Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005
XVI Capitolo
Il reame dimenticato
Fissava il cielo silenziosa. La stagione delle pioggie si stava avvicinando e, le grandi nuvole minacciose che si ragruppavano nel cielo, ne erano la conferma.
Naira pensava alla prima volta che aveva incontrato Kéndall, da allora erano accadute molte cose: tutto questo sarebbe finito un giorno?
Le due elfe non avevano mai raccontato a nessuno del loro passato. Avevano conosciuto Elam durante una perlustrazione nel bosco di Mukrum e, attraverso di lei, avevano incontrato Kéndall. Da quel momento e da quell’incontro il loro destino era stato segnato.
«A cosa pensi?», chiese Nesca a sua sorella.
«Al nostro passato», rispose l’elfa.
«Perché?», domandò il cavaliere Immacolato della Foresta guardando Atemot, assicurandosi che il ragazzo non ascoltasse il loro discorso.
«Non so, mi è venuto in mente. Guardaci Nesca, siamo due sorelle elfe in cammino verso il tempio della Terra e quello della Foresta».
«E allora? Non comprendo cosa ci sia di strano».
«Non capisci? Non ti sei mai chiesta per quale motivo i nostri genitori non ti hanno detto che sei un cavaliere Immacolato? E perché durante tutto il nostro viaggio non abbiamo mai incontrato qualcuno della nostra razza? Perché…».
«Basta! Ho afferrato il concetto», la interuppe Nesca.
Naira osservò sua sorella silenziosa, poi si guardò intorno.
Proseguivano su una stretta stradicciola piena di buche, ai lati della via vi erano migliaia di alberi molto fitti.
«Incute una certa paura questo luogo, non trovate?», sentenziò Atemot voltandosi verso le elfe.
«Già un po’…», acconsentì Nesca.
«Dov’è che ci stiamo dirigendo?», domandò Naira.
«Verso il Reame dimenticato di Unun-Tar; il nome non è molto promettente, ma passando da questa parte risparmieremo alcuni giorni di viaggio», rispose il cavaliere Immacolato della Terra.
«Cosa? Ma sei pazzo!», esclamò Naira.
«Perché?», chiese Atemot.
«Quando eravamo ancora… Una volta lessi qualcosa che riguardava questo Reame: non è molto antico, anzi rispetto agli altri Reami è il più giovane, ma di sicuro di poca gloria. Infatti, la resistenza che oppose al signore Oscuro, non è certo degna di canti e di lodi; l’intero popolo, alla scomparsa del re in battaglia, si spostò verso Ovest, terra forte e sicura, e verso Nord-Ovest nel piccolo regno di Drelegara. Da quel giorno la terra di Unun-Tar rimase completamente disabitata…».
«S’incontra solo morte, nemmeno un cane gira per le strade di Unun-Tar», finì la frase Nesca.
«Così mi vengono veramente i brividi; ma che ne è stato del re?».
«Nessuno lo sa – rispose Naira – Alcuni dicono che sia fuggito prima della battaglia; altri pensano che i seguaci del signore Oscuro abbiano bruciato il suo corpo; altri ancora, raccontano, che per paura, il re si sia alleato con il male! Nessuno conosce la vera storia».
«Allora, vuoi continuare ancora per questa strada?», domandò Nesca.
«Naturalmente, non saranno certo delle storielle a spaventarmi. Forza, riprendiamo il nostro cammino», disse Atemot cercando di non dimostrare la propria preoccupazione alle due ragazze.
Proseguivano silenziosi. Più avanzavano e più gli alberi diminuivano.
Il vento iniziava ad alzare la polvere della strada, il cielo si era ricoperto di nuvole nere che non promettevano nulla di buono.
«Quanto impiegheremo ad arrivare al Reame dimenticato di Unun- Tar?», chiese Naira.
«Entro domani sera saremo lì», rispose Atemot.
«Speriamo bene, si sta avvicinando un temporale e credo che sarà piuttosto violento».
«Poco lontano da qui c’è la città di Adon; riposeremo lì».
«Saremo fortunati se giungeremo a destinazione prima che inizi a piovere!», esclamò il cavaliere Immacolato della Foresta.
«Perciò affrettiamoci», disse Atemot spronando il suo cavallo, e le due elfe lo seguirono.
Partirono tutti e tre al galoppo.
Quando giunsero alla città di Adon, le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere.
«Troviamo al più presto una locanda dove passare la notte», disse Nesca.
Entrarono in un piccolo locale. L’interno era tutto di legno, nel camino, del salone principale, scoppiettava un bel fuoco.
Affittarono due camere: una per Atemot e l’altra per le due elfe.
Consumarono un pasto caldo e poi si ritirarono taciturni nelle proprie stanze, augurandosi solamente la buonanotte!
Atemot si accomodò sul letto e sfoderò la spada, guardò la lama della sua arma a lungo. Avrebbe preferito portare con sé la lancia, era bravo ad usare quel tipo di arma, ma probabilmente gli sarebbe stata d’impiccio. Per aquesto, aveva scleto la spada, arma ugualmente efficace.
Poi si alzò e si avvicinò alla finestra. La pioggia aveva iniziato a cadere fitta, il buio era intenso, non si riusciva a scorgere nulla.
Atemot ripose la spada, spense la luce e si sdraiò sul letto, addormentandosi qualche minuto più tardi.
Nesca e Naira, dopo la separazione dal cavaliere Immacolato della Terra, erano piuttosto laconiche; ognuna immersa nei propri pensieri.
Naira si era stesa sul letto e fissava il soffitto di legno, mentre Nesca giocava con una freccia.
«Ho bisogno di comprarne delle altre», disse improvvisamente.
«Cosa?», chiese Naira.
«Ho bisogno di altre frecce – ripeté l’elfa – Me ne sono rimaste poche, e preferirei non rimanerne senza».
«Già, hai ragione… Se devo essere sincera non mi sento a mio agio sapendo che ci stiamo dirigendo verso il Reame dimenticato di Unun- Tar. È come se avvertissi del pericolo».
«Non ci pensare, è la paura che ti fa provare questa sensazione, ma vedrai che andrà tutto bene!».
«Lo spero tanto», mormorò Naira.
«Senti, io ti volevo dire che mi dispiace», dichiarò d’un tratto Nesca abbassando lo sguardo.
«Cosa? Perché mi dici questo?».
«Prima, quando mi hai fatto tutte quelle domande, mi hai fatto riflettere… Hai ragione. Anch’io, molto spesso, mi sono chiesta per quale motivo i nostri genitori non mi abbiano detto la verità sul mio destino. Non hanno neanche mai accennato alla cosa. Ho accettato il “ruolo” di cavaliere Immacolato perché ho capito l’importanza di questo compito, ma se solo avessi saputo prima…».
«Non è colpa tua – disse Naira che aveva intuito dove volesse arrivare sua sorella – Non potevi fare niente, sei solo una ragazza di diciannove anni; non saresti riuscita a salvare Burtir neanche se avessi conosciuto il tuo destino. Non sentirti in colpa, d’accordo?».
«Ci proverò… Buonanotte sorellina!».
«Buonanotte Nesca».
La mattina seguente si svegliarono tardi, fuori pioveva ancora e, dopo una colazione sostanziosa, ripartirono verso il Reame dimenticato di Unun-Tar.
I tre giovani, infreddoliti, nonostante il mantello, pensavano a quello che avrebbero potuto incontrare in un luogo deserto.
La pioggia cadeva fitta e violenta, era come se il cielo si fosse trattenuto per troppo tempo e fosse scoppiato all’improvviso, facendo cadere tutta l’acqua che poteva.
«Odio la stagione delle piogge!», esclamò Naira.
«A volte ha i suoi lati positivi», bisbigliò Nesca.
«Dici, e quali sono?».
«Fanno ritornare in mente molte cose, ad esempio, ti ricordi qualche anno fa quando nostro padre ci portò a pescare al Lago Lakesh e poi iniziò a diluviare?».
«Già, rimasi a letto per più di una settimana con la febbre alta. Non è proprio un bel ricordo», sentenziò Naira.
«Forse hai ragione; ma aspetta un momento, non ricordi che durante la tua permanenza a letto ci venne a trovare un signore?».
«E chi se lo dimentica, aveva un bell’aspetto… La sorpresa fu anche più grande quando scoprimmo che era un elfo!».
«Nostra madre non smetteva mai di parlargli con dolcezza e affetto, come se lo conoscesse da molto tempo; sai non riesco a ricordare il suo nome…».
«Credo che fosse Nora; sì sono sicura, voleva che lo chiamassi zio Nora. Avevo dodici anni e mi trattava come una bambina di cinque».
«Non che ora ci sia molta differenza!», scherzò Nesca.
«Spiritosa! Comunque da quel giorno non lo abbiamo più rivisto, che peccato. Non dimenticherò mai la sua voce dolce e triste quando ci salutò, addirittura una lacrima rigò il suo splendito viso. Quell’immagine mi è rimasta impressa».
«Sì, aveva un comportamento strano. Ad essere sincera, ora che ci penso, mi sembra di avere già visto Nora da qualche altra parte, purtroppo non riesco a ricordare dove».
«Muovetevi, o non arriveremo mai a destinazione», urlò Atemot voltandosi indietro.
Nesca e Naira si guardarono e ripartirono al galoppo.
La sera giunse presto e, come previsto, i ragazzi varcarono le porte di Naiz, nel Reame dimenticato di Unun-Tar. Più che di una città, si trattava di una fortezza; infatti, tutto intorno vi erano mura alte e massicce per proteggere dagli attacchi esterni.
Il luogo era scuro e silenzioso e la pioggia, che non aveva cessato di cadere, lo rendeva ancora più tenebroso.
Il vento alzava la polvere dal terreno e faceva sbattere le finestra delle case disabitate.
«Solo il sentir parlare di Naiz mi ha spaventato, ma ora che la vedo anche… mi terrorizza…», confessò Atemot.
«Non mi fido molto: mi sento osservata!», esclamò Nesca.
«Non è possibile, questa è una specie di città morta; non ci sarà nessuno», disse Naira cercando di tranquillizzare sia sua sorella che se stessa.
«Se lo dici tu! Comunque non mi sento lo stesso al sicuro».
«Cerchiamo un posto dove passare la notte», le interruppe Atemot.
S’incamminarono per la fortezza, coperti dai loro mantelli per proteggersi il più possibile dalla pioggia.
«Ho un’idea – disse Naira – Andiamo a passare la notte in una di queste case, tanto sono disabitate. Non faremo torto a nessuno».
«D’accordo, ma facciamo attenzione», rispose Nesca.
«Forza allora!».
Entrarono in una piccola casa, non la perlustrarono: erano troppo stanchi.
«Poveri piccoli, sotto la pioggia e con questo freddo… Non possiamo fare entrare anche loro qui dentro?», chiese Atemot.
«I cavalli? Dentro la casa? Non credo che sia una buona idea», rispose Nesca.
Il cavaliere Immacolato della Terra non discusse ulteriormente e alla fine si addormentò, seguito poi dalle due elfe.
Si svegliarono di soprassalto, i tre giovani erano circondati da almeno una decina di uomini vestiti di stracci e di pellicce, armati sino ai denti.
«Maledizione! Avevate detto che questo luogo era disabitato!», esclamò Atemot guardando le due elfe.
«Avevo ragione quando ho detto che mi sentivo osservata», disse Nesca.
«Chi siete?», domandò bruscamente un uomo con una barba lunga e folta. Era alto e magro, il viso era scavato, lunghi capelli grassi e marroni gli cadevano sugli occhi scuri.
«Allora rispondete… Chi siete?», ripetè più forte.
«Siamo qui in pace. Il mio nome è Atemot e loro sono Nesca e Naira.
Vi ripeto che siamo qui in pace; ci serviva un posto dove riposare. Se vi procuriamo dei problemi possiamo andare via immediatamente».
«Portateli nella mia casa!», ordinò l’uomo barbuto.
Quattro abitanti della fortezza condussero i giovani in un’abitazione grande e ben sistemata.
Le pareti bianche, abbellite da quadri di navi e di teste di animali impagliati, rendevano la casa molto signorile. Aveva anche dei bei mobili di un legno ben lavorato.
I ragazzi furono fatti accomodare su sedie ricoperte da cuscini rossi.
Poco dopo, arrivò il padrone della casa.
«Benvenuti a Naiz. Il mio nome è Marbell, il generale Marbell».
«Perlomeno non siamo vostri prigionieri», mormorò Nesca.
«Prigionieri?! – rise il generale- Ma che sciocchezze! Non mi ha nemmeno sfiorato l’idea di farvi miei prigionieri. Anche se siamo rimasti in pochi, siamo un popolo molto ospitale».
«Credevo che in questi luoghi non ci abitasse più nessuno», disse Naira.
«Come ho detto prima, siamo rimasti in pochi, pochissimi. Dopo la guerra contro il signore Oscuro molti di noi se ne andarono, restammo solamente in cento o duecento circa… Non volevamo abbandonare il nostro Reame e speriamo ancora che il re torni».
«Il re! – esclamò Atemot – Ma credevo che fosse morto!».
«Quando il male ci attaccò, al trono vi era Klam, uomo poco stimato e poco coraggioso; l’unica cosa che fece di buono nella sua vita fu quella di sposare la bella druida Maira ed avere da lei un figlio, un bellissimo bambino di nome Karm. Durante la guerra, però, la nostra regina fuggì, portandosi con sé suo figlio; di loro non avemmo più notizie».
«E del re? Che ne fu di lui?».
«Nessuno lo sa, ma alcuni dicono di averlo visto unirsi con il signore Oscuro; ma di sicuro, non vi è niente…».
«Capisco! Ma voi che avete intenzione di fare? Non potete rimanere qui con le mani in mano!», interruppe Nesca.
«Cosa possiamo fare? Siamo troppo inferiori di numero», rispose Marbell.
«Padre!», disse un ragazzo entrando nella stanza.
Era un giovane alto e vigoroso. Aveva capelli corti e neri e degli occhi scuri come la notte.
«Scusatemi padre, non pensavo aveste degli ospiti», disse scrutandoli e soffermandosi poi a guardare Naira, che abbassò lo sguardo imbarazzata.
«Non scusarti; permettete di presentarvi mio figlio Odrac», disse il generale.
«Molto piacere!», disse il ragazzo.
«Ma scusatemi signori, mettiamoci a tavola e consumiamo la nostra colazione, così voi mi direte per quale motivo siete passati per queste terre desolate».
«Naturalmente!», esclamò Atemot.
Si accomodarono intorno al tavolo e mangiarono del pane nero, uova e del formaggio.
«Noi in genere cerchiamo di consumare meno cibo possibile, ma si fa sempre un’accezione in caso di ospiti. Comunque raccontateci di voi».
«D’accordo – iniziò a dire Nesca – Mia sorella ed io, vivevamo in una piccola grotta nel bosco di Mukrum, nella terra della Sabbia Rossa. Un giorno, fummo prese in ostaggio dai Cacciatori. Però quella stessa sera una giovane fanciulla ci aiutò a fuggire e ci rifugiammo da Atemot. Eravamo un gruppo di otto persone; una ci lasciò a Drelegara e un’altra venne catturata e portata nelle prigioni del signore Oscuro… Poi, noi proseguimmo il nostro viaggio dirigendoci verso Ovest, nell’Antica terra dei Draghi. In quel luogo ci separammo da un altro ragazzo; ritornammo così sui nostri passi. Tornati di nuovo a Drelegara, le nostre strade si divisero e da cinque che eravamo, siamo rimasti in tre!».
«Credo di avere, più o meno, capito. Solo una cosa non comprendo: cosa ha spinto otto ragazzi a fare il giro del mondo, mentre siamo in guerra?».
I giovani si guardarono l’un l’altro e poi annuirono.
«Credo che ci possiamo fidare di voi, ebbene noi siamo cavalieri Immacolati», disse Atemot.
«Cavalieri Immacolati!», esclamò Marbell.
«Scusate questa sciocca osservazione – disse Odrac – Non conosco molto bene la storia dei cavalieri Immacolati, ma sono sicuro che loro sono in cinque e non in otto».
«Hai perfettamente ragione! Gli altri tre hanno solamente deciso di seguire i cavalieri Immacolati», rispose Naira.
«Comprendo! Ma ancora non mi avete detto per quale motivo siete passati per queste terre», disse Marbell.
«Ogni cavaliere Immacolato, per essere degno del titolo che porta, deve superare delle prove», spiegò Atemot.
«Prove? E in che cosa consistono?».
«Non lo so, è per questo che ci stiamo dirigendo ai templi. Al confine tra le terre Selvegge e la terra della Sabbia Rossa, si trova il tempio della Terra; dopo ci dirigeremo ancora più ad Est, al tempio della Foresta».
«Ora mi è tutto chiaro. Avete fatto benissimo a passare da qui, risparmierete molto tempo».
«È il ragionamento che avevo fatto io!», esclamò Atemot.
«Padre, io vorrei andare assieme a loro», disse d’un tratto Odrac.
«Cosa? Per quale motivo hai preso una decisione così improvvisa?», domandò Marbell stringendo le spalle a suo figlio.
«So che quando il Reame di Unun-Tar è stato attaccato ero ancora molto piccolo, ma sento il dovere di fare qualcosa. Se viaggerò con loro avrò l’occasione di uccidere dei Cacciatori e potrò, anche se solo in parte, rivendicare il danno che è stato inflitto a questo Reame».
«Ti capisco… Comunque non spetta a me decidere se devi partire o meno, ma a questi ragazzi. Dipende se gli sarai d’intralcio».
«Non ci sarà d’intralcio; se si sente pronto è il benvenuto», accettò Atemot.
«Bene allora! Preparati e porta questo con te, ti proteggerà», consigliò Marbell porgendo una sfera azzurra a Odrac.
«Cos’è quell’oggetto?», chiese Nesca.
«La sfera azzurra è il simbolo del Reame di Unun-Tar. Mi fu consegnata dal re in persona; tutti quelli che appartengono alla famiglia del re o sono suoi amici possegono una sfera azzurra».
«Pensi a quello che sto pensando io, Naira?».
«Non comprendo! A cosa ti riferisci?», chiese l’elfa.
«Come non rammenti? Ecra consegnò a Iemon un oggetto che doveva dare a Kéndall ed era …».
«…una sfera azzurra!», terminò Naira.
«Kéndall? Chi è?».
«È un cavaliere Immacolato, ci separammo da lui nella terra dell’Ovest.
È un ragazzo saggio e coraggioso, è dovuto fuggire dalle terre Selvagge perché la sua città è stata attaccata».
«Cosa c’entra lui con tutta questa storia?», chiese Marbell confuso.
«Come ti ho già detto, lui possedeva una sfera azzurra simile a quella che tu hai consegnato a Odrac», rispose Naira.
«Aspettate un momento! – interruppe improvvisamente Atemot – Ora che ci penso, il padre di Kéndall si chiamava Karm».