Racconti, Racconti a capitoli

10) La stirpe del drago

Romanzo Fantasy di Rebecca Bannò, 2005

X Capitolo

Il principe di Drelegara

Il sole stava tramontando, lasciando spazio alla notte. Il cielo era di un colore rosso chiaro con qualche sfumatura azzurra. Sino ad ora aveva fatto la sua comparsa un’unica stella ed era proprio quella che Ecra stava fissando con un lieve sorriso sul volto.
«A cosa pensi?», chiese Kéndall d’un tratto.
«Alle stelle!», mormorò la giovane. Il Cavaliere Immacolato del Vento alzò lo sguardo al cielo.
«Alle stelle? E perché mai?».
«Guardala! E’ lassù completamente ignara di quello che avviene qui. Mio padre dice sempre che finché il cielo sarà abitato da stelle c’è speranza. Non ho idea se è solo una fantasia sua o se è una verità a cui credono i druidi, ma mi piaceva guardarlo fissare le stelle. Il suo sguardo si perdeva tra gli astri ed era solito appuntarsi le loro variazioni; mi manca tantissimo!», disse abbassando lo sguardo.
Kéndall continuava a guardare in alto senza dire una parola. Anche a lui mancavano i suoi genitori, la sua casa, Logh.
Il signore Oscuro gli aveva portato via quello che aveva di più caro.
«Non so se ne sarò in grado», disse infine.
«A fare cosa?», domadò Ecra spostando il capo per guardare l’amico un po’ meglio.
«Ad uccidere il signore Oscuro! La sua fine significherebbe anche la tua fine…».
«Le persone muoiono Kéndall, volenti o nolenti! Ognuno ha il proprio destino da seguire e il mio è questo».
«Mi domando come tu riesca… Non ti fa paura nemmeno un po’ la morte?».
«Certo che mi spaventa – ora la sua voce era quasi un sussurro – è forse ciò che temo maggiormente, specialmente ora che s’avvicina, ma cosa posso fare? Se uccidere il signore Oscuro porta alla pace, sono felice di morire per una giusta causa».
«Troverò il modo per liberarti da questa maledizione», la voce di
Kéndall suonava come un barlume di speranza che svanì solo dopo qualche secondo. Se solo ci fosse stata una contro maledizione suo padre l’avrebbe trovata, ma non disse nulla all’amico, lasciò che quella frase lo cullasse e gli desse speranza, come le stelle nel cielo.
Avanzavano da circa tre ore e la notte stava giungendo, costringendo i ragazzi a fermarsi per riposare. Vi erano molti alberi lungo il passaggio, ma decisero di sostare sotto una grande quercia.
Raccolsero abbastanza legna per la notte e cucinarono carne di coniglio portato da casa. Atemot si curò dei cavalli, dando loro acqua e cibo; li riempì inoltre di carezze e ringraziamenti. Naira lo osservava silenziosa, dopotutto era un comportamento che trovava affascinante.
Decisero di fare turni di guardia di un paio d’ore ciascuno, per primo sarebbe toccato ad Elam che era rimasta in disparte per tutta la sera. I suoi compagni si addormentarono sdraiati sui loro mantelli, riscaldati dal fuoco scoppiettante.
Tutto era tranquillo, non si udiva alcun rumore, persino gli animali erano troppo stanchi per farsi sentire. Elam guardava i suoi compagni addormentarsi uno ad uno. L’ultimo a chiudere occhio fu Kéndall.
«Qualsiasi movimento sospetto svegliaci!», aveva detto prima di cadere in un sonno inquieto, dal quale Elam venne a liberarlo dopo un paio di ore.
«Sveglia Ecra tra un paio di ore», disse lei prima di sdraiarsi sul mantello e addormentarsi.
Kéndall rimase a fissare l’oscurità a lungo, con la mano poggiata sull’elsa della spada. Non voleva farsi cogliere impreparato. Il piccolo disguido accaduto nelle Terre della Sabbia Rossa gli era bastato ed ora, nonostante il dolore al braccio sinistro e alla spalla destra, che di tanto in tanto, si faceva sentire, era pronto ad affrontare qualsiasi nemico, anche perché non era più da solo!
Il suo sguardo poi passò dal fuoco al cielo, avevano fatto la propria comparsa molte stelle quella notte, tutte che danzavano intorno alla luna festeggiando la pace che regnava lassù, non invidiando gli esseri della terra. Ripensava al discorso di Ecra; era affascinante pensare che le stelle potessero rappresentare la speranza degli uomini, ognuno di loro ne aveva una e riponeva tutto lì dentro. Chissà quale apparteneva a lui?!
Si sentì sfiorare la spalla e si voltò di scatto.
«Sono solo io», sussurrò Ecra.
«Non ti avevo sentito!».
«I tuoi pensieri vagano tra quei puntini luminosi che accompagnano i nostri sogni?».
«Esatto, ma noi siamo qui e loro lì in alto!».
«Non ti seguo…», disse lei.
«A volte i nostri sogni e le nostre speranze mi sembrano così irraggiungibili».
«Non vuol dire che sia così! Per ottenere qualcosa si dovrà sempre lottare nella vita, specialmente se sono cose importanti per te. Nulla è impossibile. Ora vai a riposare, buona notte Kéndall!».
La notte trascorse senza nessun imprevisto, ognuno di loro fece il proprio turno di guardia. Ad Ecra seguì Iemon, che successivamente svegliò Atemot ed infine giunse il turno delle elfe; dapprima Naira e poi Nesca che al momento giusto chiamò tutti i compagni per riprendere il viaggio.
Anche gli animali stavano dando il loro buongiorno al sole cantando le proprie melodie.
«Ho male ovunque, non sono abituata a stare così tanto tempo a cavallo!», disse Iemon.
«Resisti ancora un po’», rispose Nesca.
Giunsero a destinazione dopo altri due giorni di viaggio.
Avevano lasciato alle loro spalle alberi, campi verdi ove avevano avuto la possibilità di sostare, avevano intravisto laghi e molte altre bellezze della natura.
Finalmente potevano compiere, maestosamente, il loro ingresso a Drelegara.
L’arrivo dei sette non passò inosservato, erano guardati con curiosità e scetticismo. Nonostante ciò, avanzarono alla ricerca di un posto dove potersi rifocillare.
«Non sapevo che a Drelegara ci fosse un castello», esclamò Nesca guardando un punto sulla destra.
I ragazzi si voltarono nella direzione indicata ed ammirarono quella magnifica costruzione completamente bianca. I tetti delle quattro torri erano di colore azzurro e il portone alto circa quattro uomini era incastonato di pietre preziose e sorvegliato da guardie armate fino ai denti.
«Mi piacerebbe tanto entrarvi!», disse Naira.
«E lo farai!», rispose Ecra.
«Non credo sia così facile, per i castelli ci serve sempre un lasciapassare o una convocazione del re in persona!», disse Atemot.
«Noi siamo Cavalieri Immacolati e il nostro compagno di viaggio abita proprio lì dentro! Stiamo parlando di Fibius, cavaliere Immacolato del Fuoco, principe di Drelegara».
«Prima di andare da lui troviamo una locanda dove passare la notte», propose Iemon.
«D’accordo, in marcia».
Era una città maestosa e fiorente. Ecra spiegò ai compagni che Drelegara si era fatta carico di tutti coloro che erano state vittime della guerra costituendo, in questo modo, una comunità ricca di persone di tutte le razze, che con il tempo si erano date da fare facendo fiorire una città di quella portata ed ora si trovava ad essere una delle più grandi città del mondo di Ianor.
I ragazzi, dopo aver contemplato quattro diverse locande, trovarono quella che faceva al caso loro. Era più appartata rispetto alle altre e meno affollata.
«C’è chi ha una locanda sola e chi ti offre l’imbarazzo della scelta», commentò ironico Kéndall guardando Atemot.
Affittarono tre camere, una per Iemon ed Ecra, l’altra per le elfe ed
Elam e un’altra ancora avrebbe ospitato i ragazzi. Questa volta dovevano lasciare dieci monete a notte per ogni stanza.
«Ho bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti, non resisto più!», disse Elam.
«Confermo!», esclamò Naira.
Era tardi per mangiare alla locanda per cui optarono per un’osteria dal nome “Al tuo servizio”. Si ritrovarono all’interno di una sala piuttosto grande, riempita da una cinquantina di tavoli, lungo le pareti vi erano diversi quadri con immagini di paesaggi o dei ritratti, ma quello che saltava subito all’occhio era la testa di un cinghiale attaccata al muro come un trofeo. Si poteva percepire un lieve odore di limone sovrastato dal quello del fumo e da quello dell’alcool.
Molti dei tavoli erano occupati dalle guardie del castello che facevano un gran baccano; tutti con la uniforme bianca, tutti fieri di indossarla.
«Ci sono due tavoli liberi lì in fondo!», disse Atemot.
I giovani si mossero verso il punto indicato dall’amico e per poter stare tutti assieme si ritrovarono ad unire i tavoli, formandone uno solo.
Si accomodarono ed attesero che qualcuno venisse a servirli.
Solo qualche istante dopo si avvicinò una giovane che forse non aveva più di dodici anni. Indossava un lungo vestito verde, rammendato con della stoffa vecchia e ormai eccessivamente logora, sopra di esso portava un grembiulino bianco sporco di farina e pomodoro.
«Come posso servire i signori?», chiese con una voce appena percettibile.
«Pollo e birra?», domandò Nesca ai suoi compagni. Tutti si ritrovarono ad annuire.
«Sarà sulla vostra tavola a breve!», disse compiendo un piccolo inchino prima di allontanarsi e sparire dietro una tenda marrone.
«Che servizio!», esclamò Atemot.
«Che sfruttamento direi! –intervenne Ecra- Hai visto gli occhi di quella bambina? Dovrebbe stare fuori a godersi la sua infanzia, non qui dentro a servire i tavoli e respirare questo puzzo!».
«I soldi bisogna pur guadagnarseli», rispose l’altro.
«E’ colpa della guerra!», mormorò Iemon cercando di acquietare i due spiriti.
Ecra lasciò cadere il discorso, non aveva voglia di mettersi a discutere.
La fanciulla tornò al tavolo portando l’ordine richiesto dai ragazzi, compì un altro profondo inchino al ringraziamento dei sette e poi si allontanò lasciandoli consumare il loro pasto e andando a servire gli altri presenti.
«Quando andremo dal principe?», domandò Naira impaziente di poter entrare in un vero castello.
«Appena ci potrà ricevere, immagino», rispose la sorella.
«Ma siamo Cavalieri Immacolati, non possiamo attendere che sua maestà abbia il tempo di organizzarsi e riceverci, deve farlo immediatamente. Il signore Oscuro non attenderà certo i suoi comodi», disse Kéndall.
Continuarono a conversare, parlando più che altro del principe cercando di immaginarsi il loro incontro, l’ospitalità che avrebbe riservato loro una volta entrati nel castello e così via.
Mangiarono e pagarono il pasto dirigendosi, successivamente, verso la locanda. Oramai era pomeriggio inoltrato e decisero di riposare un paio di ore prima di fare tappa al castello.
Nesca, Naira e Iemon optarono per un giro della città, mentre Atemot voleva trascorrere quelle ore in compagnia dei suoi cavalli. Gli altri tre ragazzi invece si ritirarono nella propria stanza per un meritato riposo.
Kéndall si addormentò quasi subito, era esausto e il cibo aveva contribuito a fargli venire ancora più sonno.
Elam si dedicò ad un caldo bagno rilassante. Ben presto avrebbe detto addio a tutti i suoi compagni, s sarebbe dedicata ad altro, forse la guerra non faceva al caso suo, forse non si sentiva più motivata come prima.
Era stanca di dover rimanere sempre vigile, di essere pronta ad affrontare ogni imprevisto; non era un caso che non fosse stata scelta come Cavaliere Immacolato. Il suo destino era solo quello di incontrare Kéndall e gli altri, probabilmente doveva fare da una specie di tramite affinché il ragazzo conoscesse Nesca e Naira o affinché potesse essere raggiunta da Ecra durante il suo viaggio verso Skaam.
Anche la sacerdotessa era sveglia, non riusciva ad addormentarsi. Rifletteva sulle parole di Kéndall, sulla sua maledizione. Era sicura che non ci fosse il modo per liberarsene, ma in fondo desiderava avere una minima speranza che tutto potesse tornare alla normalità, che non dovesse per forza cadere insieme al Signore Oscuro nel momento della sconfitta, voleva esultare insieme ai suoi compagni nel momento in cui quel giorno fosse giunto.
Bussarono alla porta, Ecra si alzò dal letto ed aprì. Si trovò ad indietreggiare spaventata…
«Kéndall!», il giovane vide comparire il viso di Ecra.
«Cosa sta succedendo?», domandò confuso.
«Kéndall, aiutami ti prego! Mi stanno portando via».
«Chi? Chi è che ti porta via?».
Kendall?!», il ragazzo si sentì scuotere.
Quando aprì gli occhi vide Elam piegata su di lui che cercava di svegliarlo.
«Finalmente, pensavo che avessi un incubo!»,disse.
Il ragazzo, senza badare all’amica, si alzò dal letto e si mosse verso la stanza di Ecra e Iemon. Bussò un paio di volte senza ottenere risposta, l’aprì e la trovò vuota.
«Cosa succede?», chiese Elam che lo aveva seguito preoccupata.
«Corri a cercare gli altri. Io andrò dal principe, raggiungetemi lì; fate il prima possibile».
Annuì e senza chiedere più informazioni corse via confusa, sapeva dove trovare Atemot.
Kéndall si diresse verso il castello, ma di fronte al portone le guardie lo bloccarono.
«Lasciatemi passare», disse. Per la fretta che aveva non badò certo alle buone maniere.
«Hai un invito o un ordine dal re?», domandò uno dei soldati.
«No, ma ho bisogno di parlare con il principe».
«Senza lasciapassare non possiamo farti entrare, richiedine uno e potrai parlare con il principe».
«Ascoltate, non ho tempo per aspettarne uno, una mia amica è in pericolo ed io devo assolutamente vedere il vostro principe».
«Inizi a stancarmi, portatelo via», ordinò la guardia.
Gli uomini si avvicinarono a Kèndall, ma questo sfoderò la spada pronto a battersi.
Non voleva perdere tempo, doveva solo parlare con Fibius.
Riuscì a ferire un paio di guardie, ma quest’ultime erano di numero superiore e alla fine riuscirono a catturarlo, portandolo nelle prigioni del castello.
Elam trovò, come pensava, Atemot nelle stalle della locanda. Per tutto quel tempo era rimasto a tenere compagnia ai suoi amati animali. Appena vide entrare la ragazza sorrise.
«Si sono ripresi per fortuna. Il viaggio li aveva stremati».
«Sono contenta per loro, ma ora abbiamo da fare. Aiutami a trovare le altre e poi raggiungiamo Kéndall al castello».
«Perché Kéndall è al castello e non ci ha chiamati?».
«Sono venuta a chiamarti io, ora smetti di fare domande e andiamo».
Atemot annuì e seguì Elam fuori dalle stalle.
Era il pensiero di Ecra a mantenerlo sveglio, sapeva benissimo che la ragazza era nei guai, ma rinchiuso lì dentro al freddo e al buio, non aveva modo di poterla aiutare. In cuor suo dava la colpa al principe Fibius, probabilmente si erano potuti già mettere in viaggio se non avesse avuto quel piccolo disguido di fronte le porte del castello. Non comprendeva come mai dovesse utilizzare tante precauzioni, sicuramente era difeso da migliaia di guardie, perché temere un semplice ragazzo? Cosa poteva mai fare?
D’un tratto la porta della cella si aprì lasciando intravedere una debole luce rossa.
«Prendetelo», ordinò qualcuno.
Kéndall venne incatenato e bendato, in seguito trascinato lungo un corridoio, su per delle scale e poi fatto cadere a terra. Gemeva per il dolore, ma trattenne la voglia di urlare. Il pavimento era morbido e probabilmente si trovava su un tappeto che odorava di lavanda.
«Chi ti ha mandato?», domandò qualcuno che cercava di dare un tono di autorità alla sua voce, ma si percepiva perfettamente che era quella di un ragazzo, probabilmente non più grande di lui.
Kéndall si limitò ad alzare la testa senza proferire parola. Era confuso, gli girava la testa e non poter vedere il suo interlocutore, lo irritava ancor di più.
«Rispondi al principe, idiota!», disse un soldato sferrandogli un calcio allo stomaco. Il ragazzo si piegò e si lasciò sfuggire un gemito di dolore.
«Allora, te lo domando un’ ultima volta, chi ti ha mandato?».
«Sei il principe Fibius?», chiese Kéndall con voce quasi sussurrante.
«In persona!».
«Il mio nome è Kéndall, provengo dalle Terre Selvagge. Ho il compito, insieme agli altri Cavalieri Immacolati, di sconfiggere il Signore Oscuro». Una delle guardie scoppiò a ridere.
«Silenzio! – ordinò il principe – Portate questo ragazzo in una delle mie stanze, fatelo riposare e rifocillatelo, ora!».
«Aspettate. Stanno giungendo altri cinque ragazzi, sono con me e probabilmente i vostri soldati creeranno loro dei problemi…».
«Non preoccuparti, ci penso io».
Kéndall venne liberato dalle catene e dalla benda, la vista gli si era offuscata, il dolore del calcio allo stomaco era acuto e lo fece svenire, costringendo le guardie a tirarlo su di peso per obbedire all’ordine del principe.
Quando riaprì gli occhi si trovava sdraiato su un letto comodo, pulito e profumato. La testa gli girava ancora, ma il dolore si era attenuato. La stanza era sin troppo grande per ospitare un’unica persona, le pareti bianche erano tappezzate di quadri che rappresentavano immagini di caccia; il pavimento era di legno. Oltre al letto vi era un tavolo, poggiato contro il muro, su di esso c’erano delle fiale, di fronte, una sedia che somigliava più ad una poltrona. A dare luce alla stanza c’era una vetrata alta e lunga più di un uomo, che dava direttamente ad un balcone dal cui si poteva ammirare l’intero panorama della città.
Bussarono alla porta ed entrò un ragazzo che non conosceva.
«Buongiorno Kéndall», disse compiendo un leggero inchino.
Il ragazzo fece una smorfia, se gli dava il buongiorno voleva dire che aveva dormito tanto ed Ecra era ancora nei guai.
Non poteva perdere altro tempo!
«Come ti senti?», chiese l’altro. Era poco più alto di Kéndall, aveva corti capelli castani e degli occhi castano scuro. Portava lunghi pantaloni blu e una maglietta bianca che nascondeva una leggera protuberanza della pancia.
«Come uno che ha ricevuto un calcio allo stomaco. Ho bisogno di parlare con il principe Fibius, è urgente!».
«D’accordo – si mise a sedere e poi tornò a guardare il suo interlocutore – parliamo».
«Sei tu il principe?», lo disse senza nascondere il tono di sorpresa.
Non se lo immaginava così giovane.
«Ai tuoi ordini. Sono mortificato per quello che è accaduto con i miei soldati e del calcio che hai ricevuto, ma devi comprenderli, hanno fatto il loro dovere. Siamo in guerra con il regno di Andros e temiamo le loro spie, vogliamo solo proteggere la vita di mio padre e anche la mia, naturalmente!».
«Capisco, siamo giunti sino a qui, con i miei compagni. Piuttosto, sono arrivati?».
«Sì. Ho fatto raccogliere le loro cose dalla locanda e li ho ospitati qui. Non mi aspettavo foste giunti con i cavalli!».
«Idea di Atemot, ma ora non possiamo perderci in chiacchiere, dobbiamo partire immediatamente!».
«Spero tu stia scherzando!»
«Assolutamente, andiamo dagli altri!», disse rimettendosi in piedi.
La testa girava, ma lottò contro il desiderio di rimettersi seduto. C’era la vita di Ecra in gioco.
Fibius condusse Kéndall all’interno di una grande sala, dove li stavano attendendo gli altri. Iemon appena vide il Cavaliere Immacolato del Vento gli corse incontro.
«Dov’è mia sorella?», chiese.
«Credo che sia stata catturata dai Cacciatori!», rispose lui.
«Lo credi o lo sai? E poi perché solo lei?», domandò Nesca.
Kéndall si sedette e così fece anche Iemon.
«Penso che sia giunto il momento di raccontarvi quello che mi ha rivelato Ecra!». Kéndall posò lo sguardo su Iemon e le prese la mano, poi iniziò a raccontare loro della maledizione che si era abbattuta sul Cavaliere Immacolato dell’Acqua.
«Non ti credo! – disse Iemon, alla fine del racconto, con le lacrime agli occhi- Me ne avrebbe sicuramente parlato».
«Aveva fatto una promessa a vostro padre», rispose Kéndall.
Fibius non conosceva Ecra, ma venire a conoscenza del fatto che un Cavaliere Immacolato e il signore Oscuro erano legati da una maledizione, non era quello che ci voleva. I guai non arrivano mai da soli.
«Uno strano modo di conoscersi», mormorò il principe di Drelegara.

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2 Comments

  1. Hai ragione che i guai non arrivano mai da soli. Continuo a leggere e voglio vedere come segue

  2. Brava un po alla volta seguo…

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