Rebecca Bannò, 2005
II Capitolo
Incontri
Parkam fermò il carro nei pressi di una misera casupola e Kéndall scese.
«Aspettami qui, porto i cavalli nella stalla e sono subito di ritorno», disse l’uomo prima di sparire all’interno di un’altra struttura completamente di legno.
La casa di Parkam era nella parte est della città di Mukrum, quella che un tempo era appartenuta ai cittadini poveri.
Il giovane non dovette attendere molto a lungo per il ritorno del nuovo amico. Poi, i due varcarono la soglia di una porta rossa, entrando così in una modesta casa. Si ritrovarono direttamente in una piccola cucina, sistemata in modo tale da apparire spaziosa. Al centro della stanza, un tavolo tondo con quattro sedie e all’angolo, un fornello ed un lavandino. Alcune dispense erano state montate lungo la parete e delle lanterne con candele provvedevano ad illuminare il luogo.
«Cara, sono a casa!», disse Parkam rivolgendosi alla moglie, una donna minuta indaffarata a preparare da mangiare. Subito lei si voltò e con un sorriso, un bacio e un abbraccio accolse il ritorno del marito, prima di posare gli occhi su Kéndall.
«E’ un nostro ospite, l’ho incontrato durante il viaggio!», la informò Parkam.
Kéndall s’inchinò leggermente e si presentò.
«Vengo dalla città di Logh, nelle Terre Selvagge, il mio nome è Kéndall».
«Terre Selvagge? E’ un bel viaggio… io sono Lam», disse la donna concedendo un bacio sulla guancia anche al nuovo ospite che venne messo subito a proprio agio.
«Dove sono le mie due bambine?», chiese poi Parkam guardandosi attorno.
«Marie è già a dormire ed Elam è a fare baldoria con quei suoi nuovi amici. Le ho detto di non frequentarli, ma non mi da ascolto, non è gente che porta su una buona via quella…», rispose la moglie sbuffando e scrollando la testa prima di ritornare ai fornelli.
«Sai che è ostinata e non ha preso da me! Ma mia cara, dobbiamo festeggiare, lasciamo i dispiaceri fuori da questa casa, mettiamoci a tavola e mangiamo!».
Consumarono stufato con patate accompagnato da un buon vino rosso.
Kéndall non si era sentito così sazio e quieto da parecchi giorni.
Alla fine del pasto, mentre Lam era in procinto di sparecchiare la tavola, i due uomini si spostarono nel salotto. Era una camera accogliente, vi erano due poltroncine vicino ad un caminetto acceso che illuminava le pareti chiare. Parkam si mise a sedere e Kéndall lo imitò.
«E così vieni da Logh, mh?! –iniziò a dire l’uomo fissando il fuoco – Ci sono passato qualche giorno fa. Volevo sostare e riposare lì, ma ho trovato solo case distrutte e uomini, donne e bambini in lutto».
Il giovane abbozzò una smorfia di dolore e poi annuì.
«Siamo stati attaccati dai Cacciatori. Durante quella notte ho perso entrambi i miei genitori. Quando trovai mio padre era già troppo tardi, mia madre invece è morta tra le mie braccia».
«Oh, mi dispiace ragazzo! Non deve essere stato facile per te».
«No, infatti. Ma mia madre mi ha detto di venire qui e di cercare un tipo, un certo Sujum».
Parkam tuonò in una delle sue tipiche risate fragorose prendendo alla sprovvista Kéndall che si ritrovò a guardare l’uomo sbalordito.
«Spero tu stia scherzando ragazzo! Quell’uomo… quel Sujum è un tipo particolare. Circolano strane voci sul suo conto, se vuoi vivere tranquillo è meglio che non entri in contatto con un essere simile», la voce di Parkam era tornata seria e ammonitrice.
Il giovane però fece spallucce e scosse la testa.
«Ho promesso!», disse solamente prima di distogliere lo sguardo e posarlo sul fuoco che continuava a scoppiettare.
«Bene, non dire però che non ti avevo avvertito! Meglio che vada a riposare, domani dovrò alzarmi presto. Lam ha preparato la stanza per te: in fondo al corridoio, la porta a sinistra», si alzò dalla sua poltrona e se ne andò a dormire.
«Buonanotte e grazie», mormorò il ragazzo prima di seguire l’esempio dell’uomo ed iniziare a muoversi verso la sua nuova camera.
Un rumore però lo richiamò e voltandosi intravide la figura di una ragazza vestita in modo, forse, un po’ troppo appariscente.
Aveva degli stivali che arrivavano a toccare le ginocchia, indossava una gonna nera che sfiorava le cosce esili. Il corpetto lasciava scoperta una pancia magra e di carnagione scura. Capelli neri e ricci cadevano lungo delle spalline di metallo bianco. Alle mani aveva cinghie di cuoio, adattabili come guanti senza dita. Le cinghie erano ricoperte da borchie di ferro. Kéndall si rese conto anche di una frusta legata alla cintura nera della gonna.
Il ragazzo alzò le sopracciglia e arricciò le labbra.
«Immagino che tu sia Elam, la figlia di Parkam che frequenta tipi strani», la schernì il giovane.
Elam sorrise ed annuì «Vedo di essere già conosciuta! Meglio così… E di grazia, tu saresti?».
«Mi chiamo Kéndall, tuo padre mi ha concesso l’onore di essere ospite in casa vostra!».
«Beh, allora, buonanotte Kéndall», disse la ragazza prima di superare la figura del ragazzo e sparire dietro ad una porta.
Il giovane sospirò e s’inoltrò lungo il corridoio fino a giungere nella stanza indicatagli da Parkam. Trovò una vasca con acqua bollente e sapone pronta ad accoglierlo per un bagno ristoratore. Dopo, si lasciò cadere sul letto per concedersi un lungo riposo.
Si svegliò piuttosto tardi, si vestì in fretta e uscì dalla stanza. In salone trovò una bambina intenta a leggere un libro pieno di figure.
«Buongiorno», disse Kéndall ammirando la somiglianza con Parkam.
La risposta fu completamente inaspettata perché la piccola iniziò ad urlare e a piangere, richiamando l’attenzione di Elam e la madre che immediatamente accorsero.
«Tesoro non piangere, ti avevamo detto che c’era un ospite in casa. Basta piangere su, asciughiamo questi lacrimoni», Lam consolò Marie abbracciandola.
«Hai proprio un bell’effetto sui bambini, mh?!», Elam schernì Kéndall prendendosi così una rivincita sulla sera precedente.
«Mi dispiace, non volevo metterle paura», si scusò il giovane.
«Non scusarti, è così con tutti gli estranei, ma vedrai che già da questa sera sarai il suo migliore amico», lo rassicurò Lam.
Dopo una lunga chiacchierata intorno al tavolo della cucina, Kéndall decise di andare a fare un giro per la città ed Elam si offrì ad accompagnarlo.
Il giovane, anche se aveva utilizzato questa scusa per mettersi a cercare Sujum, si trovò costretto ad accettare la compagnia della ragazza.
«Ti interessa visitare qualcosa in particolare?».
«No, decidi tu… ».
«D’accordo, allora seguimi!».
Elam condusse Kéndall nella Grande Arena: un luogo pieno di gente che sbraitava, correva, puntava e si guardava con diffidenza.
Quel luogo, in parte, gli ricordava l’Accademia: giovani ragazzi che si addestravano senza sentirne veramente il desiderio.
L’Arena si trovava sotto un’ampia tenda nera con un grande campo rettangolare, limitata da pali uniti per mezzo di una corda robusta.
Al centro del campo, un uomo alto e magro iniziò a presentare lo spettacolo.
«Benvenuti – strillò l’uomo – avete fatto le vostre scommesse? Siete pronti?», tutti iniziarono ad urlare accondiscendenti.
«Bene allora-riprese il presentatore- facciamo entrare il nostro campione, fategli sentire il vostro calore!».
Entrò un uomo alto e robusto con indosso solo delle brache, lasciando così visibile un busto muscoloso con un tatuaggio sulla schiena che rappresentava un drago rosso. Di nuovo il pubblico strepitò dando il benvenuto al campione.
Kéndall guardò tutta la scena con un una smorfia di disgusto sul volto, al contrario di Elam che incitava e urlava come tutti gli altri spettatori.
«Ma non vogliamo conoscere lo sfidante? Facciamolo venire qui!», lentamente un uomo basso e grassottello si fece spazio tra la folla. Timoroso e sicuro di non potercela fare si prese comunque pacche sulle spalle e consigli dai presenti. Quando l’uomo oltrepassò le corde, un grande boato di urla e di applausi invase l’intero luogo.
«Che inizi il duello!», disse il presentatore lasciando campo libero ai due sfidanti.
Kéndall guardava il combattimento senza tifare per nessuno dei duellanti che si fronteggiavano a mani nude. Trovava allucinante combattere solo per far divertire gli altri, soprattutto in un periodo di guerra come quello, dove la gente moriva sul serio per poter difendere il proprio paese, famiglia e fede.
Il campione aveva la meglio sul povero sfidante che ormai non riusciva nemmeno più ad alzarsi.
«Ma se sanno di non farcela perché sfidano quel mostro?», domandò Kéndall.
«Beh, ci provano… in palio ci sono mille monete d’oro e in questo periodo fanno molto comodo, non trovi?».
«Per quel che mi riguarda ho visto abbastanza, possiamo andare ora?».
«Ma dai, di già? Non siamo nemmeno arrivati al punto più bello!», contestò Elam sbuffando.
«Portate via quest’uomo prima che muoia qui! – riprese il presentatore ritornando al centro dell’Arena – Passiamo ora alla seconda fase: le spade.
Chi vuole essere il prossimo sfidante? Avanti, se riuscite ad abbattere il nostro campione, nelle vostre tasche entreranno ben mille monete».
Proprio quando Kéndall ed Elam stavano cercando, con fatica, di andare verso l’uscita, un nuovo grido si alzò nell’arena. Qualcun altro aveva accettato la sfida.
Una persona, nascosta in un mantello completamente blu, si avviava verso il campo mentre diceva:
“Drago blu, ho sentito il tuo Richiamo scendere dal cielo nelle gocce di pioggia.
Quella pioggia ha lavato la diffidenza che avevo tessuto intorno al mio corpo come una ragnatela.
Quella pioggia è divenuta un fiume che è corso a tuffarsi nel mare.
Quella pioggia… ora, è l’eco della tua voce che mi chiama: vieni piccola goccia”.
Il pubblico confuso guardava quel personaggio alquanto singolare. Kéndall invece era rimasto affascinato dalle parole. Solo un silenzio assoluto, le urla e gli applausi erano cessati, lasciando spazio ad una quiete assordante. Persino il campione era rimasto incantato dallo strano modo di comportarsi del tizio dal mantello blu.
Dopo che il nuovo sfidante entrò in campo, il pubblico si sbloccò e cominciarono tutti ad urlare e a incitare i duellanti, le scommesse ripresero:molti puntarono sul campione, ma tanti altri per lo sconosciuto.
«Bene, i giochi sono fatti, armi alla mano e pronti a combattere!», disse il presentatore tornando a mettersi da parte per far posto ai giocatori nell’Arena che si armarono di spada.
Neanche qualche secondo che il campione sferrò un colpo così violento che i due ferri, nello scontrarsi emisero scintille.
Kéndall era rimasto a fissare lo sfidante che nascondeva il volto sotto il cappuccio del mantello. Guardava incantato la sicurezza di quello sconosciuto, in fondo al cuore sapeva di invidiarlo: lui non si era mai comportato con coraggio, soprattutto nella notte in cui i Cacciatori avevano assaltato Logh.
Gli attacchi del campione si fecero più frequenti, però nessuno andava a segno. Venivano tutti parati senza difficoltà; ma quello che irritava maggiormente quest’ultimo era che lo sfidante non si degnava nemmeno di attaccarlo: fermo, parava i colpi uno dopo l’altro senza fiatare.
«Sono stanco dei tuoi giochi, peché non mi attacchi?», sbraitò.
«Come vuoi!», sussurrò l’altro scattando in avanti così velocemente che il campione, in un attimo, si ritrovò disarmato, con la spada avversaria puntata dritta verso la gola.
La folla rimase in silenzio, giusto il tempo di comprendere l’accaduto, poi si lasciò andare in grida entusiaste ed applausi.
«E così il nostro povero campione è stato sconfitto, mille monete d’oro per il nuovo sfidante», il presentatore tornò in campo tenendo in mano un sacchetto con il compenso.
Lo sconosciuto scosse la testa prima di abbassare il cappuccio scoprendo così il suo volto. Era quello di una donna, con una pelle chiara e liscia, capelli castani ed occhi chiari.
«Non voglio i vostri soldi!», commentò prima di allontanarsi dal campo e muovendosi verso l’uscita della tenda.
Sfiorò la spalla di Kéndall che continuava a fissarla sbalordito.
«Ci vedremo presto!», gli disse la ragazza prima di sparire oltre l’ingresso della Grande Arena.
«La conosci?», domandò prontamente Elam alzando l’arcata delle sopracciglia.
«Mai vista in vita mia!», rispose il giovane arricciando il naso in maniera confusa. Forse la ragazza si era sbagliata, magari lo aveva scambiato per qualcun altro. Era giunto a Mukrum solo il giorno prima e non aveva avuto nessun incontro nuovo tranne la famiglia di Parkam.
I due giovani si avviarono verso casa.
Il pranzo ormai era pronto e Lam e Marie li attendevano già da un po’.
Intorno al tavolo i quattro conversarono, ma Elam e Kéndall badarono bene a non accennare nulla dell’avvenimento alla Grande Arena. Marie invece, come previsto, era un fiume di parole e continuava a dare il tormento al giovane ospite riempiendolo di domande, la maggior parte delle quali non riceveva risposte, ma solo un accenno di sorriso.
«Dai, lascialo in pace, non stargli addosso», il richiamo di Elam mise sull’attenti la piccola che corse tra le braccia della sorella e poco dopo cadde in un sonno profondo.
«Vado a metterla a letto», disse la ragazza alzandosi e muovendosi lungo il corridoio prima di sparire dietro la porta della camera.
Lam le seguì fino a che non le vide più e poi posò la sua attenzione su Kéndall.
«Parkam mi ha detto il motivo per cui sei venuto a Mukrum. Non ho grande stima di Sujum. Non sono nessuno per dirti cosa devi o non devi fare. Ti chiedo solo di non coinvolgere Elam in questa storia; abbiamo abbastanza difficoltà visto il momento di ribellione che sta attraversando…», la donna lo guardava seria e per un attimo al giovane tornò in mente sua madre. Era sempre lei che acquietava i litigi con suo padre, che andava lì e gli dava un consiglio e lo invitava a scusarsi.
Il ragazzo sospirò ed annuì.
«Non ho intenzione di coinvolgere nessuno. Non ho idea nemmeno di chi sia questo Sujum e perché mia madre mi abbia detto di cercarlo, ma – e si guardò attorno per un attimo – visto che Elam è nell’altra stanza, ne approfitto ed esco da solo».
Il ragazzo sorrise alla donna, la ringraziò per l’ottimo pranzo ed uscì dalla casa dirigendosi verso la piazza della città.
Non sapeva bene dove cercare e come muoversi in un luogo così grande, ma quando vide Parkam dietro ad una bancarella intento a vendere degli oggetti che aveva trovato lungo i suoi viaggi, una fiammella di speranza gli si accese nel cuore. Lui conosceva molto bene Mukrum.
«Kéndall, che ci fai in giro a quest’ora? Non dovresti essere a casa a mangiare?», domandò l’uomo con un ampio sorriso sul volto.
«Lam ha già provveduto a preparare un ottimo pranzo, sono uscito approfittando dell’assenza di tua figlia per cercare questo Sujum, non è che tu potresti indicarmi la sua residenza?», chiese.
«Potrei persuaderti, ma non voglio che tu rompa una promessa fatta ad una persona a te cara. Vedi quella bottega lì in fondo?! – Kéndall annuì – Lì accanto vi è una discesa, devi percorrerla per intero fino a quando non ti troverai di fronte ad un bivio; svolta a destra, trovi solo una casa lì… quella di Sujum!».
«Grazie mille Parkam, ci vediamo più tardi».
«Buona fortuna ragazzo mio».
Kéndall si mise di nuovo in cammino, aggiustò la spada che portava nella fodera legata alla vita continuando ad ammirare la bellezza di quella città. Voleva visitarla da cima a fondo appena possibile, ma ora, al primo posto, c’era la promessa fatta a sua madre.
Si accostò alla bottega indicatagli da Parkam e la guardò a lungo. Era di legno e dall’interno proveniva un odore di muffa mischiato a qualche altro aroma che non riusciva a decifrare; comunque molto sgradevole! Arricciò il naso e sul volto si disegnò una smorfia d disgusto. Riprese a camminare iniziando a percorrere la discesa. Non c’era nessuno lungo la via, qualche ciuffo d’erba qua e là, alberi con rami spogli e steli che attendevano l’arrivo della primavera per mostrare al mondo la bellezza dei loro fiori.
La discesa era talmente ripida che Kéndall si trovò costretto ad inclinare la schiena all’indietro e piegare leggermente le ginocchia per non ruzzolare. Più scendeva e più la vegetazione si faceva spoglia.
Comprendeva bene che quella non era una strada molto battuta. Arrivò all’incrocio. Diritto di fronte a sé la via si interrompeva, a sinistra vi era l’inizio di un boschetto e a destra una strada completamente scura, come se l’abitasse un incantesimo di notte eterna.
Tra i numerosi libri di magia che aveva letto, gli era capitato un capitolo che parlava di quel tipo di incantesimo. Sua madre gli aveva però sconsigliato di impararlo, spiegandogli che, in genere, le magie che sembrano avere molti pro, nascondono anche molti contro. Kéndall sospirò e si fece coraggio. Parkam gli aveva detto chiaramente di svoltare a destra e così fece.
Riprese a camminare, non riusciva a vedere bene a causa del buio. Strisciava i piedi contro l’asfalto per paura di inciampare contro qualche cosa che lo potesse far cadere, stringeva l’elsa della spada talmente forte da farsi male alla mano. Ci volle un po’ prima che gli occhi si abituassero a quell’oscurità, prima di comprendere che lì non solo non c’era vegetazione, ma neanche un misero insetto.
Una parte di lui desiderava tornare sui propri passi, ma l’altra gli consigliava di smetterla di comportarsi da codardo e di proseguire.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, gli pareva un’infinità. Aveva voglia di correre pur di arrivare il prima possibile e lasciarsi alle spalle quel senso di timore che incombeva. Poi, eccola la casa, delimitata da una staccionata con un piccolo cancello, delle lanterne illuminavano il giardino, che al contrario della strada percorsa, era pieno di piante e fiori. Ammetteva a se stesso che tutta la faccenda era inquietante quanto affascinante e curiosa. Stava per varcare il cancelletto , quando delle voci che provenivano da dietro la porta dell’abitazione richiamarono la sua attenzione. Il giovane, impaurito, si nascose nell’ombra e spiò tutta la faccenda.
«Mi raccomando Sujum, il tempo stringe ed il ragazzo ha molto da imparare. Ho intravisto molta forza nei suoi occhi, ti auguro comunque buona fortuna!».
«Ha preso tutto da sua madre! Buon viaggio e fai attenzione».
«Come sempre, a presto!».
La figura si allontanò dalla porta e si mosse oltre il cancello, fermandosi a pochi metri da dove era nascosto Kéndall. Guardò verso l’oscurità e solo in quel momento il giovane si accorse che si trattava della stessa fanciulla che aveva visto combattere nella Grande Arena. La faccenda si faceva davvero più complicata: cosa c’entrava lei con Sujum?
La ragazza sorrise e poi scosse la testa prima di allontanarsi. Solo dopo qualche secondo Kéndall decise di uscire dal nascondiglio e muoversi verso la casa dell’uomo che sua madre aveva detto di incontrare.
Lungo il viale, il giovane notò cinque statue a forma di draghi: due erano avvolte dall’oscurità, mentre le altre tre brillavano di una luce blu, marrone e rossa.
Forse Sujum doveva essere davvero particolare: le parole di Parkam e Lam confermavano il pensiero di Kéndall, ma ormai era lì, tanto valeva bussare ed attendere il dopo.
«Chi è?», domandò una voce bassa e stanca.
«Mi dispiace disturbare signore, cerco un uomo di nome Sujum potete aiutarmi?».
La porta si aprì e di fronte a Kéndall si stagliò alta la sagoma di un uomo di circa quarantacinque anni. La barba folta e i capelli lunghi erano tenuti in modo disordinato, la lunga tunica bianca, che arrivava a sfiorare il pavimento, era ricoperta di chiazze di fuliggine e alla vita portava un laccio nero contro il quale erano incastonati piccoli pezzi di carta arrotolati.
«Cosa vuoi ragazzo?», domandò burbero l’uomo cogliendo di sorpresa Kéndall che era ancora intento a fissarlo.
«Scusate…ecco… mia madre Asha, delle Terre Selvagge… sì, ecco…».
«Non blaterare sciocchezze, Asha appartiene alle Terre dell’Ovest, più precisamente alla Terra Dei Draghi!».
«La Terra Dei Draghi?», l’unico che stava blaterando sciocchezze era proprio il tizio. Sua madre non gli aveva mai parlato della Terra Dei Draghi e lei era sempre stata onesta con il figlio… o forse si sbagliava?
In fondo non gli aveva mai raccontato di questo Sujum eppure, prima di morire, lo aveva spedito qui.
«Vieni in casa ragazzo, fuori si gela!».
Kéndall accettò l’invito e seguì l’uomo all’interno della casa che a prima vista sembrava davvero troppo enorme per ospitare una persona sola.
Si trovarono in un atrio che portava ad un salone caldo ed accogliente.
Al centro vi era un tavolo tondo con sei sedie attorno. Ad un angolo, un caminetto con la canna fumaria coperta da una fila di mattoni.
A terra, un tappeto marrone su cui erano posate delle poltrone che volgevano verso il camino. Appesi alle pareti, ritratti di paesaggi e di bambini che giocavano. Il salone era provvisto di quattro grandi finestre che davano sul giardino. Nonostante fuori fosse completamente scuro, nel salone vi era molta luce e Kéndall pensò si trattasse di un altro incantesimo.
Sujum fece accomodare il giovane offrendogli un bicchiere di vino.
«Abbiamo molto di cui parlare!», disse versando da bere anche per sé. Kèndall attendeva impaziente che l’uomo iniziasse a raccontare e magari gli spiegasse perché sua madre lo aveva mandato da un uomo considerato pazzo.
«Tu sicuramente non ti ricorderai di me – iniziò a dire – avevi solo due anni quando venni a trovarvi l’ultima volta. Karm non mi aveva mai visto di buon occhio e quel giorno di autunno accadde qualcosa che fece traboccare il vaso. Da buon fratello venni a far visita ad Asha…».
«Siete mio zio?», lo interruppe Kéndall sorpreso. Sua madre non gli aveva mai detto di avere un fratello e questo fece capire al ragazzo che forse gli aveva tenuto nascosto molte cose.
«Ascolta solamente adesso, le domande le farai in seguito», disse prima di bere un sorso di vino, riordinare le idee ed iniziare a raccontare.
«Tuo padre quel giorno era fuori con gli amici e doveva rientrare solo nel pomeriggio; così io per quell’ora già avrei dovuto essere lungo la strada del ritorno. Però, ci fu un imprevisto: intorno alla casa iniziarono a formarsi nuvole scure e dense, il vento sbatteva contro i vetri della finestra, pioggia e tuoni echeggiarono per il paese prima di lasciare spazio ad una voce che tutti poterono udire:
“Figlio del Vento, re dei Draghi
ascolta il mio canto:
Acque amare, onde insidiose,
secche e buie, fredde e tediose;
e di radici un labirinto,
in un dolente abbraccio avvinto;
questo noi chiameremo Casa…
Salva il popolo dall’Oscuro oppresso,
trasformato perché non possa essere più se stesso;
Guida loro verso la luce,
è la giustizia che li conduce;
Controlla la pioggia, la neve, il sole e il vento,
fai cessare il loro lamento…”
Quando tuo padre accorse a casa, con il timore che fosse accaduto qualcosa a te e Asha, vide le nuvole scure che circondavano la casa. Ho sentito dire che sono rimaste lì per almeno una settimana. Comunque Karm, come previsto, diede la colpa di tutto a me e mi vietò di ritornare a mettere piede a Logh con una minaccia ben precisa».
Sujum bevve due bicchieri di vino uno di seguito all’altro e si versò altro liquido rosso.
Il ricordo lo aveva, evidentemente, sconvolto. Kéndall sapeva bene che non gli era stato raccontato tutto ed attendeva impaziente, ma invano.
«Ho bisogno di riposare ora, ti prego, torna domani mattina e finirò il mio racconto!».
Il giovane annuì, si alzò e uscì, lasciando lo zio a fissare il bicchiere di vino ancora pieno. Era confuso e curioso, ma ancora una volta gli era stato chiesto di attendere.
Percorse la via del ritorno perso in tanti pensieri. Ora che aveva conosciuto Sujum il cammino non gli infondeva più quel senso di timore provato all’andata.
Perché sua madre aveva deciso di non dirgli la verità? Che altro c’era?
Era stanco, quando tornò a casa di Parkam era già buio, saltò la cena e si infilò immediatamente nella stanza dove si lasciò cadere sul letto e si addormentò.
Si svegliò molto presto, quando raggiunse la cucina trovò Lam e Parkam intorno al tavolo consumando la colazione, bisbigliavano per non svegliare gli altri della casa che dormivano.
«Buongiorno!», sussurrò Kéndall sedendosi e versandosi del latte caldo nella tazza.
«Buongiorno a te mio caro, va tutto bene?», chiese la donna alzando un sopracciglio.
«Certo, perché me lo chiedi?».
«Così… ieri hai saltato la cena». Dal tono, Lam sembrava offesa, ma il giovane non aveva una gran voglia di raccontare tutto; in fondo ne sapeva ben poco anche lui su tutta la faccenda.
«Sei riuscito a trovare Sujum?», intervenne Parkam badando bene che nessuna delle due figlie stesse nelle vicinanze.
Kéndall annuì.
«Ci torno questa mattina!», rispose. Forse non era il caso di dire della loro parentela. Sapeva che l’uomo non era molto apprezzato dai due e non voleva che si facessero un’idea sbagliata anche su di lui.
Appena Elam entrò nella cucina, i presenti cambiarono discorso.
Kéndall si sparecchiò il posto, salutò ed uscì da casa.
Camminava a passi lenti, non c’era bisogno di aver fretta. Probabilmente era in anticipo, ma non importava, gli bastava uscire da quella casa per non subire le loro domande, a volte, invadenti.
Certo, Parkam e Lam erano stati molto gentili ed ospitali con lui, ma cosa poteva raccontare se nemmeno a lui era chiara tutta la situazione?
Si fermò a qualche bancarella osservando i vari oggetti in esposizione. Si passava dalle armi alle armature, dai libri e pergamente agli amuleti e portafortuna vari. Giunse nei pressi della bottega di legno prima di fermarsi per guardare, incantato, la figura di una giovane fanciulla. Non aveva mai visto una tale bellezza: aveva lunghi capelli biondi che ricadevano sulle spalle, due grandi occhi azzurri come il mare dopo la tempesta ed indossava un vestito di colore verde scuro che rimetteva in risalto le curve del corpo. In mano aveva un sacchetto che stringeva contro il petto, quasi avesse paura di perderlo. La ragazza, per un attimo, ricambiò lo sguardo di Kéndall che gli sorrise senza ottenere risposta e poi sparì lungo la discesa che avrebbe dovuto percorrere anche il giovane.
Non c’erano case lì, tranne quella di Sujum, forse la giovane doveva avere una casetta nel bosco? In parte Kéndall era curioso di andare a vedere, ma poi lasciò perdere. Doveva conoscere il seguito della storia iniziata la sera precedente, desiderava sapere tutta la verità!
Quando oltrepassò il cancelletto, si mosse verso la porta d’ingresso, fermandosi prima a guardare le statue dei cinque draghi. Su quelle illuminate vi erano delle scritte. Il giovane si piegò leggermente per poterle leggere.
Sulla statua dalla luce marrone erano incisi i seguenti versi:
“Il mondo con potenza e maestà illumina,
il potere della terra controlla.
I nemici ipnotizza e addormenta,
che il mondo la sua forza senta.”
Sulla statua illuminata dalla luce rossa invece c’era scritto:
“Degli Immacolati è l’arbitro del rimprovero,
come aiutò il ricco aiutò il povero.
La velocità e l’agilità accresce,
e i cuori oscuri guarisce.”
Sull’ultima statua, quella dalla luce blu:
“Recita tonanti inni e preghiere portentose,
dopo la pioggia, l’arcobaleno, illumina tutte le cose.
La capacità di parlare agli spiriti conferisce,
tutti i nemici unisce.”
Kéndall arricciò il naso. Per lui quei versi non avevano senso alcuno, ma avrebbe avuto modo di chiedere spiegazioni a Sujum anche sui draghi.
Passò lo sguardo sulle altre due statue non illuminate, ma su di esse non vi era scritto nulla.
«Quando i cavalieri degli altri due draghi comprenderanno di essere i prescelti, allora anche le loro statue si illumineranno!», la voce di Sujum richiamò l’attenzione di Kéndall che lo guardò.
«Come?», chiese avvicinandosi allo zio.
«Conosci la storia dei Cavalieri Immacolati?», domandò l’uomo.
«Certo, ma appartiene all’Era Vecchia, cosa c’entra adesso?».
«Appartiene a tutte quelle Ere in cui il male vorrà prendere il sopravvento sul bene. Vedi, bene e male sono due facce della stessa medaglia, se ce ne è una allora deve esistere l’altra, ma non può esistere un mondo dove una prevale sull’altra. L’uomo nasce e ha innata la capacità di fare il male, molti seguono quella via, altri si tengono nella neutralità, ma altri ancora scelgono di fare il bene. Quando, però, uno di essi vuol prendere il sopravvento, i Cinque Draghi del mondo di Ianor si risvegliano, per poter equilibrare il tutto».
«Capisco! E come si fa sapere chi è il prescelto?», chiese infine Kéndall tornando a guardare le statue non illuminate.
«Quelli che sono stati scelti, dovranno sentire la seconda voce… quando un Cavaliere Immacolato è in procinto di abbandonare la via destinata a lui, udranno delle voci, quelle che i sacerdoti chiamano le parole dell’incoraggiamento! Tu le hai udite Kéndall?».
«Io? E perché mai? Non ho nemmeno mai sentito la prima voce…no aspetta, non mi vorrai dire che…?! Oh no, no no no… tu mi stai prendendo in giro, vero?».
Sujum scosse la testa. Poi entrambi sobbalzarono poiché una forte luce azzurrina iniziò a pervadere una delle statue non illuminate. Era talmente forte che entrambi furono costretti a pararsi gli occhi con le mani. Poi una voce provenne dalla statua:
“Delle nuvole lui è il supplicante,
e la sua arma può leggere la mente.
Accorre al richiamo della battaglia,
le condizioni climatiche controlla.”
Quella voce l’aveva già udita, ma sì, era la stessa che lo aveva incoraggiato a continuare lungo la via da Logh a Mukrum… poi ricordò.
Era una giornata come tante e lui era in compagnia di Asha che lo aveva vestito in modo impeccabile. Anche la madre era molto bella.
Forse dovevano uscire? Suo padre era partito e gli aveva promesso un regalo se si fosse comportato da bravo ometto. Qualcuno bussò alla porta e sua madre gli sorrise prima di andare ad aprire. Entrò un uomo con corti capelli neri e un viso curato. Sua madre abbracciò quel tizio e lui ricordò di aver provato un senso di gelosia. Poi l’uomo gli si avvicinò e lo prese in braccio schioccandogli un bacio sulla guancia, bastò questo per fargli tornare il sorriso. Erano lì, in cucina, a parlare, a ridere e scherzare, ma ben presto l’allegria si tramutò in paura. Diventò buio ed iniziò a piovere e a tuonare. Il vento sbatteva contro le finestre della cucina e lui corse dalla madre abbracciandola e piangendo. La donna, immediatamente, lo prese tra le braccia e lui si accucciò contro il suo petto. Nessuno lo faceva sentire al sicuro come la mamma che quando aveva paura gli cantava una canzoncina. Perché non canti ora mamma? Io ho paura. Erano questi i suoi pensieri prima che una voce spaventosa sovrastò i rumori della pioggia:
“Figlio del Vento, re dei Draghi
ascolta il mio canto:
Acque amare, onde insidiose,
secche e buie, fredde e tediose;
e di radici un labirinto,
in un dolente abbraccio avvinto;
questo noi chiameremo Casa…
Salva il popolo dall’Oscuro oppresso,
trasformato perché non possa essere più se stesso;
Guida loro verso la luce,
è la giustizia che li conduce;
Controlla la pioggia, la neve, il sole e il vento,
fai cessare il loro lamento…”
Ricordò sua madre urlare «Non lui! Non scegliere lui…», e poi un improvviso silenzio.
Lo avevano messo sul letto e sua madre piangeva.
«Perché piangi mamma? Ci sono io con te, faccio io l’ometto di casa».
«Andrà tutto bene, figlio mio!», diceva la donna prima di posare le mani sulla sua testa ed iniziare a sussurrare qualche cosa che lui non comprendeva. Che fai mamma?
Quando Kéndall riaprì gli occhi si trovò steso su di un letto con un panno umido, una fonte di benessere per la sua fronte impregnata di sudore. Senza comprendere bene il perché iniziò a piangere, mentre immagini vaghe del suo ricordo gli si paravano di fronte agli occhi.
Lentamente abbassò le palpebre per cadere in un sonno profondo.
Brava seguo… ciao