Racconti, Racconti a capitoli

5) La stirpe del drago

Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005

V Capitolo
L’inizio della storia

Oramai le ore trascorrevano lentamente e Kéndall si domandava se Ecra fosse riuscita nel suo intento. Non si era più messa in contatto con lui attraverso la magia e mancava solo un giorno alla partenza. Si chiedeva quali fossero le condizioni di Nesca e Naira, quelle della sacerdotessa e si chiedeva quali sarebbero state le sue di condizioni nell’affrontare il viaggio imminente. Aveva avuto molte difficoltà nell’affrontare il cammino da Logh a Mukrum, aveva sofferto il freddo, la solitudine e la paura era stata una valida nemica durante le notti.
Con l’arrivo nelle Terre della Sabbia Rossa la sua vita era completamente cambiata, aveva incontrato suo zio, era venuto a conoscenza del suo destino, aveva fatto amicizie e si era creato dei nuovi nemici.
Era chiuso in casa ad esercitarsi con le magie, ad imparare nuove formule e a contare i secondi che trascorrevano. Elam ancora non si era fatta vedere e Sujum non aveva scoperto nulla sugli antenati di Karm e per cui non poteva dare risposta alla domanda perché Kéndall era in grado di leggere l’antica lingua dei druidi.
D’un tratto bussarono alla porta. Kéndall e Sujum si guardarono, poi il primo andò ad aprire. Si trattava di Sabbù. Aveva il fiatone e si guardava attorno come per accertarsi se qualcuno l’avesse seguito sino a lì.
«Sei tu Kéndall?», domandò l’uomo con voce sofferente.
«Tu cosa fai qui?! Come fai a conoscere… Cosa vuoi?», la perplessità e lo stupore del giovane erano palesi.
«La gente di qui mi considera un pazzo e forse lo sono, ma sono sicuro di quello che voglio dirti e sono sicuro quale sarà la meta del tuo viaggio!».
«Vieni dentro!», urlò Sujum dalla sala. Non tollerava che la sua casa fosse una via vai di gente, soprattutto non tollerava che sapessero di Kèndall.
Il ragazzo si fece da parte e lasciò che Sabbù entrasse, poi chiuse la porta e tutti e tre si riunirono intorno al tavolo.
«Vorrei da bere!», disse l’uomo. Immediatamente Kéndall si spostò in cucina, tornando con una bottiglia di vino e un bicchiere pulito.
«Ora racconta, perché sei venuto qui?», domandò secco Sujum.
«Come stavo dicendo, io conosco la destinazione del tuo viaggio.
Devi raggiungere il signore Oscuro, il tempo corre e tu non dovresti trovarti ancora a Mukrum. Non mi guardare in quel modo, sei più famoso di quanto credi! Tutti i servitori del male ti conoscono, il signore Oscuro teme i Cavalieri Immacolati, ma uno in particolare, te!».
«Cosa? E perché mai?», chiese Kéndall.
Sabbù versò il vino nel bicchiere, lo afferrò con avidità e lo mandò giù in un istante. Poi tornò a guardare i presenti. Tremava visibilmente e la voce lasciava trasparire stanchezza e sofferenza.
«Sei libero di credermi o meno Kéndall, ma sappi che tutto quello che racconterò ora è la pura verità. Non rammentavo da quanto tempo fossi nelle segrete del castello nero; una settimana? Un mese? Un anno?
Per quanto mi riguardava poteva essere un giorno, come un’eternità. Io, come molti altri, ero un prigioniero catturato durante la Guerra Murale.
Molti di noi si ribellarono alla tirannia del signore Oscuro e assaltammo le mura del castello nero, ma i Cacciatori erano lì pronti ad accoglierci, pronti a mostrarci la loro supremazia. Non ricordo quando avvenne, forse tre o quattro anni fa! Comunque, venivo torturato giorno e notte, volevano da me informazioni che non conoscevo, io ero solo uno dei tanti, uno di quelli che avevano detto basta alla guerra. Non so che mezzi utilizzassero, forse fuoco, forse coltelli, forse fruste, so solo che il mio corpo ne riporta ancora le cicatrici. Ciò che mi sorprese maggiormente non fu la loro brutalità, ma il fatto che al servizio del signore Oscuro ci fossero degli esseri umani, persone come me e come voi. Quel giorno mi sono domandato contro chi stavamo veramente lottando. Potevo benissimo udire le urla degli altri prigionieri e, probabilmente, loro udivano le mie. Passivamente subivo le loro torture, mi sentivo oramai morto come uomo, il mio orgoglio era stato piegato in due come un fuscello, ma più di tutto desideravo morire fisicamente. Quando smettevano di divertirsi con me, mi lasciavano solo con l’oscurità, per molto tempo divenne lei la mia compagna, fino a quando non capitò qualcosa. Eravamo sorvegliati da guardie, non era possibile parlare tra di noi, ve n’era una ogni due celle, almeno così mi era parso di capire. Comunque un giorno ascoltai la loro conversazione. Parlarono del signore Oscuro, del fatto che era irrequieto, parlavano di te, della Stirpe del Drago, ma avevo la febbre talmente alta che non rammento il loro intero discorso».
Sabbù terminò il racconto e si riempì di nuovo il bicchiere, mandò giù tutto in un sorso.
Il solo ricordo di quell’avvenimento lo faceva sudar freddo. Gli occhi ora erano fissi nel vuoto, rivivevano ogni istante di quel tragico periodo. Kéndall non si stupiva che avesse iniziato a bere, se tutta la vicenda fosse veramente accaduta, allora era un miracolo che fosse ancora vivo.
Sujum sembrava preoccupato: come poteva il signore Oscuro sapere delle origini di Kéndall? E perché bramare la sua morte più di quella degli altri cavalieri?
«Come sei riuscito a fuggire dalle segrete del castello nero?», chiese il giovane.
«Non è importante! Quello che conta è che il destino ha voluto farci incontrare e che ho potuto renderti partecipe di tutta la faccenda. Ora devo proprio andare, mi sono trattenuto sin troppo. Addio e buona fortuna, sei la nostra speranza».
Sabbù si alzò e uscì di casa, lasciando la porta spalancata, Kéndall lo vide scrutare il cielo di tanto in tanto, ma non vide nulla che potesse richiamare la sua attenzione.
«Devo essere sincero Kéndall, sono molto preoccupato! Tutta questa faccenda del signore Oscuro che ti vuole morto a tutti i costi non semplificherà la tua missione. Se entro domani Ecra non sarà di ritorno, allora dovrai metterti in viaggio e non mi sento molto sicuro a saperti lì fuori…».
«Non dire sciocchezze! –immediatamente il ragazzo lo interruppe –
Se gli uomini perdono la fede è la fine per il mondo di Ianor, se mio zio perde la fiducia è la fine per me! Sono stato il primo a mettere in dubbio tutta questa storia, il primo a non desiderare questa vicenda, ma ora, dopo aver conosciuto persone che a causa di questa guerra hanno perso tutto, sono convinto di quello che sto facendo, credo in me stesso, in quello che sono e in quello che farò, ma soprattutto credo in quelle persone che mi saranno a fianco durante questa battaglia! Porterò a termine questo compito, ma ho bisogno che tu non metta mai in dubbio la tua fiducia nei miei confronti, d’accordo?».
«Hai ragione, perdonami!», mormorò Sujum.
Neanche quel giorno Elam si presentò a casa. Kéndall iniziava a preoccuparsi, forse la ragazza ci aveva ripensato, magari aveva fatto quattro conti arrivando alla conclusione che sarebbe stato meglio rimanere a Mukrum piuttosto che rischiare la vita in una missione folle che, forse, non l’avrebbe mai coinvolta direttamente. Il giovane continuava a leggere il libro di magia, cercava di memorizzare nuove formule, nuovi ingredienti, ma il racconto di Sabbù era ancora lì che si faceva spazio nella sua mente, che non gli permetteva di concentrarsi. Tra una riga e l’altra gli sembrava di vedere il volto dell’uomo che urlava a causa delle torture.
Rifletteva sulle sue parole: contro chi si trovavano a lottare? Doveva veramente temere così tanto il prossimo? Poteva l’uomo abbassarsi così tanto da obbedire a qualcuno che conosceva solo malvagità nella sua vita?
La stanchezza prese il sopravvento e quando riaprì gli occhi si accorse di aver dormito sino a tardi. Scese le scale, aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, tutti queglii avvenimenti lo avevano sfiancato non tanto fisicamente, quanto mentalmente.
Mukrum aveva cambiato letteralmente la sua vita.
In cucina trovò Elam intenta a sbrigare pulizie mattutine. Il ragazzo non poteva nascondere il sorriso che gli aveva procurato vederla.
«Buongiorno Kéndall, allora ti sono mancata? Se entro questa sera Ecra non fa ritorno, saremo costretti a partire, non te ne sei dimenticato, vero?».
«Verrai con me?! Non sai quanto mi possa far piacere la cosa, pensavo che ci avessi ripensato… Come l’ha presa tuo padre?».
La giovane scrollò le spalle accennando un lieve sorriso insoddisfatto.
«Non molto bene! Quando sono tornata a casa non parlai molto con la mia famiglia, qualche piccolo accenno, ma niente di più, stavo pensando a come poter dire loro della mia decisione. Facendo così però attirai la loro attenzione, mi misero a tavolino e mi fecero un interrogatorio. Credevano che mi fossi cacciata in qualche guaio, ma quando dissi loro la verità… è stato come pugnalarli alle spalle! Mia madre era in lacrime, mio padre era furioso e concluse tutta la discussione con un: se vuoi partire fai pure, ma sappi che se esci da questa casa non ci metterai più piede. Ho preso tutto ciò di cui avevo bisogno per affrontare un viaggio e, alla fine, eccomi qui! Ho spiegato tutta la faccenda a Sujum che mi ha offerto ospitalità».
«Mi dispiace Elam!».
«Non è colpa tua, sapevo a cosa andavo incontro! Mi avevate chiesto di rifletterci e l’ho fatto»; detto questo si allontanò dalla cucina lasciando Kèndall a consumare il proprio pasto da solo poi, si allontanò da casa e si diresse verso la locanda del giorno prima: voleva fare delle domande a Sabbù che aveva attirato la sua infinita curiosità. Non gli sarebbe dispiaciuto conoscere qualcosa in più sulitorio nemico, giusto il necessario per non trovarsi del tutto impreparato.
Quando enrò, trovò solo Erised e Bregael.
«Buongiorno!», disse muovendosi verso il bancone. Cercava una minima traccia del passaggio di Sabbù, la locandiera aveva detto che passava tutti i giorni lì dentro, ed oggi?
«Oh Kéndall, sei venuto a portare un po’ di brezza soave qui dentro!», commentò la donna con una smorfia.
«Non capisco cosa vuoi dire?!».
«Si tratta di Sabbù, povero disgraziato! Qualcuno gli… oggi l’ho trovato qui davanti ed era… morto!».
La notizia arrivò come un fulmine al ciel sereno. Kéndall assottigliò gli occhi incredulo alle parole di Erised.
«Non è possibile! Fino a ieri sera era a parlare con me, stava benissimo… io non capisco, perché ucciderlo?».
«Cosa vuol dire che stava parlando con te?», la voce di Bregael attirò la sua attenzione.
Era un tono di voce profondo che non lasciava trasparire emozione, gli occhi verdi dell’uomo fissavano quelli di Kéndall che sentì un brivido di freddo percorrergli la schiena. Non poteva negare di provare una profonda paura verso di lui, ma al contempo lo incuriosiva, era avvolto da un alone di mistero, tutto di Bregael metteva soggezione e curiosità.
«Lascia perdere!», disse infine scuotendo la testa e uscendo dal locale.
«Chissà cosa gli è preso! Chi lo capisce è bravo, comunque non possiamo restare per sempre con il muso! Muore tanta gente… allora Kéndall cosa ti porta da queste parti?».
«Sono venuto a dirti addio! – di nuovo si trovò a mentirle- Domani mattina lascerò Mukrum, dovrò muovermi verso la Terra del Centro, vado a trovare un amico».
«Ma che coincidenza, ci devo andare anche io! Sai devo far rifornimento di viveri che trovo solo da quelle parti, possiamo andare insieme? Che ne dici?».
«Non so – non era prudente, lo sapeva benissimo, non poteva coinvolgere un’altra persona conoscendo il rischio che correva, ma sapeva anche che lasciare Erised sola ad affrontare un viaggio pieno di pericoli a causa della guerra non era un comportamento degno di un Cavaliere Immacolato – Va bene ad una condizione però, non devi rallentare il mio passo!».
«Non lo farò di certo!», rispose la locandiera.
Offrì una birra a Kéndall che quel giorno si mostrò più eloquente, parlarono del più e del meno. Erised gli raccontò di essere abbastanza esperta delle strade che dovevano percorrere, di quanto avesse temuto con il passare degli anni un attacco improvviso da parte dei Cacciatori.
In fondo lei era sola ed indifesa, non era mai stata una brava combattente, suo padre aveva provato ad insegnarle, ma non era proprio portata e sicuramente la sua mole non l’aiutava. Era un fiume in piena, ma a Kéndall poteva solo che far piacere il fatto che parlasse così tanto, almeno non era lui a dover raccontare la propria storia.
Infine, si allontanò dalla locanda, procedeva a passi lenti tra i vicoli della città e fu proprio in uno di questi che si scontrò con la figura di Bregael. Voleva fuggire, ma l’orgoglio maschile lo tenne fermo sul proprio posto, la mano sfiorò l’elsa della spada che portava sempre con sé.
«Non sono qui per provocarti Kéndall! Non hai bisogno di difenderti, non sei ancora alla mia altezza. Voglio solo sapere cosa ti ha detto Sabbù!».
«Non credo siano affari che ti riguardino!», l’ostilità del giovane Cavaliere era ben evidente.
«Seguimi!», disse Bregael dando le spalle a Kéndall, mostrandogli effettivamente che non solo lo sconosciuto si riteneva più forte del prescelto, ma che non aveva certo cattive intenzioni verso di lui. Kéndall rimaneva a distanza di sicurezza da Bregael che si guardava intorno furtivo, si muoveva proprio come un ladro, quegli occhi non facevano trasparire nessun pensiero.
Raggiunsero una struttura accatastata alla bene e meglio, all’interno vi erano delle pellicce , un paio di ciotole messe all’angolo e dei viveri sparsi qua e là.
«Non devi temermi, nella mia vita ho commesso molti crimini, è vero, ma posso affermare a distanza di tempo di essermene pentito amaramente.
Sabbù dormiva lì, accanto a dove sono i tuoi piedi ora. Il mio compito era quello di assicurarmi che portasse a termine il suo lavoro, ma forse è meglio che ti racconti dal principio.
Circa un paio di anni fa, quando uomini ed altre creature si unirono nella Terra del Nord, ci fu una grande battaglia a cui venne dato il nome Guerra del Murale. Immagino tu ne abbia sentito parlare. Detta così poiché coloro che si ribellarono alla tirannia del signore Oscuro arrivarono a malapena a toccare le mura del castello nero. Lo spargimento di sangue fu veramente tanto, si dice che passando di lì puoi ancora udire le urla di chi perse la vita e il grido di vittoria dei Cacciatori. Molte furono le vittime, ma altrettanti furono i prigionieri. Il signore Oscuro permise la loro cattura affinché i suoi scagnozzi si divertissero a torturare e passassero il loro tempo in una qualche maniera. Tra di loro vi era anche Sabbù.
Un giorno accadde che udii una conversazione tra due guardie, da una parte fu un bene, dall’altra una maledizione. Non c’è bisogno che ti racconti che fine hanno fatto quei due Cacciatori che si sono fatti scappare qualche parola in più. Torniamo a Sabbù, comunque, il signore Oscuro trasse la faccenda a suo favore, quel povero uomo aveva la febbre alta, parlava nel sonno, non ci misero molto a scoprirlo! Non è mai stato un uomo molto furbo… Comunque l’incarnazione del male voleva dimostrare che in fondo sapeva essere clemente anche lui, per cui lasciò andare Sabbù, a condizione però che si mettesse sulle tue tracce ed io, che avevo già tradito la fiducia del signore Oscuro, dovevo fare da supervisore. Non chiedermi il motivo per cui egli ti cerca, perché non lo conosco. Fatto sta che alla fine arrivammo a Mukrum, forse un paio di mesi fa. Io venni a conoscenza di quello che gli uomini, con un briciolo di cuore, chiamano amicizia, un sentimento che non avrei mai scoperto continuando a stare dalla parte del male. Con Sabbù diventammo ottimi amici, quasi del tutto inseparabili. Finalmente sei stato tu a venire da noi.
Ieri, qui, in questa locanda, quando abbiamo udito il tuo nome, il nostro cuore ha sussultato. Immediatamente mi sono accorto dello sguardo del mio amico, era triste: è troppo giovane mi ha detto. Non voleva venderti al signore Oscuro anche se questo gli costava rischiare la propria vita, anche se questo voleva dire tornare nelle prigioni del castello nero.
Capisci l’importanza che ha per me conoscere cosa vi siete detti ieri?!».
Kéndall annuì e raccontò della storia che gli aveva raccontato Sabbù.
Sapeva che ora si poteva fidare, che era davvero ricercato dal signore Oscuro, che davvero la sua morte era bramata come poche altre. L’uomo aveva sacrificato la propria vita per salvare quella di Kéndall, era un gesto da portare come un memoriale.
«Non mi aveva messo a conoscenza delle sue intenzioni, lo potevo aiutare. Ascoltami attentamente Kéndall, Mukrum non è un luogo sicuro, i Cacciatori si nascondono ovunque, se hanno ucciso Sabbù ci metteranno poco a raggiungere te, probabilmente oramai si sono resi conto che anche io ho tradito la fiducia del signore Oscuro, per l’ennesima volta, ci metteranno poco anche a trovare me, ma io so difendermi bene. Dimmi quando partirai?!».
«Domani in mattinata, mi muoverò verso la Terra del Centro!», rispose il ragazzo.
«Bene, cercherò di distrarre i Cacciatori e li condurrò verso Sud per lasciarti il tempo di agire indisturbato. Ora vai, sei stato troppo tempo in mia compagnia! Un’ultima cosa, riporta la pace, Sabbù credeva in te e lui non sbagliava mai».
Il ragazzo annuì e poi corse via da quella sorta di baracca accatastata con materiale trovato chissà dove.
Bregael lo guardò sparire, poi dando un’ultima occhiata alla struttura che li aveva ospitati lungo il loro periodo a Mukrum uscì, convinto che Kéndall avrebbe mantenuto la parola.
Quando il giovane tornò a casa era quasi ora di pranzo.
Elam stava nella stanza che Sujum aveva allestito per lei, mentre quest’ultimo era ai fornelli intento a preparare da mangiare. La stanza era allietata dall’ottimo odore di carne, era da un po’ che non ne mangiavano! Costava parecchio. A causa della guerra molte città e paesi avevano iniziato a soffrire la carestia e i primi a rimetterci erano stati proprio gli animali.
Sujum aveva chiesto ad Elam, quella mattina, di uscire e di andare a comprare carne prelibata, in fondo il tempo stava scadendo e il momento di mettersi in viaggio si stava avvicinando, perché non festeggiare?
Chissà quando sarebbe capitato ai due giovani di tornare a mangiare prelibatezze simili.
«Hai paura?», la domanda di Sujum colse di sorpresa Kéndall che era intento a versarsi della birra del bicchiere.
«Non so!», rispose facendo spallucce.
«Sai, mio padre ci raccontava che gli uomini, quando sono intenti a compiere qualcosa di importante sono sempre spaventati, ma nel loro caso fu diverso. Erano stati creati dal nulla, non conoscevano il sentimento della paura, il loro compito era quello di combattere il signore Oscuro. Mi domando se a volte sia meglio non conoscere determinati sentimenti… vai a chiamare Elam, è pronto in tavola!».
Kéndall si avviò verso la camera dell’amica e bussò un paio di volte prima di aprire la porta. La ragazza era in piedi, che gli dava le spalle, lo sguardo rivolto verso la finestra.
«Il pranzo è pronto!»
«Arrivo subito», sussurrò la giovane portando repentinamente il palmo della mano verso gli occhi per asciugarsi le lacrime. Non era tipo da farsi vedere triste, si era sempre considerata una ragazza solare, ma a volte necessitava di sfogare quello che aveva dentro.
«Va tutto bene?», chiese Kéndall avvicinandosi. Per quanto gli riguardava non era bravo a consolare, non si era mai fatto coinvolgere dai sentimenti altrui, forse, sotto questo punto di vista, regnava un pizzico di egoismo, ma la vita gli aveva insegnato che era meglio affrontare da soli le proprie difficoltà, perché molto spesso gli altri non possono capire.
«Il desiderio che questa guerra finiscaè forte, ma allo stesso tempo mi hanno ferita le parole di mio padre. Ero convinta che potesse capire, anche lui è stato giovane, anche lui si sarà ribellato a qualcosa, non mi aspettavo potesse reagire in quella maniera… e…».
«Non sono proprio la persona adatta per questo genere di cose! Con mio padre non ho mai avuto un buon rapporto ed ora che non c’è più, me ne pento! Avrei voluto dirgli molte cose, avrei voluto fare con lui altrettante cose, ma la morte mi ha battuto sul tempo. Mi pento del fatto che l’ultima volta che ho aperto bocca nei suoi confronti è stato per discuterci e solo ora mi rendo conto che molti suoi atteggiamenti nei miei confronti erano per il mio bene!».
«Hai perfettamente ragione, sono qui a lamentarmi e non penso a te e alla tua situazione, scusami Kéndall! Andiamo a mangiare».
Mangiarono, bevvero e parlarono, ricordando i bei momenti che avevano trascorso nella loro vita, piccoli episodi che sarebbero stati un raggio solare lungo il loro difficile cammino.
Sujum era rimasto silenzioso, aveva sperato nel ritorno di
Ecra, in fondo desiderava che Kéndall ed Elam rimanessero a Mukrum ancora un po’, credeva non fossero ancora pronti per quella impresa.
Forse la sacerdotessa aveva fallito? Non si era messa in contatto con
Kéndall e questo lo preoccupava un po’, era esaperante non avere notizie né di lei né delle due elfe.
Kéndall raccontò ad Elam dell’incontro avvenuto con Erised e del fatto che la locandiera li avrebbe accompagnati fino alla Terra del Centro. L’amica si mostrò scettica, ma il giovane Cavaliere le spiegò che non aveva voglia di lasciarla intraprendere il cammino da sola visto la guerra: se le fosse accaduto qualcosa si sarebbe portato il peso per il resto della vita. Si raccomandò, comunque, di non raccontarle nulla sulla loro missione.
Dopo aver consumato il pranzo ognuno si ritirò nella propria stanza.
Fu come un dejavù, gli ricordava l’Accademia. Si ritiravano in camera dopo ogni pasto, per riposare mente e corpo prima di riprendere le lezioni di addestramento. Lui era in stanza con Atemot, erano diventati grandi amici, legati dallo stesso destino, entrambi capitati in quel luogo per volere del padre. Un giorno però, il compagno di stanza, se ne andò, doveva trasferirsi chissà dove e di lui non ebbe più notizie.
Con tutto il cuore aveva odiato l’Accademia, ma ora che conosceva cosa lo aspettava, la rimpiangeva.
I pensieri di Kéndall si erano spostati su Sabbù, allo zio non aveva raccontato né della morte di quest’ultimo, né dell’incontro con Bregael.
Non voleva che Sujum si preoccupasse ulteriormente, decise perciò di tenere tutta la storia per sé.
Alla fine fu sopraffatto dalla stanchezza e si addormentò.
«Kéndall – si sentì chiamare – Kéndall, riesci a vedermi?».
La voce era come un ricordo lontano, non comprendeva bene da dove provenisse, non capiva se stava ancora dormendo o se era sveglio. Vi era come un fumo grigio, alcune ombre nere offrivano un’immagine inquietante. Il giovane voleva divincolarsi da quello che lo circondava, ma era come trattenuto da una forza maggiore. Alla fine la figura che lo richiamava prese forma, si trattava proprio di Ecra…
«Non fare resistenza Kéndall, la mia magia non supera di molto la tua, così mi fai stancare ulteriormente!».
«Cosa? Non capisco…».
«Non c’è tempo per le spiegazioni. Ascolta attentamente: mettiti in viaggio il prima possibile, devi raggiungere la città di Skaam, nella Terra del Centro. Le due sorelle elfe si trovano lì protette dal Cavaliere Immacolato della Terra. Comunica a Sujum che Nesca ha accettato il suo destino da prescelta e che Naira ha deciso di seguire la sorella in questa impresa. Ora devo andare!».
«Aspetta! E tu? Non sei con loro?».
«No, ho una faccenda da sbrigare! Buona fortuna Kéndall», la giovane sacerdotessa concesse un sorriso al ragazzo e la sua immagine scomparve come polvere spazzata via dal vento.
Quando Kéndall riaprì gli occhi il sole era già calato da un’ora circa.
Trovò sia Sujum che Elam in salone intenti a fare una lista di cose da portare per il viaggio. Il Cavaliere Immacolato li mise a conoscenza dell’avvenimento accaduto solo qualche istante prima.
«Almeno sappiamo che tutte e tre sono salve!», commentò Sujum.
«Mi chiedo però perché Ecra non sia rimasta con loro», intervenne Elam.
«Non ne ho idea!», Kéndall scosse la testa mostrando disappunto.
Il tempo trascorreva velocemente e prima raggiungevano il signore Oscuro e meglio sarebbe stato per il mondo di Ianor che stava cadendo, pezzo dopo pezzo, verso l’oblio.
«Meglio andare a dormire, domani vi attende una giornata difficile, buonanotte!», concluse Sujum.
«A domani!», disse Elam.
Ognuno ritornò nella propria camera.
Kéndall si trovò a fissare il soffitto e a pensare all’avventura che lo attendeva. Ora che il fatidico giorno si avvicinava provava paura ma, allo stesso tempo, emozione; il pericolo, in un modo o nell’altro, lo aveva sempre affascinato. Chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.
L’unica a tenere ancora gli occhi aperti era Elam, con la nuca poggiata contro il cuscino ripensava alla discussione avvenuta con suo padre, le lacrime scendevano lungo le guance in modo incontrollabile, sperava che un giorno l’avrebbe perdonata e accolta, nuovamente, in casa.
Per distrarsi, poi, pensò alla lista che aveva fatto con Sujum e a quello che avevano messo negli zaini. Cibo, bevande, una corda, mantelli per ripararsi dal freddo, monete a sufficienza… poi si addormentò.
L’intera casa era avvolta nel silenzio, illuminata solo dai bagliori delle statue in giardino. Ora tutte e cinque brillavano di colori diversi; rosso, marrone, verde, blu e azzurro.
Kéndall si svegliò prima dell’alba e andò a chiamare Elam che era ancora a cullarsi nel sonno. Sujum, invece, era già in cucina a preparare una colazione sostanziosa. Durante il pasto nessuno pronunciò parola, erano ancora un po’ intontiti dal sonno. Arrivò poi il momento degli addii.
«Sii prudente Kéndall, buona fortuna!».
«Grazie zio, vedrai che sentirai parlare molto di noi!», disse abbracciandolo.
«Ne sono sicuro. Elam, tieni d’occhio questo ragazzaccio».
«Lo farò senz’altro. Addio Sujum e grazie per tutto quello che hai fatto per me».
«Non devi ringraziarmi, è stato un piacere e un onore!», rispose.
«Dobbiamo andare!», disse infine Kéndall. «Addio!».
S’incontrarono con Erised di fronte alle porte di Mukrum. La locandiera portava sulle spalle un enorme zaino, stracolmo di roba, Kéndall si domandava cosa potesse contenere. L’unica arma che la donna aveva con sé era un misero coltello. Dopo una veloce presentazione tra Elam ed Erised i tre si incamminarono verso la Terra del Centro.
Non arrivarono molto lontano prima di mezzogiorno, procedevano a passi lenti, Kéndall consultava molto spesso la mappa ed Erised non lo stava aiutando per niente, era presa in altre faccende, tanto che il ragazzo arrivò a domandarsi se fosse stato un errore portarla con sé.
«Io credo che sia il momento di riposarsi, sono stanca ed ho fame, che ne dite? Sotto quell’albero potrebbe andare bene, no?!», la locandiera si diresse verso un grande albero che si trovava al lato destro della stradicciola che stavano percorrendo.
«Possiamo continuare ad avanzare ancora un po’, mi sembra stupido fermarsi ora!», sussurrò Elam a Kéndall.
«Assecondiamola per ora! Non dobbiamo farle capire nulla di noi, se ne venisse a conoscenza potrebbe convertirsi nell’ennesimo bersaglio dei Cacciatori!».
Elam sbuffò e scosse la testa. Non era affatto d’accordo, ma non voleva contraddire il giovane Cavaliere. Entrambi si sedettero accanto ad Erised che era intenta ad aprire uno zaino pieno di cibo.
Sostarono il tempo necessario, poi ripresero a camminare.
Kéndall non desiderava altro che giungere a destinazione il prima possibile. Voleva poter riabbracciare Nesca e Naira.

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