre stato curioso di capire che tipo di essere si nascondesse sotto quegli abiti, non ci aveva fatto caso nemmeno durante l’attacco a Logh: era stato talmente preso dal pensiero dei suoi genitori, allora, che tutto il resto era irrilevante.
Non si era fermato su nessun dettaglio. Ricordava di aver visto diverse sagome di Cacciatori a terra, ma non aveva fatto caso ai particolari.
Continuava a lanciar colpi da tutte le parti, ma il nemico era impenetrabile.
«Ora è il mio turno!», la voce era fredda, diversa da quella dei Cacciatori che aveva udito sul ponte. Questa sembrava priva di ogni tipo di emozione. Kéndall si ritrovò a pensare che, probabilmente, ci fosse una specie di gerarchia anche tra i Cacciatori. Alcuni erano prescelti per attaccare le città, altri per cercare e catturare, altri per torturare, altri per fare chissà che cosa!
Il Cacciatore attaccò l’avversario che si spostò di lato, schivando di poco il colpo del nemico. Cogliendolo di sorpresa, Kéndall allungò il braccio infilzando il Cacciatore al ventre. Quest’ultimo si afflosciò a terra. Estraendo la spada sentì una forza percorrergli l’intero arto, guardò la lama, sotto i raggi della luna, il sangue del nemico appariva brillante. Un ghigno prese forma sul volto del Cavaliere Immacolato, era come se il suo corpo chiedesse un nuovo corpo da uccidere, come se si fosse invigorito tutto d’un tratto. La spada doveva assaggiare altro sangue nemico.
Il ragazzo si guardò attorno, aveva perso di vista Iemon, ma non si curò di cercarla perché vide arrivare un altro Cacciatore. Lo abbatté più velocemente del primo, ora aveva iniziato ad essere consapevole del terreno su cui si stava muovendo, della forza del braccio, entrava in confidenza anche con la spada che era appartenuta a suo padre. In parte lo stava facendo anche per i suoi genitori: doveva vendicare la loro morte.
Volse lo sguardo verso le porte del paese atterrate dai colpi dei Cacciatori.
Non vi erano rimasti molti nemici in quell’angolo, molti si erano spostati più verso il cuore di Skaam. L’aria era piena di urla di donne, di pianti di bambini e di odore di bruciato. In parte stava vivendo l’esperienza di Logh, con l’unica eccezione che ora anche lui si trovava in prima linea. Atterrò altri tre Cacciatori, l’ultimo gli aveva creato maggiori problemi, iniziava ad essere stanco, il braccio destro non era abituato a sottostare ad un simile sforzo. Doveva concentrarsi e resistere il più possibile.
Altri due nemici si avvicinarono verso Kéndall. Si guardò attorno, fuggire era impossibile e poi non voleva essere un codardo, non questa volta: doveva farlo per Karm ed Asha!
«Uccidiamolo!», disse uno dei Cacciatori.
«Voglio divertirmi, facciamolo a pezzi un po’ alla volta!», rispose l’altro.
«Non mi sottovalutate!», intervenne Kéndall. Era pronto a far vedere il suo valore, pronto a combattere come un Cavaliere Immacolato.
I due emisero una risata, era vuota, senza gusto, senza emozione.
Kéndall scattò in avanti pensando, così, di cogliere di sorpresa i Cacciatori che però schivarono entrambi.
La luna e le stelle assistevano impassibili, il cielo riecheggiava del suono delle spade che si scontravano.
«E’ tutto quello che sai fare?».
«Dove hai lasciato la tua mammina?».
«E’ stata uccisa da un bastardo come te!», vibrò un altro colpo che questa volta andò a segno, incontrandosi con la pelle del Cacciatore.
Squarciò il mantello che lo ricopriva, lasciando intravedere il colore della pelle al di sotto; non era rosea, ma talmente bianca che poteva somigliare a quella di un morto o addirittura di uno spettro.
«Lo abbiamo fatto arrabbiare! E’ meglio che anche noi ora facciamo sul serio».
«Vi sto aspettando, questa battaglia sta durando troppo!», Kéndall spostò la spada dalla mano destra a quella sinistra. Era pronto.
I nemici di nuovo risero, sicuri di loro! Ora arrivava il loro turno; toccava a loro attaccare.

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